Gesellschaft | L'analisi

Priapismo monumentale

Perché esistono pochi monumenti femminili? Qual è il modo migliore per trattare un'eredità ingombrante? E Bolzano cosa ci può insegnare? Parla lo storico Hannes Obermair.
Hannes Obermair
Foto: Salto.bz

Una conferma indiretta della marginalità dell'Alto Adige/Südtirol nel dibattito pubblico italiano (altrove la sua marginalità è scontata) può anche essere letta a proposito della grande discussione sull'opportunità – o sull'inopportunità – di rimuovere dal tessuto urbano le tracce della “monumentalità infetta”, vale a dire quei reperti celebrativi che testimoniano un passato potenzialmente controverso. Quando si è molto (ri)parlato della statua di Indro Montanelli a Milano, in pochi hanno ricordato quanto compiuto in tema di “depotenziamento” dei cosiddetti relitti fascisti a Bolzano, una città e un'esperienza che avrebbero potuto invece essere menzionate per indicare una via alternativa al dilemma “conservare senza toccare vs rimuovere e distruggere”. È per questo motivo che abbiamo deciso di incontrare Hannes Obermair, lo storico bolzanino che, insieme ai suoi colleghi dell'Archivio Storico, nel 2014 e nel 2017 ha contribuito a “evirare” (l'uso di questo verbo si comprenderà meglio più sotto) due delle più eclatanti manifestazioni di priapismo monumentale presenti sul territorio: il Monumento alla Vittora e il fregio “mussoliniano” di Hans Piffrader di Piazza Tribunale. Ci incontriamo all'Eurac. Anche questo edificio è un relitto fascista. Fu infatti costruito su commissione dell'Opera Nazionale Balilla tra il 1934 e il 1936 (gli anni in cui Montanelli si preparava alla guerra di conquista in Etiopia) per ospitare le giovani iscritte alla Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Dopo la guerra fu destinato agli usi più diversi (venne anche adibito a supermercato e cinema pornografico). Adesso è un bellissimo centro di ricerca, nonché un efficace esempio di riqualificazione architettonica. Prendiamo un caffè nel dehors del bar. Intorno ancora poche persone, l'animazione dei luoghi pubblici è tuttora ridotta in seguito alle misure post-lockdown. Decidiamo comunque di salire nel suo ufficio per dedicarci con calma e senza rumori di sottofondo all'intervista.

In quel getto d'acqua è racchiusa la condizione di inferiorità della sfera femminile

Mi sono riproposto di accendere il dialogo con Obermair sollecitandolo in primo luogo a focalizzare un tema specifico: esiste una monumentalistica al femminile? Torneremo poi ad affrontare l'argomento più generale del “depotenziamento”. Preparando l'incontro, intanto un esempio bizzarro. A Nantes, il prossimo agosto, verrà inaugurata una “fontana” (questo è anche il titolo dell'opera, peraltro) che mostra la parte inferiore di un corpo di donna stilizzato mentre sta urinando in piedi. La scultrice si chiama Elsa Sahal e avrebbe motivato in questo modo il suo intervento: “Vorrei far capire all'opinione pubblica che in quel getto d'acqua è racchiusa la condizione di inferiorità della sfera femminile, visto che persino nello spazio pubblico è consentito solo a statue maschili di mostrare i bisogni fisiologici degli uomini senza sollevare un putiferio, senza alimentare pruriginosità o vergogna”. Ma Nantes è lontana. Chiedo perciò a Obermair di indicarmi se qui in Alto Adige abbiamo monumenti femminili in qualche modo apprezzabili. E presupponendone una palese assenza, o comunque una forte minoranza rispetto alla monumentalistica maschile, quali indicazioni ne possiamo trarre.

 

 

Lo spazio pubblico e monumentale risulta desolatamente disabitato da donne

 

La questione che poni è interessantissima e anche innovativa”, esordisce. “Mi vengono in mente in effetti solo pochi esempi: ovviamente l'imperatrice Elisabeth (Sissi), la patriota Katharina Lanz, una specie di Giovanna d'Arco tirolese, ma già mi devo fermare. Certo, esistono anche molte statue dedicate alla Madonna, le chiese pullulano di sante, ma si tratta per l'appunto di modelli religiosi, che non segnano lo spazio pubblico al pari di personaggi maschili tramandati e onorati anche e soprattutto per i loro meriti – o demeriti – civili”. Un altro ambito in cui il corpo delle donne figura come soggetto di tributo monumentale è poi rappresentato da allegorie o altre caratterizzazioni simboliche. “In questo senso posso citare al primo posto la Vittoria sagittaria di Arturo Dazzi, sul timpano del Monumento alla Vittoria, oppure i due bassorilievi scolpiti da Livia Papini De Kuzmik, sotto gli archi a forma di M che danno l'accesso sulla medesima piazza da via Giuliani (a proposito: anche Padre Reginaldo Giuliani fu un entusiasta fautore del fascismo, arruolatosi volontario nella guerra coloniale d'Etiopia), che raffigurano l'Italia turrita (in uno provvista di spada, nell'altro di fascio littorio) nell'atto di soggiogare le popolazioni africane. Comunque è assolutamente vero, lo spazio pubblico e monumentale risulta desolatamente disabitato da donne, e per trovare sporadiche eccezioni, a parte quelle appena citate, dobbiamo retrocedere tantissimo nel tempo, per esempio al XII secolo, recuperando il sarcofago di Mathilde von Valley, moglie di Arnoldo III di Morit-Greifenstein, che adesso si trova nella chiesa barocca di Gries”.

 

Freudianamente, un monumento sottende un'erezione (si dice infatti: erigere una statua) che è anche una visione del mondo

Pochissime donne, dunque. Il motivo non è difficile da immaginare, considerato lo scarso peso specifico che nella trama dei poteri hanno in genere avuto le rappresentanti del “gentil sesso”. Ma sarebbe perciò auspicabile un'inversione di tendenza? Accentuare la monumentalistica femminile potrebbe essere un precetto da adottare in futuro? “Non penso proprio”, commenta Obermair. “In realtà noi dovremmo adottare un approccio decostruttivo rivolto alla monumentalistica in generale. Essa interpreta già di per sé un gesto maschile. Freudianamente, un monumento è sempre un manufatto fallico, sottende un'erezione (si dice infatti: erigere una statua) che è anche una visione del mondo, di dominio dello spazio pubblico. Quindi, quello che dovremmo fare è piuttosto circoscrivere un simile gesto, non replicarlo, mediante l'apposizione di elementi stranianti che ci consentano un distanziamento critico o autocritico. Semmai, vedrei con favore procedere a un intervento più risoluto nel campo della odonomastica: non sarebbe male avere una via Simone de Beauvoir al posto di via Luigi Cadorna”.

 

I monumenti sono sistemi simbolici muti e recitano perlopiù un monologo.

Depotenziare, decostruire come via maestra al trattamento dei monumenti più ingombranti. E in futuro? Qui Obermair cita uno dei progetti recenti ai quali ha partecipato, quello delle cosiddette “pietre d'inciampo”. Si tratta, come noto, di un intervento minimalistico, ideato dall'artista tedesco Gunter Demnig, mediante il quale vengono incorporate nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime abitazioni occupate liberamente da vittime di deportazioni, piccoli blocchi di pietra ricoperti da una piastra di ottone recante il nome, la data di nascita e di morte, e il motivo del ricordo. Al contrario di una statua celebrativa, qui lo sguardo non è costretto a sollevarsi, ma ci si deve piuttosto chinare: l'attenzione non è imposta, bensì suggerita nel modo più lieve. Certo, interventi del genere non sono comparabili con la monumentalistica sulla quale sono rifiorite di recente le polemiche, ne rappresentano anzi di per sé l'esatto rovesciamento, eppure il principio potrebbe essere per certi versi estendibile. “I monumenti – conclude Obermair – sono sistemi simbolici muti e recitano perlopiù un monologo. Chi li vede per la prima volta, posto che si accorga di loro (cosa peraltro neppure scontata), vede solo la sacralizzazione di un personaggio, ma non capisce molto di più. Ci vorrebbe un elemento che raccontasse cosa si apprezza di lui, ma anche cosa sarebbe possibile raccontare di negativo. Torniamo al caso Montanelli. Fu un giornalista famoso, assai influente anche come storico. Eppure la sua opera è piena di lacune e le pagine scritte coprono anche molte cose non dette. Cosa dovremmo fare in un caso del genere? Le manifestazioni che ci sono state, la contestazione, persino gli imbrattamenti fornirebbero l'occasione per un ripensamento complessivo della sua storia personale sullo sfondo di un riesame critico della storia italiana alla luce di temi quali il colonialismo, il razzismo e il sessismo. Intervenire su quella statua, senza rimuoverla, potrebbe essere sicuramente opportuno”.

Il tono con cui lo storico bolzanino pronuncia queste ultime parole, però, lascia trapelare il suo scetticismo: probabilmente le polemiche passeranno e tutto resterà come prima. A Bolzano, al contrario, siamo stati più bravi e fortunati. Speriamo che in futuro qualcuno ci prenda finalmente a esempio.

 

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rotaderga Mo., 22.06.2020 - 08:07

Eine "Meisje pis" für den Landtagsplatz. Mit dieser oder ähnlicher Skulptur sollte "Frau" dem Laurinbrunnen Wasser zuleiten. Wäre sicher eine Attraktivität für den Magnago Platz und eine Aufwertung für Laurin.

Mo., 22.06.2020 - 08:07 Permalink