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La topografia dell’immaginario

Al Mart una grande rassegna dedicata a Gianfranco Baruchello. Una geografia dell’immaginario dà origine a nuove cosmogonie.
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Foto: Foto: Mart

Ad essere celebrata al MART è l’arte italiana che rinasce dalle macerie della seconda guerra mondiale per giungere fino ad oggi. L’arte colta, onirica e mai scontata di Gianfranco Baruchello, sperimentatore di linguaggi.
La mostra si presta ad una lettura profonda e stratificata in cui l’atto del vedere non si ferma mai alla superficie. Perché vedere significa semmai entrare in relazione, un’operazione rischiosa a cui è chiamato il pubblico accolto da un Giardino di piante velenose all’inizio del percorso espositivo. La sfida richiesta al visitatore è quella di entrare in un sistema di relazioni su cui sono costruite le opere stesse che sfuggono a tradizionali logiche classificatorie. Ogni classificazione si porta dietro il modo di vedere un mondo insegna Borges e, in questo caso, il viaggio si compie tra cosmogonie e traiettorie ancora da esplorare.

Baruchello sperimentando media e linguaggi diversi, rifuggendo da classificazioni di stile, non approda mai ad un’arte puramente mentale. Nonostante il carattere enciclopedico del suo lavoro, il solido impianto teorico che rimanda a strutturalismo e post strutturalismo francese, il “Duchampiano d’Italia” sembra incapace di scollegare l’idea dalla mano, dando vita così ad un’arte puramente originale in cui la scrittura vive assieme all’immagine.
Forse è proprio la mano lo strumento che permette di connettere mondi, segni, e di tenere assieme differenze e contraddizioni che si ritrovano all’interno delle sue opere. Le sue tele si presentano come campi bianchi, policentrici a rappresentare il grado zero della pittura da cui nascono mondi possibili attraverso l’affiorare di immagini, dettagli, ritagli e parole scritte. Una mappatura dell’immaginario che cerca di tessere trame tra elementi differenti non avendo paura dei grandi spazi vuoti bianchi, delle contraddizioni, delle scritte indecifrabili, dei messaggi ambigui. La prepotenza del dettaglio a volte sembra farsi protagonista e intraprendere una storia a sé dischiudendo microcosmi e possibilità combinatorie. La visione si fa anche lettura che scopre infinite possibili combinazioni.
Lo stesso uomo non esiste al di fuori di queste relazioni che affondano nell’inconscio.

I giardini del dormiveglia ad esempio nascono da uno stato al limite tra l’incoscienza e l’affacciarsi della ragione. Baruchello non fa che perimetrare il destino e la provenienza delle immagini, molto forte è infatti la dimensione onirica, ma anche la necessità di riorganizzare i frammenti in nuove configurazioni.

Il mondo esterno entra in modo più potente in alcuni lavori attraverso repertori di immagini che possono essere macchine celibi, riferimenti all’attualità, memorie di guerra, rievocazioni di un mondo dominato da logiche di potere. Per una prigione privata in Roma oppure Predatori nazisti affamati di sofferenze devastano i catafalchi dei poeti ne sono un esempio.
Il pubblico diviene essenziale nello stabilire un sistema di connessioni in cui l’opera prende vita. Ancora di più quando le opere si fanno tridimensionali. Le celebri scatole di plexiglass, richiamo al Grande Vetro di Duchamp, spingono la visione ancora più in profondità, su più livelli e attraverso la superficie riflettente richiamano dentro l’opera lo spettatore che si riconosce in questo sistema di relazioni.

Una grande archeologia del sapere rivive nelle opere di Baruchello come appare nel La grande biblioteca,  in cui all’interno di alveari viene archiviato lo scibile umano. Assemblaggio e collage diventano gli strumenti per tracciare questi archivi dell’immaginario come ne La quindicesima riga libro collage in cui frammenti di scrittura vengono archiviati e poi ricombinati in una nuova opera.
Dal processo di decostruire e ricreare nascono anche i video realizzati da Baruchello a partire dagli anni sessanta. Sono collage, assemblaggi di fotogrammi in cui il frammento vive e rompe la linearità del cinema classico hollywoodiano. In Verifica incerta film di montaggio realizzato assieme ad Alberto Grifi, l’artista si serve di 150000 metri di pellicole hollywoodiane di scarto per affastellare immagini da film di guerra, western  ed  inserti con Marcel Duchamp mentre fuma un sigaro, la cui presenza diventa quasi un ready made ad interrompere il flusso di immagini.
Vedere, primo atto del conoscere, significa colmare spazi vuoti, affrontare abissi, scarti tra un fotogramma ed un altro, superare il bianco e l’immobilità per cercare un senso che non si dà chiaramente e che spesso è provvisorio.