Gesellschaft | competitività urbana

La geografia del futuro

Intervista a Daniele Ietri, docente della Libera Università di Bolzano, esperto di competitività urbana, ci spiega l’importanza della ricerca geografica.
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Foto: Unsplash

Intervista di Lisa Bringhenti

 

Il Professor Daniele Ietri, new entry come docente di Geografia presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, ci racconta il suo campo di specializzazione: la competitività urbana. Esperto in dinamiche socioculturali e politiche territoriali, il Professor Ietri, narra l’evoluzione del suo percorso nel campo della ricerca geografica e svela alcuni progetti futuri. 

 

Professor Ietri, ci può spiegare cosa si intende per ‘competitività urbana’?

Si parla di competitività urbana per descrivere il fatto che le città odierne siano in competizione tra loro. Oggi il mondo è totalmente interconnesso e globalizzato, così come l’economia. Le imprese e le persone sono mobili, motivo per cui le diverse città entrano in competizione reciproca allo scopo di ‘accaparrarsene’ il maggior numero possibile. ‘Competitività urbana’ significa quindi riuscire a pianificare le politiche giuste per la città, stando al passo con tutti i fattori mobili di un mondo interconnesso e nel rispetto dei bisogni dei cittadini.

Ci può fare alcuni esempi di variabili che caratterizzano la competitività urbana?

Certo, prendiamo per esempio una città universitaria. Quando si istituisce un ateneo, non si costruisce solo un edificio per ospitarlo. Significa anche dover accogliere studenti e professori che arrivano da lontano, magari anche dall’estero. Questo crea posti di lavoro, ma determina anche il bisogno di soddisfare nuovi abitanti con nuove necessità. Tutto ciò ha un forte impatto sulla città, che può diventare un luogo più vivo, attraente e multiculturale. Tutti questi cambiamenti e processi vanno quindi accompagnati con le politiche urbane adatte. Per farlo si studiano statistiche, si osservano i processi e si ascoltano gli interessi delle diverse realtà: dei cittadini, degli imprenditori e dei policy makers.

Quanto conta la ricchezza di una città per la sua competitività urbana?

Non è sufficiente che una città sia ricca per essere competitiva a livello urbano. La competitività urbana unisce anche il punto di vista delle persone, della qualità della vita, delle amenità urbane (ovvero l’insieme dei perché si voglia vivere in città) e della facilità di accesso. Per esempio, le città più competitive sono quelle più tolleranti, che sanno dare appagamento nella vita alla più grande diversità di persone, per religione, orientamento sessuale, età, composizione familiare, abilità e disabilità fisiche, condizione economica e così via. Le città più competitive sono proprio quelle capaci di dare a tutti opportunità, nel lavoro, nello svago e nella vita privata - e con “tutti” intendo proprio “tutti”. Le città che si chiudono alla diversità e al cambiamento perdono i loro talenti, l’innovazione e la competitività che ne derivano. Proprio per questo è importantissimo che le politiche urbane siano volte verso l’accessibilità - fisica, economica e sociale - alla città.

Chi si occupa di studiare la competitività urbana?

Al momento, sono molto orgoglioso di far parte del Global Urban Competitiveness Project (GUCP, www.gucp-us.org), una rete di una ventina di studiosi di geografia ed economia provenienti da quasi tutto il mondo. Da qualche anno lavoriamo assieme sul concetto di competitività urbana. È interessante scoprire le realtà diverse esistenti in ogni continente e ci permette di considerare i punti di vista più vari. Spesso, infatti, non si tratta di trovare le soluzioni a un problema, ma piuttosto di porsi le domande giuste, di considerare le prospettive e i bisogni di tutti gli attori in causa. 

 

Negli ultimi anni, si è occupato principalmente di città di media e piccola dimensione. Perché questa scelta?

Ci sono due motivi. Partiamo da quello più scherzoso: quando si va in un luogo selvaggio, prima si vedono gli animali grandi, ci si lascia ammaliare dagli elefanti e dai leoni; mentre solo in un secondo momento si scoprono animali piccoli, ma interessantissimi. Allo stesso modo, le piccole città celano delle realtà complicate e stimolanti per la ricerca. Il motivo più serio riguarda invece la crisi economica del 2008: sono state proprio le città di piccole e medie dimensioni a reagire meglio alla crisi negli ultimi 10-15 anni. Questo mi ha spinto a volerne comprendere il perché.

Inoltre, specificatamente negli ultimi 2-3 anni, mi sono concentrato su città dalle dimensioni minuscole, che si trovano nelle cosiddette aree interne o aree marginali. Queste città soffrono di gravi problemi di spopolamento e invecchiamento della popolazione. Si tratta infatti di paesini lontani dai centri di offerta di servizi, dai quali i giovani scappano a gambe levate. Per questo la popolazione invecchia e pian piano si spopola. Si sta rivivendo quello che successe negli anni 50-60, quando la gente cominciò a lasciare le campagne per spostarsi in città. Ma ora non si tratta solamente di un processo di urbanizzazione: gli spostamenti vanno specialmente da sud verso nord. Il mio compito di ricercatore è quello di analizzare questi cambiamenti e interrogarmi sul da farsi.

Abbiamo parlato dell’invecchiamento della popolazione come causa di spopolamento. Ma nel suo libro in collaborazione con il Professor Peter Karl Kresl, ‘The Aging Population and the Competitiveness of Cities’ si parla invece dei benefit dell’invecchiamento per l’economia urbana. Ci spiega cosa vuol dire?

L’idea parte dal fatto che la società odierna invecchi di più rispetto al passato: si vive più a lungo e in salute. Attualmente le politiche pubbliche considerano solo gli aspetti negativi dell’invecchiamento, come la pressione fiscale che ne deriva. Quello che ci siamo chiesti io e il professor Kresl è se tutti questi anziani siano ugualmente considerabili. Osservando i miei genitori e i miei conoscenti senior, mi sono reso conto dell’esistenza di una grossa quantità di pensionati che, godendo di buona salute e avendo beneficiato di una buona istruzione e di una carriera, esprimono delle esigenze diverse dagli anziani delle generazioni precedenti. Uscendo, andando a teatro, viaggiando, questo gruppo di senior costituisce un pezzo importante dell’economia e sostiene esattamente ciò che solitamente caratterizza una città attrattiva, ovvero la ristorazione, il teatro, le associazioni culturali, il volontariato, e via dicendo. Tutto questo ha un impatto positivo per la città e rappresenta quindi un benefit per l’economia urbana.

Professor Ietri, tra i suoi progetti degli ultimi anni compaiono anche alcuni film documentari. Da dove è nata questa idea?

Alcuni anni fa, assieme ad altri amici, ho fondato un collettivo che riunisce ricercatori (anche in campo geografico) e professionisti dell’audiovisuale. Ho voluto scommettere sull’idea di usare i documentari per raccontare storie di luoghi. Il progetto ha avuto molta fortuna. La svolta è avvenuta quando abbiamo ottenuto le pellicole 16 mm realizzate da una giovane donna, Ninì Pietrasanta, che negli anni 30 scalava le più alte vette delle Alpi in un gruppo di soli uomini. Siamo riusciti a restaurare le pellicole e farne un film dal titolo ‘Ninì’, che ha poi vinto diversi premi, tra cui, a Trento, il Premio Città di Imola 2015 e il premio Genziana d’Oro.

Da poco è uscito un nuovo documentario, Storia dal qui, questa volta sulle aree interne e marginali. Si tratta della storia raccontata dal punto di vista di meridionali emigrati al nord, di una figlia che prova a ricostruire la memoria della sua famiglia tornando nel luogo di origine. Siamo molto contenti di questo traguardo, perché un documentario non deve solo essere di alta qualità cinematografica, ma deve anche aiutare ad aprire un dibattito di senso contemporaneo. E pensiamo di esserci riusciti con Storia dal qui, che ci permette di riflettere sul tema della migrazione interna, di cui si parla troppo poco. L’audiovisuale è un metodo potente per fare ricerca e comunicazione, per toccare argomenti complicati e contemporanei aprendosi a un gruppo molto ampio.

Prevede di continuare a lavorare in questa direzione in futuro?

Assolutamente. Questa è la ricerca che spero di fare in futuro. Voglio produrre racconti visuali di luoghi. Poter unire la mia ricerca al lavoro della piccola troupe audiovisiva che mi sostiene è una prospettiva veramente allettante. Il mio obiettivo è quello di proporre queste tematiche attraverso il documentario, in modo da portare conoscenza e dibattito, e da invitare la gente a porsi nuovi interrogativi e forse anche delle risposte.

Altri progetti futuri?

Al momento bollono in pentola alcuni nuovi progetti di ricerca per cui è troppo presto parlare. In merito al mio lavoro con il Global Urban Competitiveness Project, sto attualmente preparando una conferenza sulla tolleranza e sulla competitività, che si terrà a novembre in Corea.

Inoltre, mi piacerebbe lavorare sulla città di Bolzano in futuro, che mi sembra un bellissimo centro di studio. Per il momento però, mi concentro specialmente sul mio nuovo ruolo alla Facoltà di Bressanone, che rappresenta un progetto molto stimolante per me. Accanto al classico insegnamento cattedratico, il mio corso prevede delle lezioni di laboratorio, più pratiche e concrete nell’applicazione della geografia alla nostra vita quotidiana. Credo che questo sia fondamentale nell’insegnamento della didattica della geografia. C’è spesso tanto pregiudizio sulla geografia scolastica, che sia insegnata male o sia poco interessante. Per questo voglio dirigere i maestri del futuro verso un insegnamento della geografia più moderno, reale e concretamente applicabile.