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Un altro fantasma. Un'altra storia.

Simona Vinci presenta a Bolzano il suo ultimo lavoro: "Parla, mia paura". Una discussione intorno ai fantasmi, alla scrittura e alla verità. Quale?
Simona Vinci 2
Foto: Domenico Nunziata
"Ogni storia è una storia di fantasmi e questa non fa eccezione [...] Se dico che è una storia di fantasmi è perché io ai fantasmi ci credo. Ogni volta che una presenza bussa alla mia porta, mi faccio da parte per accoglierla e ascoltare ciò che ha da dire. La scrittura in fondo è questo: lasciar entrare le voci di quelli che hanno qualcosa da dire, non importa da dove vengano o da quando vengano. Ogni storia di ogni singolo essere umano, se raccontata e ascoltata da qualcuno è declinata al tempo presente. Anche perché c'è un'altra cosa in cui credo: certi ricordi vengono dal futuro."
 
Così recita un passaggio dell'ultimo capitolo di "La prima verità", romanzo vincitore del Premio Campiello 2016, scritto da Simona Vinci, una delle voci più interessanti della narrativa italiana degli ultimi anni. A Spazio Libro, ospitata al Centro Trevi di Bolzano - con accanto la nuova sede della Biblioteca Claudia Augusta - la scrittrice discute con Giovanni Accardo dei suoi lavori precendenti e del suo ultimo libro, "Parla, mia paura". Si è parlato della sua poetica e delle storie che vengono da lontano e che ritornano tra noi, come presenze che bussano alla nostra porta in attesa che qualcuno finalmente la apra e racconti davvero com'é andata, attraverso - ovviamente - la menzogna della finzione delle parole. 
 
La mattina prima della presentazione la Vinci ha incontrato alcune classi dei licei di Bolzano, alcune classi del Liceo Carducci, altre del Liceo Pascoli. "Qui non abbiamo invitato giornalisti e scrittori da salotto televisivo ma una donna dalla scrittura visionaria, evocativa, sia per le storie che per la lingua che riesce a portare sulla carta", dice Accardo per introdurla.
 
 
Prende finalmente la parola Simona Vinci, la protagonista della serata, la quale racconta della sua entrata in scena nel mondo della finzione letteraria a venticinque anni, ormai quasi venti anni fa. Entrata in scena che ha dato vita a "Dei bambini non si sa niente", romanzo prima intitolato "Scene di morte", nella sua precendente versione in forma di racconto breve. Un racconto che comincia a tessere i fili della narrativa della Vinci, fili che non si spezzeranno mai più, dal primo all'ultimo libro, tra il mondo reale e il mondo sospeso, il mondo di mezzo.

 

La verità della perversione

"Mi sono sempre concentrata sul corpo, sul suo significato e su come questo possa ricollegarsi all'infanzia. E' un mondo incredibile, il mondo sospeso del bambino, rovinato e distrutto dallo sguardo perverso dell'adulto incastrato nel suo mondo costruito di noia. Per quanto riguarda il romanzo d'esordio, non è stato facilissimo affrontare la scrittura a venticinque anni, soprattutto per le prime critiche, i rifiuti da parte dei lettori, l'incomprensione e le accuse per via del tema del romanzo. Critiche sopraggiunte solo nei dibattiti italiani, in giro per l'Europa non mi hanno mai accusato di nulla". La scrittrice continua il suo elogio allo sguardo e alla postura dell'infanzia, enorme opportunità e punto di vista per un narratore, che si prefigge di affrontare il difficile compito di fare in modo che quello stesso sguardo non sembri fasullo o posticcio. 
Ogni singola verità appartiene a chiunque
In contrapposizione al fasullo c'è la Verità, tema scomodo e importante fin dai dai tempi antichi e dilemma irrisolvibile, che la Vinci però non ha paura di fronteggiare a viso aperto: "Ogni singola verità appartiene a chiunque, quando decide di uscire nel mondo. Non è ovviamente una verità assoluta ma una verità relativa, un disvelamento che si pone e si traspone anche in letteratura". Una letteratura, quella della Vinci, che irrita e disturba, che cerca di non consolare il lettore tra le braccia della rassicurazione della finzione a lieto fine ma - al contrario -  qui l'arte si pone come elemento del perturbante, che scuote l'animo e accende il lume della paura, quel tipo di paura che però riesce a farci stare nel mondo, quella che non ci fa pensare "perbene" ed è capace di poter interpretare il momento presente. "Anche nella vita vera, cerco di non dire bugie, di dire sempre la verità, la mia verità."
 
"La mia scrittura è concrezione, come quello che fa il mare sulle conchiglie. Il ritmo viene facile, così come la stesura. Poi viene la parte difficile: l'ossessiva revisione, le diciassette, diciotto successive stesure. Poi ci sono le varie persone in cui scrivo, la terza e la prima. Quando scrivo in prima persona sono e non sono io, rubo brandelli di vita delle altre persone, ci metto la mia, la mia voce e ascolto quella degli altri. Il mio Io è sempre letterario, mediato dalle parole e come sempre non è mai facile", conclude questa prima parte della serata, intervallata in alcuni momenti dalla lettura dei passaggi nei vari romanzi e delle poesie contenute all'interno de "La Prima verità", scritte dalla Vinci stessa.
 

Chirurgia estetica

Questo il cardine del racconto più strano e stratificato di "Parla, mia paura", l'ultimo libro della Vinci, già citato all'inizio di questo articolo. Un'arte antichissima che risale agli albori della medicina moderna, quella della chirurgia estetica, a differenza di quanti molti credano non è di recente scoperta e utilizzo. "E' sentito come qualcosa di superfluo, modificare il proprio corpo. Io ho subito un intervento, mi sono rifatta il seno anni fa e mi sembrava un buon campo per la mia scrittura. La chirurgia plastica ha molto a che fare con gli aspetti sociali della cosa, con gli affronti della vita, difetti percepiti come intollerabili".
 
Nel libro -  una raccola di meditazioni intorno all'Io - la Vinci ragiona sul proprio essere, lo mette a nudo come fine stesso della scrittura, che poi finisce per rimbalzare indietro come mezzo di comunicazione, attraverso la scrittura stessa.
Ai lettori quest'ultimo arduo compito. 
Della mia terapia quando ero in analisi, una terapia durata sette anni
"Ho cercato di riversare quello che mi sembrava di avere affrontato ancora troppo poco nella finzione. Della mia terapia quando ero in analisi, una terapia durata sette anni. Naturalmente dell'infanzia ho voluto parlare, all'interno del tema della maternità, sopraggiunto in realtà per me di recente, con in mezzo tra l'altro, un parto complicato, come succede a molte. Ho riflettuto ancora una volta sull'Io, è vero. L'Io esiste solo nel rapporto con il Tu. Quando si viene percepiti e si percepisce."
 

"Nella notte fredda e scura, chi ha paura?

Chi ha paura?

Ha paura il mio bambino di incontrare l'assassino.

Ha paura l'assassino di incontrare il suo destino"

Tiziano Sclavi