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È morta una poeta

“Se di me non parlo / e non mi ascolto / mi succede poi / che mi confondo”. Il primo giorno d’estate, all’età di 75 anni, è mancata Patrizia Cavalli.
patrizia cavalli
Foto: Dino Ignani

Quest’anno il solstizio in cambio dell’estate ha voluto una poeta. A definire Patrizia Cavalli (1947-2022) poeta fu l’amica Elsa Morante quando, a un anno dall’inizio della loro conoscenza, domanda a Cavalli, allora studentessa di filosofia, cosa facesse nella vita. “Scrivo poesie”, risponde Cavalli che non aveva ancora avuto il coraggio di confessarle la sua passione. “Allora fammi leggere quello che scrivi”. Dopo quella che a tutti gli effetti suona come una sfida o meglio come una minaccia, Cavalli cestina gli scritti fatti fino a quel momento e comincia un esercizio di ascolto di sé stessa che la porta a trovare le parole giuste capaci di restituire in modo reale il suo sentire.

Se di me non parlo / e non mi ascolto / mi succede poi / che mi confondo”. Una necessità quella di ascoltarsi e restituire il proprio essere espressa attraverso un linguaggio guidato da un’estrema economia, caratterizzato dall’alto peso specifico dei singoli termini, dotato di una precisione che restituisce intensità, consistenza, immediatezza. La capacità di Cavalli di realizzare l’efficace connubio tra leggerezza e profondità fa sì che, anche laddove si perda l’analisi tecnica, la comprensione della lirica sia restituita da un processo percettivo. Ci si riconosce nelle poesie di Patrizia, ci si consola leggendole, ci si confronta con la realtà del proprio io interiore. Cavalli, in un’intervista di Lisa Ginzburg pubblicata su “l’Unità”, afferma: “A me [la poesia] serve per essere immortale. Non nel senso dei posteri, per carità. Ma a essere immortale lì per lì, mentre scrivo. Mi salva dal tempo, mi restituisce l’interezza, scorre la mia ansia. E poi, questo infine l’ho capito, è l’unica cosa che riesco a fare senza sofferenza”. Se per la poeta è la scrittura ad aiutarla a orientarsi nell’esistenza, per noi è la sua lettura che ci consegna gli strumenti necessari per dare un nome a quello che si sente. Come molte altre autrici e autori, Patrizia Cavalli ha assolto il compito di dare voce a quegli stati d’animo così comuni ma così complessi da decifrare. “Ti odio perché non ti amo più / perché non posso perdonarti / di non riuscire più ad amarti.” e ancora “Che tu ci sia o non ci sia / ormai è la stessa cosa, / comunque sia io ho nostalgia.”, sono solo alcuni esempi di come i versi di Cavalli siano in grado di restituire, con una lingua familiare, una forma a sentimenti come il dolore e l’assenza che fanno parte del quotidiano di tutti ma che necessitano di una spiccata sensibilità per essere raccontati nella loro matericità. La chiarezza delle sue liriche nasconde un pensiero filosofico che indaga sui grandi temi della vita che vengono poi mostrati sulla carta attraverso un ordine che indica il centro delle cose e che dà unità alle cose.

Patrizia Cavalli ha dichiarato che voleva essere guardata come Elsa Morante guardava i suoi personaggi, voleva che quel genere di sguardo che sa di te più di te stessa si posasse su di lei. Cavalli non solo è riuscita a essere oggetto di questo sguardo, ma è diventata lo sguardo stesso per tutte quelle sue lettrici e lettori che nella sua poesia trovano quella voce altrimenti non hanno. La poeta ha scritto: “Né morte né pazzia mi prenderà: / un tremore nelle vene forse / un’acuta risata, un ingorgo / del sangue, un’ebbrezza illimitata.” Se la morte non l’ha presa, il suo non può essere che un arrivederci nei suoi versi.