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Gesellschaft | Vorausgespuckt

La pazienza della verità

È possibile distinguere il vero dal falso se tutto può apparirci indifferentemente verosimile e inverosimile?

Una settimana fa, mentre scendevo a Livorno per la breve vacanza pasquale, ascoltavo per radio le notizie relative alle sorti dell'incrociatore russo Moskva, secondo fonti ucraine colpito e già affondato, secondo fonti russe in preda a un incendio non causato da armi nemiche e comunque ancora a galla.

Per uscire dall'onirismo e da un mondo contemplato solo da Dio occorre una dialettica che medi tra soggetto e oggetto

Vero è solo ciò che non può essere falso? Falso è solo ciò che non può essere vero? Eppure sentiamo l'esigenza di un criterio esatto (incontestabile) per discernere non solo il vero dal falso, ma il vero dal vero-simile. E se in questo caso non si trattasse di una opposizione, bensì solo di una sfumatura, di uno scarto fatto essenzialmente di tempo?

Chi ha compiuto studi filosofici sa che la ricerca di un criterio esatto e incontestabile per stabilire una verità “oggettiva” ha messo capo, paradossalmente, all'acquisizione di una base di certezza riscontrabile (esauriti tutti i dubbi possibili) nell'auto-percezione di una “soggettività” protagonista di qualsiasi impresa epistemologica. Paradosso che gli avversari della filosofia speculativa hanno cercato di arginare togliendo di mezzo (o quantomeno limitando il più possibile) lo stesso soggetto conoscente, per puntare, al contrario, a una sorta di auto-evidenza dei dati oggettivi misurabili da tecniche o dispositivi di registrazione “impersonali” (è stata poi la meccanica quantistica ad aver re-introdotto il ruolo determinante esercitato dai soggetti osservanti – e dalle tecniche o dispositivi di registrazione – che addirittura modificherebbero, cioè letteralmente costruirebbero la realtà osservata). Da quel che precede, sarà anche abbastanza chiaro che tra i due poli della conoscenza (soggettiva e/o oggettiva) occorre allora introdurre una mediazione capace di farli dialogare, di metterli in relazione in modo proficuo, altrimenti la loro divaricazione ci porterebbe, da un lato, a franare dentro un soliloquio non difforme da uno stato di perenne onirismo, dall'altro verso un mondo affidato alla superstizione dell'esistenza di un repertorio di oggetti determinabili soltanto se ci fosse solo Dio ad osservarli (quindi di fatto determinati, sì, ma non da “noi”).

Reale è ciò che è indipendente dagli elementi di ogni singolo individuo

Dire, però, che occorre una mediazione, significa dire anche che la verità non è accertabile in modo istantaneo. La verità ha bisogno di tempo per emergere, perché il dialogo tra il polo soggettivo e quello oggettivo non può coincidere o darsi in un punto (o in un solo individuo), e quindi è suscettibile di continue modificazioni o approfondimenti, giacché l'accertamento ha sempre bisogno di una collettività o di un contesto sociale nel quale esplicarsi. Un filosofo che ha colto con acutezza questo aspetto dialettico, intersoggettivo e temporale della verità è Charles Sanders Peirce, al quale si è soliti ricondurre uno dei filoni principali della teoria semiotica: «Reale – scrive – è un concetto che dobbiamo avere avuto per la prima volta quando abbiamo scoperto che vi è un irreale, un'illusione; cioè quando per la prima volta abbiamo corretto noi stessi. Ora, il fatto di esserci corretti non richiedeva logicamente altro che la distinzione tra un ens relativo alle determinazioni private interne, alle negazioni appartenenti all'idiosincrasia, e un ens che permanesse a lungo andare. Il reale, dunque, è ciò in cui (...) alla fine si risolveranno le informazioni e il ragionamento, e che è quindi indipendente dagli elementi di ogni singolo individuo». Al di fuori di una “comunità senza limiti definiti”, e capace di un incremento effettivo di conoscenza da operare nel tempo, non può darsi, insomma, alcuna “verità”.

Verità e verosimiglianza si distinguono in base a uno scarto temporale

Riassumendo: distinguere una conoscenza “vera” da una “verosimile” risulterà possibile solo sul presupposto del lavoro paziente di una comunità di ricercatori orientata ad accettare la provvisorietà delle proprie acquisizioni senza rinunciare mai ad approfondirne l'indagine e a ridefinire in continuazione gli strumenti (nonché la discussione sul loro utilizzo) necessari allo scopo. Con una formula: vera è quella conoscenza - mobile - capace di ridefinire senza posa la sfumatura o lo scarto che la distingue da una conoscenza in precedenza assunta come “vera”, ma poi rivelatasi soltanto vero-simile e quindi statica. A chi, al contrario, è roso dall'impazienza di giungere al vero senza mettere in conto un lungo processo di controlli e verifiche (e di controlli compiuti sui controlli, di verifiche compiute sulle verifiche) non resterà che accontentarsi di una verosimiglianza inconsapevole di essere tale.

A proposito, ma almeno voi l'avete poi capito cos'è davvero accaduto all'incrociatore Moskva?