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“Un fiume di slogan”

Il senatore trentino e membro dell’Assemblea parlamentare NATO Franco Panizza (PATT) era a Washington per l’insediamento di Trump come presidente degli USA. L’intervista.
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Foto: upi

salto.bz: Senatore Panizza, lei ha fatto parte della rappresentativa italiana che venerdì 20 gennaio ha partecipato, a Washington, alla cerimonia di insediamento di Donald Trump da 45° presidente degli Stati Uniti, le sue impressioni?
Franco Panizza
: Eravamo piuttosto vicini al Campidoglio ma muoversi era impossibile, non c’è stata quindi occasione di avvicinare il Presidente. La cerimonia era blindatissima così come lo era tutta la città, misure di sicurezza imponenti lungo tutto il centro storico, cecchini sui tetti. La partecipazione è stata minore rispetto alle attese e soprattutto rispetto all’insediamento di Obama, un Presidente che indubbiamente incarnava i valori della solidarietà e della democrazia e che per questo ha mobilitato all’epoca più persone. È chiaro, al contrario, che l’approccio di Trump è più pragmatico e meno emotivo. Abbiamo assistito, da lontano, sui maxischermi, anche a momenti di protesta, alcuni dei quali sfociati in scontri con la polizia. Sui cartelli campeggiavano frasi come “Io sono musulmano” e “Trump non è il presidente di tutti gli americani”, molte espressioni di dissenso, insomma, peraltro proseguite anche il giorno dopo con la marcia delle donne. La sensazione è quella di un Presidente che ha spaccato in due il Paese. La cerimonia è stata molto patriottica, l’America del resto si compatta sempre sull’idea dell’unità. Non a caso erano presenti anche i Clinton, gli Obama e tutti quelli che si erano scontrati con Trump nei mesi scorsi. 

 

E non ha sorpreso che Trump abbia fatto del suo discorso inaugurale un Manifesto populista…
All’inizio ha ringraziato la precedente amministrazione per il lavoro fatto e poi, in linea con quanto aveva già fatto affermato in campagna elettorale, ha iniziato questo discorso dal taglio molto conservatore e protezionista pronunciando frasi come “finora abbiamo pensato al benessere degli altri e noi ci siamo impoveriti”, “abbiamo difeso le frontiere di tutti i paesi meno che le nostre” e via dicendo, snocciolando slogan in serie. La ricetta di Trump è “oggi pensiamo a noi stessi”, e quindi consumare prodotti americani, assumere americani, salvare le imprese americane e i confini americani. Insomma, l’America prima di tutto. Rispetto a un Paese che si è sempre sentito la prima potenza mondiale e che avvertiva la responsabilità di garantire quelli che sono gli equilibri del mondo, quel che si percepisce ora è il voler rinunciare in qualche modo a questo ruolo a favore dell’interesse nazionale e di una inevitabile chiusura. L’ultima parte del discorso, quella forse più sgradevole, rimarcava continuamente gli errori del passato sottolineando il fatto che gli Stati Uniti torneranno ad essere un Paese sicuro (sottintendendo quindi che fino a questo momento non è stato così), a dare lavoro alla gente e ricchezza alla classe media, a restituire i diritti e il potere al popolo togliendolo alle lobby e a riavvicinare le persone alle istituzioni attraverso questa politica protezionistica.

Ed è questa l’immagine che emerge, per quanto ha potuto notare nel breve tempo in cui è stato negli USA?
Direi di no, almeno rispetto a quello che ho visto io. Ho parlato nei giorni scorsi con alcuni americani e l’idea che si ha è quella di un Paese che ha superato la crisi economica, che è in pieno sviluppo e che offre occupazione. L’ultima considerazione di Trump aveva un forte sapore populista, “il popolo torni sovrano”, “l’America siete voi”, “le istituzioni devono essere ridimensionate”, “saranno tutti rappresentati” ecc., dichiarazioni anche condivisibili ma che ho trovato piuttosto semplicistiche. 

"Se non cambierà atteggiamento e non riuscirà a essere rappresentativo di una sensibilità più vasta sarà dura per Trump mantenere la presidenza per quattro anni"

Un discorso un po’ scontato, insomma.
Sì, ultimamente sembrava che Trump avesse in parte abbandonato gli slogan, le esagerazioni dello scontro elettorale, e una volta giurato da presidente mi sarei aspettato più equilibrio, prudenza e apertura oltre che umiltà e realismo politico ma non è stato così. 

Che presidente sarà?
Se non cambierà atteggiamento e non riuscirà a essere rappresentativo di una sensibilità più vasta sarà dura per Trump mantenere la presidenza per quattro anni. Per quanto riguarda i rapporti con gli altri Paesi spero prevalgano il buon senso e la ragionevolezza lasciando spazio a una politica più misurata. Vedo comunque positiva la volontà di recuperare un dialogo con la Russia anche perché lo scontro fra il Paese di Putin e la Nato non lasciava ben sperare. Resta chiaro che mi fido più degli USA in quanto potenza democratica, a differenza della Russia. 

A proposito della NATO Trump  ha dichiarato che l’Alleanza è “obsoleta”, questo la preoccupa?
Oggi la Nato è una garanzia e sì, c’è una diffusa preoccupazione. Trump durante il discorso inaugurale non ha detto nulla in merito ma ha fatto capire che la NATO deve “arrangiarsi” perché l’America non può pensare per tutti gli altri. Si è avvertita questa incertezza rispetto al domani, e sembra chiaro che molte cose dovranno cambiare. Riguardo la presenza americana nella Nato si discuterà nei prossimi incontri, del resto Trump si è appena insediato. La nostra è stata più che altro una visita di rappresentanza, con me c’era anche il presidente dell’Assemblea parlamentare NATO Paolo Alli, abbiamo voluto dimostrare la vicinanza dell’Italia, e del Trentino in particolare, dal momento che negli Stati Uniti vivono molti conterranei. Tutte le valutazioni le faremo durante le prossime sessioni della Nato, a partire da Sarajevo.

"Il vero problema è che l’Europa oggi manca di leadership, è un insieme di egoisti nazionali per nulla animati da una visione più ampia"

L’insediamento di Trump sembra aver dato nuova linfa vitale alle destre europee che si sono date appuntamento a Coblenza, in Germania, tornando a scalpitare e parlare di “fine dell’Europa”. Cosa dobbiamo aspettarci?
Il vero problema è che l’Europa oggi manca di leadership, è un insieme di egoisti nazionali per nulla animati da una visione più ampia, e questo accade per diversi motivi. Per esempio perché quegli egoismi nazionali si riflettono sui problemi legati all’immigrazione, perché diventa sempre più difficile farsi carico delle criticità dell’Europa intera, perché le disuguaglianze diventano sempre più nette, pensiamo a tutta la concorrenza che i Paesi dell’Est fanno alle nostre imprese. Si fa largo questa idea secondo la quale l’Europa è vissuta più come vincolo che come opportunità, è tempo, quindi, che venga ridisegnata.