Kultur | Oltre l'università

Com'è fatto il Poplar di Trento

Il Poplar è un festival di musica e incontri culturali organizzato dagli universitari di Trento. Intervista a Luca Bocchio, uno degli organizzatori del festival.
Luca Bocchio, uno degli organizzatori del Poplar
Foto: Domenico Nunziata

Il Poplar è un festival culturale organizzato dagli studenti universitari di Trento ed è uno dei maggiori festival della città e della regione. Poplar si è concluso stanotte, è durato due giorni (20 e 21 settembre) e ora si trova al terzo anno di attività al parco del quartiere Le Albere di Trento, il quartiere progettato da Renzo Piano che ospita alcune delle più importanti istituzioni del Trentino, come il MUSE e la Biblioteca Universitaria Centrale. Poplar, oltre a offrire incontri culturali che vanno dalla filosofia alla ricerca scientifica, dalla poesia alla musica - con ospiti di rilievo come Christian Raimo e Willie Peyote - ospita sul palco alcuni dei cantanti e delle band più in ascesa di questo periodo, all'interno del panorama dell'indie e dell'it-pop (qualcuno lo si è visto anche al Festival di San Remo e al Concertone). Dagli Zen Circus a Fulminacci, da Margherita Vicario a Franco 126: il coté di cantanti e musicisti è variegato e ampio. Del successo del festival (per qualità e ingressi) ha parlato con salto.bz Luca Bocchio, laureato in economia di origini biellesi e, appunto, uno degli organizzatori del Poplar.

 

salto.bz: Quando è cominciata la storia del Poplar? Raccontacela un po’, a tutti piacciono le origin story.

Luca Bocchio: Poplar è nato tre anni fa, a inizio 2017. Tra l’altro è curioso che tu mi faccia questa domanda perché ieri un mio amico con cui parlavo di come organizzare questo progetto, già nel 2016, mi ha mandato gli screenshot delle nostre conversazioni sulla questione. Era iniziato tutto come Apri le Albere, e volevamo creare un evento aggregante per i giovani universitari. Scegliemmo le Albere come location perché all’inizio ci era sembrato un quartiere molto bello ma purtroppo deserto – quando ancora non era ancora stata aperta la BUC. A un certo punto però ci accorgemmo che sarebbe stato meglio fare il festival a settembre e ragionarci meglio. Quando abbiamo visto il prato in discesa del parco delle Albere, abbiamo subito pensato di metterci un palco. La visuale è bellissima. Il Poplar concepito in quel modo - questo modo, ormai - avrebbe anche dato spazio alle associazioni studentesche e sarebbe stato un momento aggregativo trasversale, che non fosse solo una semplice festa. E così è diventato il Poplar.

A volte l’universitario è percepito come un intruso, quando invece è il motore della città di Trento.

In tre anni di attività com’è cambiato e com’è cresciuto il festival?

Il primo anno che l'abbiamo organizzato durava solo un giorno e sono arrivate tra le seimila e le settemila persone. Nel primo documento di Apri le Albere ci ponemmo tremila ingressi come obiettivo. Non ci saremmo mai aspettati un risultato del genere (ci hanno aiutato anche i gruppi musicali molto azzeccati). Il secondo anno abbiamo deciso di introdurre la rassegna pomeridiana Poplar Cult., ovvero una cosa che ti tiene incollato qui anche il pomeriggio, qualsiasi persona tu sia: i temi vanno dalla filosofia alla ricerca scientifica a Dragogna de I Ministri che parla di De Andrè. Questa è stata la vera svolta. La svolta di quest’anno è stata quella di passare al weekend, così da attrarre non solo studenti universitari. Uno degli obiettivi del festival rimane comunque quello di fare da ponte tra gli universitari e la città, dato che gli studenti non si sentono pienamente integrati con il tessuto urbano.

Perché succede questo secondo te?

Perché è naturale che succeda in una città universitaria molto giovane e allo stesso tempo molto chiusa. A volte l’universitario è percepito come un intruso, quando invece è il motore della città di Trento. Trento avrebbe un enorme problema demografico senza l’università e non avrebbe possibilità di crescita. Gli studenti in città sono ormai più di sedicimila, in un conglomerato urbano di cinquantamila persone, in un comune che ne conta centomila. Vogliamo mettere insieme i pezzi.

Il nostro obiettivo è quello di fare da ponte con la città e diventare un festival culturale pieno, non solo musicale.

Dal punto di vista organizzativo come siete messi e quali sono le cose più difficili da gestire?

Siamo circa duecento persone, tutte volontarie. Ci sono persone che vengono persino dal Veneto o dal Friuli e da altri posti e a proprie spese, per aiutare nell’organizzazione. Da quest’anno riusciamo anche ad avere una cucina per i volontari per offrire pasti caldi per tutti. Anche mangiare insieme, condividere il pasto, aiuta il grande gruppo organizzativo del festival a diventare una piccola comunità – oltre che un nuovo spazio aggregante. Quest’anno abbiamo un palco più grande (ormai necessario) ma la difficoltà maggiore rimane comunque quella logistica, poiché allestiamo un festival in un parco non concepito per ospitare dei concerti. Un altro tema importante è infatti questo qui: a Trento è difficile – in generale – trovare degli spazi per fare dei concerti. Questo (Le Albere, ndr) è l’unico posto comodo e bello in cui avremmo potuto fare questo festival. Magari non è un posto funzionale, ma sicuramente comodo e bello.

Abbiamo detto che ci sono Poplar e Poplar Cult., una proposta musicale e una di dibattito culturale. La seconda serve – come la prima – solo come momento aggregante o voi del comitato organizzativo avete anche, per così dire, una certa visione che vorreste comunicare a chi partecipa agli incontri?

Il nostro obiettivo è quello di fare da ponte con la città e diventare un festival culturale pieno, non solo musicale. La rassegna pomeridiana non ha un filo conduttore vero e proprio o dei temi ricorrenti, però abbiamo cercato di variare l’offerta il più possibile, con due postazioni separate dove far svolgere gli incontri. C’è però un incontro, che si chiama Tutta mia la città, che si pone l’obiettivo di dimostrare come molte persone che non hanno quasi niente a che fare con Trento (io sono piemontese, per esempio) tengano al futuro della città.