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Il libro del signor G. Scerbanenco

Appuntamento a Trieste è stato ripubblicato: è uno dei romanzi di spionaggio più interessanti di sempre, scritto da Giorgio Scerbanenco, il fabbricante di storie.
Copertina di Manuele Fior di Appuntamento a Trieste
Foto: Manuele Fior

Una storia di spionaggio ambientata nella Trieste contesa dai vincitori della seconda guerra mondiale, la messa in scena della morte dell’agente americano sotto copertura Kirk Mesana (per depistare le cellule nemiche), la storia parallela della sua fidanzata triestina Diana e ancora del misterioso Vsic - è una spia anche lui? - false notizie e tensione costante. Gli alleati hanno in mano Trieste, accanto - al confine orientale - ci sono i potenziali nemici. Che fare quando tutto sembra sotto scacco e nessuno sembra potersi muovere da un quadrante all’altro? Che fare quando si muore per finta ma si vuole solo rivedere la ragazza di cui si è innamorati? Appuntamento a Trieste, il romanzo di spie di Giorgio Scerbanenco, parte da questi interrogativi per muovere i bastoncini che tengono i fili dei pupi che si divincolano a scatti nel teatrino di una cupa e misteriosa Trieste.

Su salto avevamo già parlato di Giorgio Scerbanenco, per la traduzione in tedesco della saga poliziottesca sulle vicende dell’investigatore Duca Lamberti (Venere privata, I milanesi ammazzano al sabato), fatta dall’editore Folio. Ne riparliamo, quindi, per la riedizione di Appuntamento a Trieste, un romanzo uscito per la prima volta nel 1953. La Nave di Teseo sta ristampando tutti i libri dello scrittore (e Scerbanenco conta 80 romanzi e 20 raccolte di racconti), editati dalla figlia Cecilia, che nella prefazione al libro scrive: “[...] vorrei che il lettore ascoltasse Mesana, Bet, Vsic, abbandonandosi al racconto delle loro vicende umane, senza soffermarsi troppo sulla ricerca, sulla presenza o meno dei cliché e dei canoni del genere”.

 

 

Il genere che lo contraddistingue è il noir, anche se Scerbanenco ha scritto romanzi rosa, racconti di fantascienza e fantasy, ha scritto a lungo per le riviste - quando alcune  riviste erano letterarie, come Novella e quando chi scriveva, o almeno Scerbanenco, scriveva per vivere. Fare il redattore per Rizzoli e scrivere storie inventate era un mestiere. Infatti Cecilia intitolò la biografia del padre Il fabbricante di storie. Il lettore potrebbe credere che sia un titolo altisonante o pretenzioso, che ‘fabbricante’ in luogo di ‘scrittore’ serva a sminuire il significato di quest’ultimo. In realtà è un titolo onesto, che racconta solo la verità, senza retorica. In fondo, anche Dumas veniva pagato a riga quando scriveva sui periodici.

Appuntamento a Trieste appartiene sì a un genere codificato come il romanzo di spionaggio (spioni, intrighi, depistaggi, una love story) ma Scerbanenco anticipa i tempi della letteratura italiana anche quando sembra che possa banalmente essere ascritta nella ‘letteratura di genere’ e non alla letteratura, diciamo così, generale. Appuntamento a Trieste è un romanzo transnazionale, non solo per i temi, i canoni o i clichè, non solo per i riferimenti letterari - ma anche per le intenzioni autoriali e gli spostamenti dei personaggi nei luoghi della mente. La letteratura di Scerbanenco non è per niente provinciale, non guarda alla nostalgia, non incarna perfettamente il suo presente, non va - però - neanche alla ricerca ossessiva della ‘letteratura futura’, non rincorre nessun manifesto programmatico di sorta.

 

 

Kirk, Bet, Holbes, Vsic, Diana, Riccardo, Bella (la Cassandra della storia). I nomi dei personaggi sono già essi rappresentativi di tutto il romanzo e se i nomi dei personaggi sono portatori di significato che non si esauriscono nel personaggio stesso, allora questi nomi sono la letteratura di Scerbanenco, la sua capacità di poter essere ecumenico come fabbricante di storie. L’uso dell’americano (a memoria, non usa mai l’aggettivo ‘inglese’) per impreziosire le frasi e creare - questo sì, è un trucco - l’atmosfera, è architettato con maestria. Così come la dipanazione della storia principale, che ogni tanto Scerbanenco lascia da parte e distrae volontariamente il lettore con altre informazioni: la love story (che però è legata all’intreccio), la condizione psicologica e crepuscolare di Kirk Mesana, le speculazione che i personaggi fanno per sciogliere i nuovi misteri. La risoluzione finale sembra sempre lontana, il caso sempre più complicato. E prima che ce ne si possa accorgere il gioco è finito e Scerbanenco ha fatto di nuovo scacco matto.

La bellissima copertina del fumettista e illustratore Manuele Fior ritrae un uomo misterioso avvolto in una palandrana grigia - con tanto di cappello che ne oscura il volto - e il dettaglio della gamba di una donna con il tacco, uno davanti all’altra (è pur sempre un appuntamento) e nel cielo color cobalto c’è la foschia. Ma il lettore non pensi che ci siano il racconto crepuscolare e metaforico in prima persona, i dialoghi scritti in un italiano ricalcato dai film americani o il fumo dei sigari (le sigarette sì) di zelanti commissari in gessato. Fuori dal cliché del senso comune, dentro la storia.