Natale
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Gesellschaft | Avvenne domani

Natale di guerra

Ai lembi estremi di un’esistenza.

Siamo dunque in guerra. Ce lo ripetono, anche se l’invito ossessivo a non abbassare la guardia farebbe pensare ad un incontro di boxe con Mike Tyson più che ad un conflitto mondiale. Siamo in guerra, anche se il nemico è invisibile e il rischio di cadere sotto il fuoco amico piuttosto rilevante.

Vien da pensare allora, tanto per ritrovare il senso delle parole e delle proporzioni, agli anni in cui la guerra c’era davvero.

Ottant’anni fa per esempio. Natale 1940. Quando tra l’altro, a volerci riflettere, nascevano o erano nati da qualche mese o da qualche anno molti di coloro che oggi sembrano essere divenuti i bersagli prediletti di questo virus che ci chiude a doppia mandata in un’intimità non voluta.

Se quello che stiamo vivendo sino agli sgoccioli è un anno orribile, anche quello, il 1940 intendo, non scherzava davvero.

Era iniziato in Alto Adige con la conta definitiva di coloro che sino all’ultimo spicciolo del San Silvestro del ’39 avevano avuto tempo per scegliere: o restare nella terra abitata da sempre, rinunciando definitivamente ad ogni diritto di lingua e cultura o restare tedeschi, partire, ammaliati dalle sirene con la doppia esse sul bavero, e andare a rimpolpare i ranghi della razza eletta di Adolf Hitler. Partire per un futuro da coloni nel Lebensraum. Molti, quasi tutti avevano scelto di andarsene, anche se significava prendere la cittadinanza di un paese già in guerra e lasciare un’Italia ancorata ad un’incerta neutralità.

Siamo di nuovo in guerra, ci ripetono. Allora, viene da pensare agli anni in cui la guerra c’era davvero: al Natale 1940, per esempio

Avevano preso i treni verso nord i richiamati alla leva nella Wehrmacht e la solerzia dei carnefici aveva avuto premura di deportare subito anche i malati di mente e i disabili, destinati a far crescere le cifre del programma di purificazione della razza.

Poi erano partite le famiglie intere. Cinquantaseimila persone nei primi dieci mesi dell’anno secondo le statistiche ufficiali. Avviati verso un destino incerto, parcheggiati nel Reich in attesa delle conquiste da realizzare.

In quei mesi anche l’Italia era entrata in guerra. Travolto dall’impetuosa avanzata delle truppe tedesche che avevano liquidato la Francia in men che non si dica, Mussolini si era avventato sulla preda, fiutando la possibilità di far bottino. A Bolzano le sirene dell’allarme aereo erano suonate all’indomani della dichiarazione di guerra, ma erano solo esercitazioni. I segni del conflitto erano tutti nelle limitazioni all’acquisto di prodotti alimentari, dei tessuti per fare un vestito, e soprattutto nella partenza dei richiamati. Nelle case restavano le donne e i vecchi.

In quei giorni di dicembre, ad onta degli imbellettamenti sparsi a piene mani dalla propaganda ufficiale, iniziava a spargersi, a Bolzano come altrove, il senso amaro di una disillusione. La guerra lampo di primavera non aveva portato alla pace prevista. Mussolini poi, coltivando l’incipiente senso di inferiorità verso l’alleato germanico, aveva scatenato il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, l’offensiva verso un altro stato governato da un regime parafascista, la Grecia. Stavolta però non c’era stato un Savoia ad assicurargli una vittoria a buon prezzo. I greci temprati dalle guerre balcaniche di inizio secolo stavano facendo a pezzi le mal dirette divisioni italiane. Proprio in quei giorni di vigilia natalizia la controffensiva ellenica stava ricacciando in Albania i nostri soldati. Le famiglie a Bolzano come altrove sapevano poco e molto temevano, così come quelle che avevano congiunti in Libia o in Etiopia dove gli inglesi stavano impartendo dure lezioni ai militi di un impero appena proclamato e già prossimo a svanire nel nulla.

Quello del 1940 è dunque il primo Natale che in molte famiglie italiane e tedesche dell’Alto Adige viene trascorso con il pensiero inchiodato ad un marito, ad un padre lontani nelle trincee, con il fiato sospeso in attesa di una lettera che porti buone notizie o di un messaggio ufficiale che ne rechi di spaventose. Nel frattempo ci si arrangia a vivere una vita di tutti i giorni che assomiglia solo in apparenza a quella dei tempi di pace. Basta scorrere la cronaca, abbondantemente purgata dalla censura, dei giornali dell’epoca per rendersene conto. I titoli di scatola sono riservati alle notizie di dubbia veridicità sull’andamento del conflitto, ma anche la cronaca minore si adegua ai tempi bui. Quella del 24 dicembre 1940 racconta di una negoziante di Marlengo che viene arrestata per aver imboscato 23 chili d’olio. Un suo collega di Nova Levante è condannato ad un anno di reclusione per lo stesso reato. Sono notizie pubblicate con evidente scopo pedagogico. Il resto della cronaca nera è ridotto, come da disposizioni superiori, ai minimi termini: un contadino muore assiderato dopo un incidente sul lavoro. Un 37enne di Merano viene processato per quelli che il giornale definisce “atti sconci” su una bambina.

Il resto della cronaca è sostanzialmente un foglio d’ordine del PNF. Si raccolgono pacchi dono e libri da inviare ai soldati al fronte. Le aziende, non si sa quanto spontaneamente, donano generi di prima necessità da distribuire alle famiglie dei richiamati. Numerosi bambini di Merano scrivono una letterina per rinunciare ai dolci della Befana a favore dei militari al fronte. Sempre a Merano, ma anche a Bressanone e Fortezza, le donne confezionano corredini da neonato da donare alle future mamme in occasione di un’apposita ricorrenza. Gli svaghi sono quelli leciti in tempo di guerra. Vietati balli e cenoni ci si consola ascoltando alla radio concerti di musica classica e moderna interrotta dai bollettini militari oppure andando a rifugiarsi nel buio di una sala cinematografica.

Natale di guerra per i bambini di allora. E per quelli cresciuti di oggi. Speranzosi che anche questo dramma prima o poi finisca

Al cinema Roma di Bolzano, il 24 dicembre del 1940, si proietta “La figlia del Corsaro Verde” con la bellissima Doris Duranti, amante del gerarca Pavolini e il fascinoso Fosco Giachetti. Al cinema Dante è annunziato l’arrivo di un film americano (per Pearl Harbor manca ancora un anno) con la divetta Deanna Durbin. Molti film in cartellone sono di produzione germanica, della Universum Film più conosciuta con l’acronimo UFA. Sono distribuiti ovviamente con il doppiaggio in italiano. L’alternativa possibile è quella di assistere ad una partita di calcio. Imperversa all’epoca la squadra del dopolavoro della Magnesio che va a battere i rivani della Benacense per 3 a 1.

Trascorrono così un paio d’ore nella sala di un cinema o sulla tribuna di uno stadio per cercare di allontanare le tristezze ei cattivi pensieri. L’incertezza del futuro nasconde una verità sconfortante: ci vorranno ancora cinque anni prima di poter festeggiare, in una Bolzano semidistrutta dai bombardamenti, un Natale senza guerra ma, per molti, passato ancora nell’attesa di quei soldati partiti per il fronte e prigionieri in terre lontane, dispersi, sepolti in una fossa senza nome.

Natale di guerra per i bambini di allora. Alcuni di loro, oggi si sentono ripetere che c’è un'altra guerra in corso e che per non finirne vittime dovranno chiudersi nella loro solitudine. Sperando che anche questa, come quella del ‘40 prima o poi finisca.