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“L’utopia è come un motore”

Enzo Nicolodi, nato a Cermes nel 1950, ha avuto un ruolo importante al fianco di Alexander Langer nel movimento giovanile del '68, a cui ha partecipato molto attivamente.
Nicolodi, Enzo
Foto: Georg Mayr

In che modo manifestavate le vostre idee e opinioni?

Enzo Nicolodi: Le nostre prime forme di protesta erano scritte e per quelle usavamo il nostro “muretto”. In tedesco si chiamava “Kunstrampe”. Era in Corso Libertà, vicino alla Cassa di Risparmio. Ci incontravamo lì in estate, mentre in inverno ci trovavamo alla birreria Forst. Quando succedeva qualcosa di importante, ci riunivamo alla “Kunstrampe” e attraverso dei manifesti informavamo la gente su ciò che stava accadendo, mettendo in chiaro ciò che pensavamo. Per esempio, una volta abbiamo scritto: “No alla guerra del Vietnam”. Per diffondere il nostro pensiero sfruttavamo anche riviste e giornali: uno di questi era “Il ponte”. Inoltre, nel 1979, abbiamo fondato una radio: Radio Alpha, che trasmetteva solo a Merano. Da lì passavamo un po’ di musica rock e commentavamo ciò che succedeva nel mondo. Spesso organizzavamo manifestazioni contro le ingiustizie sociali proprio nel centro di Merano. Una volta, per esempio, abbiamo organizzato un corteo di protesta contro l’invasione di Praga, mentre un’altra volta ancora ci siamo sdraiati sulla strada, in Corso Libertà, bloccando il traffico. Il nostro obiettivo era ottenere un centro giovanile, un luogo di incontro per i giovani, che allora ancora non avevamo.

A Merano molti usavano l’eroina, anche dei miei amici sono morti per questo motivo. Una parte del movimento del Sessantotto in Italia è stata distrutta dal dilagare di questo problema e anche il terrorismo ha influito davvero molto.

Quali sono stati, secondo Lei, gli aspetti negativi o critici del Sessantotto?

Sicuramente il consumo di droga, nato dalla cultura americana, è stato un aspetto negativo di quegli anni. Per molti giovani la droga era una forma di protesta contro la società. A Merano molti usavano l’eroina, anche dei miei amici sono morti per questo motivo. Una parte del movimento del Sessantotto in Italia è stata distrutta dal dilagare di questo problema e anche il terrorismo ha influito davvero molto. Negli anni Settanta molti giovani erano convinti che la democrazia non bastasse a cambiare le cose e quindi hanno formato dei gruppi terroristici: in Germania la RAF e in Italia le Brigate Rosse, o i Nuclei Armati Proletari, per nominare i più noti. Un altro punto critico è stato, senza dubbio, il rapporto con il movimento femminista. La nascita del femminismo e la richiesta da parte delle donne di partecipare alle decisioni, hanno messo gli uomini in crisi.

Crede che il movimento del Sessantotto in Alto Adige abbia avuto successo?

Il Sessantotto è riuscito a mostrare che la divisione dei gruppi etnici è una cosa negativa e, per di più, ha messo insieme italiani e tedeschi: artisti e studenti di entrambi i gruppi linguistici lavoravano per costruire qualcosa insieme, un Sudtirolo diverso.

Pensa che oggi una rivoluzione come quella del ‘68 sarebbe possibile?

I giovani di oggi sono più maturi e saggi, ma hanno meno fiducia nel futuro. Noi eravamo sicuri di poter cambiare qualcosa. Avevamo una visione. Pensavamo che tutti insieme avremmo potuto migliorare il mondo in cui vivevamo. Sono convinto che il modo di vivere di oggi, che è molto diverso da quello del Sessantotto, possa motivare un nuovo grande cambiamento.

In che cosa consiste l’eredità del Sessantotto?

La prima eredità che il Sessantotto ha lasciato alla storia è costituita da personaggi molto interessanti come Norbert Kaser, un poeta sudtirolese, o anche Alexander Langer stesso. Tutto quello che quest’ultimo ha scritto rappresenta un’eredità importante, da ritrovare ad esempio nei suoi libri sulla società multiculturale. Già negli anni Novanta Langer aveva previsto ciò che sta succedendo adesso: diceva che dovevamo prepararci a vivere in una società multiculturale e oggi il multiculturalismo è la norma. Un’altra eredità del Sessantotto sono sicuramente le tante libertà ottenute. La libertà d’espressione e d’informazione, l’aborto e il divorzio sono frutti di questo movimento. Nel corso della storia si fanno sempre cinque passi in avanti e tre indietro, ma se ne fanno comunque sempre due in avanti.

Il Sessantotto è riuscito a mostrare che la divisione dei gruppi etnici è una cosa negativa e, per di più, ha messo insieme italiani e tedeschi: artisti e studenti di entrambi i gruppi linguistici lavoravano per costruire qualcosa insieme, un Sudtirolo diverso.

Secondo Lei, la ribellione e le manifestazioni fanno parte di una società utopistica?

La ribellione e le manifestazioni sicuramente no, poiché queste fanno parte della storia dell’umanità. Se dentro questa ribellione però riusciamo ad avere un’utopia, una visione, questa può aiutare molto a credere e ad ottenere una società migliore. E’ necessario avere la forza di immaginare la società del futuro. La protesta e la ribellione, senza un progetto, sono a breve termine, nascono e finiscono… bisognerebbe dare loro continuità.

Come si immagina una società utopistica? 

Per me l’utopia è un motore. Io sono una persona che si alza alla mattina e pensa: “Che idea geniale mi verrà oggi? Che cosa posso costruire?”. Mi piace essere creativo, mi piacciono le persone creative e vorrei ci fosse più voglia di fare e creare.

Secondo Lei, i suoi obiettivi erano realistici?

No, erano utopistici perché auspicavamo ad una società quasi paradisiaca. Immaginavamo di costruire una società di relazioni umane profonde in cui tutta la gente stava bene, ma poi ci siamo resi conto che la vita sociale è fatta di tanti aspetti positivi e negativi ed è impossibile fare contenti tutti. È una lotta continua, nel senso che la vita ti confronta ogni giorno con questa realtà. Quando sei giovane hai un’energia immensa, puoi costruire la tua vita insieme agli altri. Forse mi sarebbe piaciuto anche fare altre cose, magari in un’altra vita, per esempio approfondire gli studi, imparare a suonare uno strumento, o imparare a parlare meglio l’inglese.


Perché secondo Lei in Alto Adige l’interesse dei giovani per la politica sta calando?

Non solo in Alto Adige, anche nel resto d’Italia è in calo. La politica è stata sempre un teatrino e pochi, tra questi personaggi, erano “persone” e hanno fatto vera politica. Oggi la politica è un sistema che favorisce una classe sociale economicamente forte, agevolata, in parte corrotta. I giovani oggi non vedono la politica come la vedevamo noi, ossia come trasmissione di valori e di ideali. Oggi per molti è un sistema per fare soldi e per avere potere, non uno strumento per il bene comune. La politica è una cosa importantissima e bellissima, una passione umana che significa “occuparsi della vita di tutti”. Se non ci occupiamo di politica, se ne occupano gli altri con i loro interessi, quindi è giusto partecipare.

Quali valori erano e sono ancora importanti per Lei? 

Senz’altro i diritti umani e civili. Ogni persona deve essere rispettata e deve poter usufruire dei propri diritti. Ognuno dovrebbe avere le stesse opportunità: di studiare, di lavorare, di partecipare alla vita civile. Essere cresciuto in una società bilingue, con ragazzi di lingua italiana e tedesca, è stato molto importante per la mia formazione. Io mi trovo bene in ambienti bilingui: se sono in un luogo in cui vivono solo italiani, mi manca la parte tedesca e viceversa. Io sto bene laddove italiani e tedeschi “condividono”. Più che “convivenza”, la parola del futuro è, secondo me, “condivisione”.

 

Questo articolo è tratto dal numero di marzo 2018 del giornale di strada zebra.