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Kultur | Maltrattamenti

Vedere in modo nuovo

Per non cedere al pessimismo dobbiamo sforzarci di far corrispondere al mutamento delle cose anche un nuovo modo di considerarle.

Darsi l'aria di trarre profonde verità da fatti piuttosto banali, ecco una cosa della quale non ci possiamo certo stupire. Prendiamo l'adagio ripetuto a pie' sospinto: eh, la situazione è molto peggiorata. Dal presupposto, ovvio, che le circostanze mutino (panta rei, diceva il filosofo) si ipotizza che il cambiamento sia inevitabilmente solo in negativo. Si tratta, con tutta evidenza, di una falsità, visto che molte circostanze mutano anche in meglio. Però questo non fa notizia. Ho letto di recente un libro molto bello, di Marco Damilano, dedicato ad Aldo Moro – come noto quest'anno ricorre il quarantesimo anniversario della strage di via Fani e dell'uccisione dello statista pugliese. Ci trovo una descrizione dell'uomo – anzi dell'uomo politico, e i due termini non sembrano qui scindibili – che vorrei riportare per intero. “Se Moro tace e si muove adagio (avanti adagio – quasi indietro, come è nel gergo dei macchinisti navali) è segno che padroneggia la situazione. È quasi un arabo, assomiglia per qualche verso al compianto re Feisal. Molto più che parlare, Moro ascolta, così che c'è chi immagina che non abbia nulla da dire. Alla fine, però, riesce a concentrare in una specie di sintesi chimica di eccezionale densità i fiumi di parole che sono scorsi dalle fonti alla foce, infilzando le argomentazioni degli altri con l'abilità del collezionista di farfalle. Con un presidente del Consiglio di simili attitudini, la speranza che sia possibile venire a capo del groviglio è fondatamente giustificata”. Non è un pezzo bellissimo? L'ha scritto un cronista politico che si chiama Vittorio Gorresio, Damilano lo definisce una “grande firma” e “un signore all'antica”, e viene subito voglia di leggere tutto di lui. Viene voglia anche di dire che oggi, di tali signori all'antica, non ce ne sono più. Niente più Gorresio, niente più Moro. Dopo il passaggio storico dei comunicati firmati dalle Brigate Rosse e con la tragica fine di quella stagione politica, il diluvio. Oggi infatti abbiamo i Salvini, i Di Maio, i Renzi, (per non dire i Berlusconi) e un giornalismo politico annoiato, distratto, che va di fretta, che non approfondisce mai nulla. Forse perché i soggetti ai quali si applica non consentono neppure che li si ritragga con la calma necessaria? Forse perché, soprattutto, non si troverebbe qualcuno disposto a gustarsi certe analisi e a trarne le dovute conseguenze? (Ecco un altro adagio: oggi non ci sono più i lettori di una volta) Come conciliare però un'analisi del genere, talmente pessimista, talmente nostalgica, con l'evidenza contraria, data dalla percezione di vivere in tempi in cui l'intelligenza pure fiorisce in mille campi, e le fonti d'informazione sono diventate pressoché infinite? Dove si nasconde, in altre parole, l'acutezza e la raffinatezza che noi diciamo di non trovare più? Quando le cose mutano, prima che in peggio o in meglio, mutano anche i punti di vista, una volta si diceva i “paradigmi”, in base ai quali risulterebbe più interessante osservarle. Occorre dunque investire maggiore energia per avvistare i contorni di ciò che ci dà la possibilità di vedere in modo nuovo, più che sforzarci di comparare in modo usuale elementi temporalmente distanti.