Kultur | Salto Afternoon

Sono apparso a Peter Brasch

"Fratello minore" di Stefano Zangrando, o della biografia come inseguimento.
Stefano Zangrando
Foto: Foto: Giulio Monteduro

Un biografo si impegna affinché l'oggetto disincarnato della sua indagine gli appaia; se ne occupa in maniera caparbia, gli sta dietro senza pause, lo segue passo passo nelle sue peregrinazioni immateriali. Talvolta accade che la tenacia del biografo, nient'altro che una declinazione dell'amore, raggiunga un'intensità tale da far sì che lui e il protagonista della sua ricerca, uno scrittore defunto e dimenticato, si scambino i ruoli: dedicandosi al suo oggetto con movente puro e disinteressato, il biografo si travasa a poco a poco nella sagoma vuota dello scrittore, colmandola della propria dedizione fino a dotarla della capacità di amare e di vedere. Succede allora che lo scrittore defunto, materializzato da tante attenzioni, apra gli occhi a bruciapelo e guardi in faccia il soggetto che lo indaga.

Questo genere di riconoscimento per così dire «rovesciato» è la variante umile di quello istrionico, ìlare e profondo evocato dalle quattro parole che compongono Sono apparso alla Madonna, titolo della prima autobiografia di Carmelo Bene, il cui unico difetto è di essere una sintesi talmente riuscita della personalità dell'autore da rendere superflua la lettura del libro. Se proviamo a spostare l'espressione «sono apparso alla Madonna» dai contesti possibili entro cui siamo portati a leggerla – dallo smartphone, per esempio, dove assolve la funzione di implicita didascalia per milioni di selfie; o dal taccuino di un mistico col capo circonfuso d'aureola; oppure dai lemmi di un austero dizionario di psichiatria aperto da una folata di vento al capitolo «delirio di grandezza»; o dal biglietto da visita di un genio; o da una storia dell'iconografia messa a soqquadro, in cui san Sisto col bambino in braccio incede su drappi di nubi panneggiati ad arte tra santa Barbara e la Madonna di Dresda –, perdiamo il filo del discorso ma infiliamo l'ingresso posteriore dell'ultimo libro di Stefano Zangrando, Fratello minore, pubblicato dalla casa editrice Arkadia nel 2018 e da poco tradotto in tedesco da Michaela Heissenberger per i tipi dell’Eulenspiegelverlag di Berlino. Qui, nell'epilogo fanta-biografico che chiude il volume, la forza immaginifica dell'autore, dosata con attenta parsimonia nei capitoli precedenti, si libera pienamente per poi raddensarsi nell'immagine che sigilla la trama principale del libro: Zangrando, dopo aver inseguito per quasi duecento pagine lo scrittore berlinese Peter Brasch, ripercorrendone le tracce biografiche e letterarie, lo raggiunge nella stanza e sul letto dove Brasch morì, il 28 giugno 2001, poi gli si butta addosso e lo scuote fino a risvegliarlo. Ecco allora che Peter si gira su un fianco, guarda Stefano negli occhi e ride. Fratello minore finisce così, con l’apparizione attiva del biografo alla sua madonna, all'oggetto della propria indagine, trasformato dalla sua dedizione in un soggetto in grado di vedere.

Fratello minore è un libro complesso che si legge con semplicità

Una rilettura del libro eseguita a ritroso, cominciando dalla fine, ha il pregio di far risaltare l'impalcatura strutturale, ossea, sulla quale poggia la polpa narrativa del testo di Zangrando: se l'epilogo di Fratello minore è la fine di un inseguimento, il libro intero è un inseguimento, o più precisamente una biografia come inseguimento. Per verificare questa ipotesi, occorre disinteressarsi di quello che il libro racconta per provare a dire come è fatto: dal punto di vista linguistico Fratello minore è un montaggio di materiali eterogenei, un assemblaggio di testi appartenenti a generi diversi, che reclamano scritture differenti. Alcuni testi, biografici in senso stretto, attraversano il libro dal principio alla fine formando la traccia documentata di un arbitrio: il volto di Peter Brasch appare, dispare e riaffiora in un flusso di prose brevi, ribellioni, amori, storie familiari e di regime, romanzi non scritti, poesie, aspettative deluse, radiodrammi, la passione per Pessoa, ubriacature; il tutto trascinato a ovest da una corrente realsocialista che ruscella senza saperlo verso e oltre il 1989; altri testi sono ricavati da microstorie di Berlino est che si incastrano nel grande racconto della Germania prima e dopo la caduta del Muro; altri sono i ricordi di prima mano di chi conobbe Peter Brasch dislocati da Zangrando sul palcoscenico di un teatro immaginario; altri ancora delineano il segmento autobiografico di un autore che individua nello stradario in divenire di Berlino una tappa della sua formazione. E non mancano gli spunti prelevati da Ab jetzt ist Ruhe, il libro scritto da Marion Brasch sulla storia della sua famiglia, inseriti da Zangrando nel contesto narrativo del volume. C'è poi una corrispondenza minima tra Peter Brasch e suo fratello maggiore Thomas, quasi lo scheletro del genere epistolare; ma soprattutto c'è la scrittura di Zangrando che dialoga con quella di Brasch al ritmo incalzante di un inseguimento circolare.

 

 

Tutto questo potrebbe far credere che l'impasto linguistico di Fratello minore replichi l'eterogeneità dei materiali che lo compongono e che il libro di Zangrando sia stilisticamente nervoso, spigoloso, tutto pieno di salti, di variazioni continue, di screziature eccessive, di incastri tra un tipo di scrittura e un'altra, tra un genere e l'altro. In realtà le cose stanno diversamente: Fratello minore è un libro complesso che si legge con semplicità. La sua scrittura, considerata in rapporto all'eterogeneità dei materiali di cui è fatta, suggerisce quello che lo scrittore napoletano Raffaele La Capria chiama lo «stile dell'anatra», una versione aggiornata della «sprezzatura» teorizzata da Baldassarre Castiglione nel Cortegiano: «L'arte di celar l'arte e lo sforzo che si fa per ottenerla». L'anatra fila leggera sul pelo dell'acqua, ci ricorda La Capria, più che nuotare sembra pattinare sullo specchio liquido con moto continuo e aggraziato; il suo scivolamento nasconde tuttavia la fatica, cela i movimenti rapidi delle zampette dell'anatra sotto la superficie dell'acqua. Questo però non basta: riconoscere che una certa scrittura è in grado di mimare lo «stile dell'anatra» addomesticando la complessità significa confondere quella scrittura tra migliaia di scritture equivalenti. Per provare a dire qualcosa sul carattere specifico di un'opera raccogliendo lo spunto di La Capria, è necessario coniugare lo «stile dell'anatra» come se fosse un verbo, oppure declinarlo come si farebbe con un aggettivo. Bisogna chiedersi che cosa diventa lo «stile dell'anatra» nell'opera che stiamo leggendo. Per quanto riguarda Fratello minore, propongo di eseguire un esercizio mentale in armonia con l'immaginazione capricciosa di Zangrando e Peter Brasch: facciamo finta che l'autore, per neutralizzare la complessità, abbia prelevato dall'arte cinematografica il soggetto dell'inseguimento e lo abbia spostato sotto la propria scrittura, sotto il livello delle parole e delle frasi, sotto l'eterogeneità di testi che compongono il libro. Hitchcock riteneva che l'inseguimento fosse «l'espressione culminante del mezzo cinematografico», movimento allo stato puro, contrapposto probabilmente alla staticità della fotografia. Fantastichiamo allora che l'inseguimento sia l'autentico motore del libro di Zangrando, e poi vediamo cosa accade: in un luogo mentale e geometrico contiguo a un racconto di Manganelli, un inseguitore rincorre un inseguito, ma poiché l'inseguimento avviene su una superficie circolare non troppo estesa, accade che l'inseguito acceleri il passo approfittando di un rallentamento dell'inseguitore, fino a vedere, seppure in lontananza, la nuca, la schiena e i talloni dell'inseguitore, che a quel punto assume il ruolo dell'inseguito e riaccelera il passo per non farsi raggiungere.

La scrittura di Zangrando, inseguendola, ci rivela di continuo la scrittura di Brasch, e quella di Brasch, pedinando la scrittura di Zangrando, ce la mostra come ancora non la conoscevamo

Un'indicazione testuale sul carattere di questo inseguimento ci è offerta dall'indice di Fratello minore: la prima e la terza parte del libro si costituiscono di capitoli numerati e di capitoli titolati, i quali si susseguono in perfetta alternanza; quelli numerati sono di Zangrando, quelli titolati sono testi di Brasch tradotti o riadattati dall'autore. Un capitolo è di Zangrando, quello successivo è di Brasch; poi la parola torna a Zangrando, che subito la ripassa a Brasch, e così via. Il risultato è l'incontro inatteso tra le pagine di una biografia e i fogli di un quaderno di traduzioni, che si uniscono fino a confondersi sul ripiano ruvido di una scrivania.

Il fatto che Fratello minore sia scritto in seconda persona non fa che intensificare il ritmo di questo inseguimento e di questa alternanza, sottolineando l'approssimazione continua del biografo al suo oggetto. Il «tu» di Zangrando è il modo di esprimersi della Comprensione un attimo prima di diventare Empatia, o della Prossimità che sta per azzerarsi lasciando il posto all'Identificazione. Svolgendo fino in fondo questa ipotesi immaginativa, il protagonista fittizio di un racconto inesistente scritto a quattro mani da Zangrando e Peter Brasch – un critico letterario minore votato alle espressioni minime della minorità – direbbe che sopra la superficie delle parole Fratello minore è una biografia romanzata, mentre sotto il livello delle parole è un inseguimento velocissimo e circolare, in cui l'inseguitore è anche l'inseguito e l'inseguito è contemporaneamente inseguitore. Stefano Zangrando tallona Peter Brasch che a sua volta lo incalza. La scrittura di Zangrando, senza guardarsi le spalle, rincorre la scrittura di Brasch, la quale, pagina dopo pagina, si avvicina a quella di Zangrando. La scrittura di Zangrando, inseguendola, ci rivela di continuo la scrittura di Brasch, e quella di Brasch, pedinando la scrittura di Zangrando, ce la mostra come ancora non la conoscevamo. Ecco allora che l'inseguimento circolare, o la biografia come inseguimento, diventa una potente modalità di salvazione e di riconoscimento sia dell'inseguitore che dell'inseguito.

Chiudo con un'immagine sottratta al barone di Münchhausen, modificata per l'occasione: al centro di uno stagno in parte in penombra e in parte in piena luce, due fratelli affiorano dalle sabbie mobili. Entrambi sono calvi, eppure si tengono a galla aggrappandosi l'uno all'altro per i capelli. L'urgenza e la bellezza del loro gesto ci liberano dalla necessità di domandarci se siano fratelli maggiori o minori, se i loro figli avranno un futuro, se la parte dello stagno da cui emergono sia sotto il sole o nella semioscurità.