Kultur | salto weekend

Ubriacatura identitaria

Presentazioni a Merano e a Bolzano con i curatori del libro in due lingue dedicato a “L’estrema destra in Alto Adige” a cura di Günther Pallaver e Giorgio Mezzalira.
Presentazione Merano
Foto: Elfi Reiter

Il pensiero liberista in voga sin dagli anni ottanta ha contribuito a creare una società individualista dove ognuno è convinto di poter farcela da solo, autonomamente, procedendo dritto per la propria strada, senza alcuna attenzione e/o riguardo verso l’“altro” in generale, avanzando e vivendo quindi senza alcun concetto di rispetto né di responsabilità verso ciò che ci circonda (ambiente incluso). Una società atomizzata, humus adatto a ricevere i semi di ideologie destroidi e a far prosperare le idee neofasciste affacciatesi (dall’interno) sul piano politico. Dove “politico” sta sì per la “polis”, ossia la comunità, ma una comunità autonoma, autarchica e autoctona, e non la vera origine della parola greca nel senso di “convivenza”. 

Molto seguita e molto ascoltata era la presentazione del volume Der identitäre Rausch/Ubriacatura identitaria, a cura di Günther Pallaver e Giorgio Mezzalira (edito da Raetia) in collaborazione con la Michael Gaismair Gesellschaft e l’Anpi, a Merano nel Parco Marconi, sede estiva dell’Ost West Club Est Ovest. Presenti uno dei due curatori, Mezzalira, e uno degli autori dei contributi, lo storico Leopold Steurer. Si tratta della pubblicazione degli atti del convegno omonimo svoltosi nell’ottobre 2018 presso la Lub di Bolzano, e sotto forma di instant book contiene i contributi rivisti dai singoli relatori con ricco apparato di note e abstract nella relativa altra lingua (sono in italiano e in tedesco) nonché in inglese per favorire una circolazione e recezione anche fuori provincia. 

 

 

Ubriacatura identitaria – un instant book dalla più che eloquente immagine di copertina disegnata da Jakob Volgger: uno stivale nero calpesta una quasi liquefatta forma geografica grigia dell’Alto Adige Südtirol. Urgeva, infatti, una analisi di questo fenomeno che investe non solo la provincia di Bolzano, da sempre sensibile all’argomento di minoranze/oppressione/liberazione/, ma intere nazioni. “Fu Pallaver a propormi una riflessione ai fini di indagare la realtà in Alto Adige”, apre il discorso Mezzalira, seduto sul piccolo palco, con fascinosa illuminazione dal retro con piccole taniche rosse dotate al loro interno di lampadine. Quali sono i riflessi che giungono dall’esperienza politica di quella destra estrema di cui si parla nel libro? Come si inseriscono nell’esistente, come mai hanno trovato proprio qui il giusto terreno e la casa per crescere e insediarsi? Non va dimenticato che nel comune di Bolzano nel 2016 sono entrati tre consiglieri di CasaPound, regolarmente eletti, ed è stato il primo comune in Italia ad avere rappresentanti di questa formazione nel proprio consiglio comunale. L’adesione della Società Michael Gaismair e di Anpi era immediata, afferma poi, dato che si occupano di temi simili da tempo.

L’incontro di Merano ha portato qualcosa di nuovo nella questione etnica, a mio avviso, affrontando il tema in maniera molto concentrata, da ambedue le parti, relatori e pubblico, parlando ognuno nella propria lingua, senza problemi, senza tensioni, senza necessità di traduzione. Segno di una bella maturità in questa terra

Leopold Steurer, da parte sua, aveva scritto un saggio a proposito 40 anni fa, e dopo si era limitato a raccogliere documenti e materiali sul tema, ma il silenzio in questo senso era quasi generale salvo gli articoli usciti in lingua tedesca sul settimanale “FF” e il quotidiano “Südtiroler Tageszeitung”. Effettivamente era ora di fare qualcosa a riguardo. Dal punto di vista del gruppo linguistico tedesco in Alto Adige, il quadro non era mai stato molto chiaro, continua lo storico, lo aveva già scritto Gatterer che finora era stato l’unico a toccare l’argomento. Tant’è che si legge una bella citazione in apertura del volume: “Il passato ci insegna … che un estremismo di destra (il fascismo italiano) non rende immune lo spirito contro un altro (ovvero il nazismo). Per cui sarà sempre necessario interrogarsi da un punto di vista democratico per quanto riguarda lo sfondo più profondo degli slogan “populisti”, soprattutto tra i giovani, e anche a favore dei giovani.” (Claus Gatterer, Südtirol und der Rechtsextremismus; traduzione della citazione a cura di chi scrive). Lo storico altoatesino di lingua tedesca fa una bella attraversata a ritroso nel tempo, a partire dalla caduta dei Freiheitlichen nelle elezioni provinciali del 2018, dove hanno perso un bel po’ rispetto all’apice vissuto nel 2008 con ben 6 consiglieri per la Südtiroler Freiheit e uno per la Bürger Union, anno in cui anche gli Schützen erano onnipresenti. Il suo testo egli lo reputa soltanto una prima uscita, cui far seguire un’analisi completa, la prima del post-Gatterer, „affinché i Biedermänner (i cosiddetti benpensanti conservatori, termine tedesco molto appropriato di difficile traduzione, ndr) vengano scoperti nel loro ruolo idiota in quanto connessi alla scena politica destroide in Austria e in Germania“.  

 

 

L’incontro di Merano ha portato qualcosa di nuovo nella questione etnica, a mio avviso, affrontando il tema in maniera molto concentrata, da ambedue le parti, relatori e pubblico, parlando ognuno nella propria lingua, senza problemi, senza tensioni, senza necessità di traduzione. Segno di una bella maturità in questa terra… Tant’è che i due storici hanno disegnato l’evolversi della scena politica dal punto di vista della destra estrema in modo parallelo in entrambe le realtà, tedesca e italiana, da cui è emerso infine un puzzle composto di grande chiarezza, da dove iniziare nuovi percorsi di ricerca e, forse, nuove strade da imboccare. Oltre quel bisogno di identità costruita da fuori… 

Torniamo a Giorgio Mezzalira e al suo racconto del formarsi di CasaPound, nata a suo avviso da quel che era la Fronte della Gioventù missina negli anni settanta che aveva i propri campi di addestramento in val Sarentino per formare le milizie nere in un’epoca in cui si erano condensati i radicalismi a destra e a sinistra. Negli anni novanta, poi, era proseguito quell’indottrinamento di una destra non conforme come alternativa alla destra classica, attenta ai nuovi bisogni, nei cosiddetti “campi Hobbit” (si erano impadroniti del racconto mitologico di Tolkien con tanto di Signore degli Anelli, tant’è che la trilogia cinematografica uscita a cavallo del Terzo Millennio era a lungo battezzata “di destra”, ndr). Qui dovevano nascere le nuove alternative dotate di nuovo linguaggio e nuove pratiche contro la destra “in doppiopetto”. Fu Donato Seppi a fungere da collettore della destra movimentista, da cui il “filo nero” conduce dritto a Casa Pound, passando per Graziani, Spedicato, i Nar e Adinolfi, il vero padre putativo e grande teorico del gruppo (che per altro si è appropriato del nome di un grande poeta, Ezra Pound, la cui figlia combatte da anni contro questa denominazione). 

Fu nel 2000 che occuparono lo stabile a Roma, dove tuttora hanno la sede, alla faccia del diktat di Matteo Salvini di voler vedere sgomberate tutte le case sfitte occupate. A questo proposito Giorgio Mezzalira riporta una notizia dell’ultima ora, dal “Corriere della sera” del 19 giugno 2019, in cui si riportava il dato rilevato dalla Corte dei conti per quanto riguarda il danno provocato allo stato di ben 4,6 milioni di euro, derivato dalla stessa occupazione. 

Sul fronte tedesco bisogna tornare indietro fino agli anni cinquanta, secondo Steurer, quando il governo monocolore italiano della DC (Democrazia cristiana) era tendente verso destra e la sinistra e le minoranze linguistiche erano viste come veri e propri nemici; quando nel 1955 l’Austria ottenne nuovamente la sua indipendenza con lo Staatsvertrag dopo dieci anni di sorveglianza da parte degli alleati e inizia una partecipazione attiva nella questione sudtirolese; quando l’evoluzione del gruppo linguistico tedesco e del suo (unico) partito di rappresentanza iniziale, la SVP, vanno nella direzione del radicalismo popolare con la prima manifestazione di massa nel 1957 al castello di Sigmundskron… Ma – dice Steurer, e lui lo sa bene – nel Sudtirolo non c’era e non c’è la tradizione di gestire i conflitti in quel modo, piuttosto si vira a destra. Ed ecco che sorsero le connessioni con persone coinvolte in associazioni in Austria e in Germania, ex-nazisti pluridecorati, mentre l’Unione delle vittime della guerra e dei soldati del fronte (Kriegsopfer- und Frontkämpferverband) costituitasi subito dopo la seconda guerra mondiale diffusero l’immagine distorta che fossero loro, la Wehrmacht, le vittime, e non i disertori o gli ex-prigionieri nei campi di concentramento. Non da meno erano i corpi numerosi degli Schützen, i veri attori della Feuernacht del 1962 e dello spostamento verso destra, complice anche il Heimatbund. Per i singoli dettagli rimandiamo ai saggi nel volume, in quanto l’intera storia si fa lunga e complessa, ma sarebbe, anzi „è“ utile la lettura per comprendere meglio le tensioni alla base di tanti screzi attuali ancora oggi, sebbene si sia calmierata notevolmente la situazione con le norme di attuazione del cosiddetto pacchetto, ossia lo Statuto dell’Autonomia del 1972, via via entrate in vigore. Benché, a partire dagli anni dieci del Duemila sia entrata una nuova variabile che ha fatto impazzire l’intero sistema: gli immigrati. Ed ecco che questa „variabile impazzita“ ha fatto riesplodere i conflitti, in una nuova direzione, agli occhi di tutti.

 

 

Per gestire meglio il futuro va studiato il passato, si dice sempre. Come è formata la memoria in Alto Adige? È condivisa o separata? - per quel che riguarda i due gruppi linguistici maggiori sui quali l’intera discussione era focalizzata. Leopold Steurer parte dal 1945/46, quando diversi uomini della resistenza di entrambi i gruppi, italiano e tedesco, erano per breve tempo - purtroppo - al timone, pronti a progettare nuove visioni, insieme, per l’Alto Adige Südtirol. Come sappiamo, però, la denazificazione in Germania, così come lo sradicamento del fascismo in Italia si è perso per strada, non ultimo per l’affacciarsi della guerra fredda e del nuovo nemico comune della ormai ex Unione sovietica, dicasi il comunismo, il pericoloso spettro che gettava ombra sul continente e sull’Europa, onde per cui la componente nera e marrone nella società tedesca e italiana fu subito riabilitata con le ben note conseguenze. Tante erano e sono le ricerche a riguardo, e citiamo qui un contributo giunto dal pubblico numeroso meranese che illustrava l’avvenuta Vergangenheitsbewältigung negli anni settanta/ottanta in Germania, a seguito del gesto di compassione di Willy Brandt di fronte al ghetto di Varsavia nel 1972 - anche grazie alle spinte di una generazione che si era ribellata ai padri complici del delitto; mentre in Italia una elaborazione analoga del fascismo non c’era e non c’è mai stata. Basti pensare alla pluriennale censura del film Il leone del deserto di Mustafa Akkad, del 1981 (!), che parla delle malefatte di Mussolini & Co nel Nordafrica...

In Alto Adige negli anni sessanta, come già accennato, arriva il conflitto etnico, più per impedire una soluzione che per accelerarla... A lungo la colpa era tutta del fascismo, dal punto di vista tedesco, mentre da quello italiano era l’occupazione nazi-tedesca durata venti mesi tra il 1943 e il 1945. Elemento di complessità da non sottovalutare fu la proibizione della lingua tedesca durante il ventennio fascista in Alto Adige, una vera spina nel cuore del gruppo linguistico tedesco cavalcata dalla SVP a favore dell’Autonomia come Wiedergutmachung ossia „atto di riparazione“, visto però di sbieco dal gruppo linguistico italiano locale, assolutamente ignaro di questa realtà di fatto e quindi totalmente incompreso come atto di per sè e come modalità di agire. Per altro in molti erano famiglie di operai trapiantati dalle regione del sud in Alto Adige proprio nel Ventennio fascista per popolare le zone industriali nelle due città di Bolzano, innanzitutto, e di Merano, a Sinigo, prevalentemente. La SVP voleva l’autonomia come rivincita ma non poteva andare a buon fine, tanto meno poteva funzionare come autonomia per entrambi i gruppi linguistici considerata in quel modo: ecco perché i cittadini italiani non si erano sentiti e non si sentono parte di essa, e non si sono sentiti né si sentono coinvolti.

Per Mezzalira la questione della memoria è assai sensibile e propone di fare un salto indietro nel tempo: come era nell’immediato dopoguerra? Non possiamo immaginarlo, non c’eravamo, ma da quanto sappiamo era impossibile in tempi di evidente spaccatura tra la minoranza tedesca e lo stato italiano un abbraccio tra i due gruppi linguistici che vivevano qui, sarebbe stato vissuto come un soffocamento! Più di memoria condivisa, Mezzalira auspica una memoria dialogante tra le due, una storia scritta a due, quattro mani, ognuna dal proprio punto di vista e dalla propria esperienza a favore di più storie invece della classica Storia. I passi da fare per diminuire i conflitti sono tanti e il tempo che ha da passare è lungo, le diverse narrazioni servono per rimpolpare una identità e non per criticarla o autocriticarla: ci vuole un consolidamento delle singole identità per andare a formare una società plurietnica, colorata, come la ghirlanda di tante lampadine di colori diversi, splendenti, che simbolicamente si accende verso l’imbrunire sopra il palco. È un processo collettivo, da compiere passo dopo passo, insieme, e non a forma di intervento chirurgico con la lama degli estremismi.