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Mor. Storia per le mie madri

La graphic novel di Sara Garagnani è da leggere se si vuole ricostruire il puzzle della propria famiglia.
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Foto: salto books

Una delle storie più difficili da raccontare con onestà è quella della propria famiglia. Ammettere i limiti dei genitori, criticare i loro comportamenti, prendere le distanze tanto dal loro pensiero quanto dalle loro azioni significa “declassare” queste figure dal ruolo di madre e padre a quello di persone. Proprio nel momento in cui la mamma e il papà, la nonna e lo zio, la sorella e il fratello diventano donne e uomini, è possibile procedere con un lavoro di scavo che quasi sempre porta in superficie quei segni che fanno del nucleo familiare una realtà che della perfezione conosce ben poco.

“Mor. Storia per le mie madri” – pubblicato da add editore – è una graphic novel di Sara Garagnani che accoglie l’autobiografia dell’autrice e la biografia della madre dell’autrice partendo dal rapporto che quest’ultima aveva con la propria madre. “Mor” è una parola svedese che significa “madre”: mormor significa nonna materna; mormorsmor bisnonna: tre lettere che collegate tra loro riescono a tracciare a ritroso la linea materna, un’operazione questa fatta da Garagnani stessa per trovare un significato ad avvenimenti realmente accaduti. La storia che abbraccia le vicende di Sara, Annette e Inger è percorsa da un’unica voce narrante facendo sì che l’elemento autobiografico e quello biografico si compongano dando luogo a un romanzo corale dove la vita di una donna ha un’eco su quella della generazione successiva. In questo concatenamento, che come dichiarato dall’autrice è una ricostruzione in cui la veridicità non può essere garantita, prendono spazio temi come la complessità dell’amore materno e filiale, le difficoltà di equilibrio mentale e la questione delle dipendenze. Senza retorica ma con la curiosità di chi è spinta da un bisogno che è diventato desiderio di capire, Garagnani narra come la sua esperienza familiare sia la conseguenza di ciò che ha vissuto Annette: in una pagina che ospita lo schema della sua linea materna, Garagnani scrive “È nella ripetizione di certe azioni, di certe riflessioni, di simili reazioni a circostanze che quel segreto sembra parlare. Sembra di sentire il ritornello della madre abusante che ripete il copione della propria infanzia abusata. Sembra il canto delle bambine che diventano loro malgrado le prossime carnefici”.

Le parole e i disegni di “Mor” raccontano episodi di madri violente e distanti, di madri in difficoltà senza mai far uso di quella severità che spesso si riserva a chi tradisce delle aspettative. In questo intreccio di storie, la figura materna si rivela nella sua fragilità e fallibilità, condizioni queste ereditate dall’esperienza filiale. In “Mor. Storia per le mie madri” non c’è la mamma cattiva, ma la persona intrappolata in un dolore che si può definire atavico poiché tramandato di generazione in generazione. Garagnani mette sulla pagina la rabbia, la tristezza, la depressione, la solitudine di sua nonna e sua mamma usando uno sguardo libero dal giudizio. In quest’operazione di ricostruzione genealogica che non prevede né risentimenti né abbellimenti si scorge il senso di libertà dello sgravo dal peso familiare.