Gesellschaft | diario DA LEOPOLI

"Dove dovrei essere, se non qui?"

Ecco il diario di Roberto Brambilla, il medico che opera i bimbi feriti dalle bombe in Ucraina. "Angosciante, ma questo è quello che so fare meglio".
Roberto Brambilla
Foto: Manuel Tartarotti Soleterre

Buonasera a tutti. Volevo aggiornarvi su quello che succede e su quello che sto vivendo qui in Ucraina. A Leopoli. L’Viv. Rispetto a quanto vi ho raccontato la volta scorsa le cose sono un po’ cambiate. Le bombe cadute la settimana scorsa hanno reso la popolazione più cupa e preoccupata.

C’è tensione e paura.

Le sirene suonano spesso Allert e invitano a recarsi nei bunker. Anche ora mente scrivo sono in bunker per allerta aerea. Questi allarmi durano a volte ore. Ieri sera siamo rimasti al chiuso e al buio per 2 ore e mezzo. Stamane un missile ci è arrivato vicino. Hanno distrutto un ponte ferroviario a 20 km da dove ero. Io mi trovavo in sala operatoria e quindi non ci siamo potuti recare nel bunker, ma abbiamo continuato a operare. Ho sentito il botto.

I vetri hanno tremato (la sala operatoria è al 6 piano) e dalle finestre si è visto salire il fumo. Devo dire che mi sono un poco spaventato. L’idea che la guerra guerreggiata stia arrivando anche a L’Viv mette paura. Poi i presenti in sala hanno iniziato a gioire: pare che la contraerea abbia abbattuto altri due missili diretti qui. Chissà dove sarebbero caduti. A me non ha tranquillizzato né esaltato molto.

Abbiamo operato quattro bimbi. Da Kramatorsk, Mariupol, Kharkiv. Anche un adulto con ferite da scoppio di entrambi i piedi. Una bimba con brutte ferite alle gambe arrivava da Kramatorsk. La madre l’ha spinta fuori dalla finestra. Lei si è salvata con molte lesioni su tutto il corpo. La madre e i due fratelli morti sotto le macerie. E’ angosciante dover far fronte all’orrore peggiore della guerra: il far del male ai più deboli. Ai più innocenti. Il togliere il futuro ad un popolo togliendo ad esso la propria gioventù.

Nel centro di Leopoli ieri (sono andato in centro per assistere alla funzione Pasquale) sono passato davanti ad un triste luogo. Sono stato richiamato a vederlo dalla ricchezza di colore e di fiori.  Ma poi si vedevano li sotto le immagini di tutti i morti del quartiere: volti giovani. Fanciulli e fanciulle. Col volto dell’innocenza. E li ho avvertito l’eco delle parole dei miei nonni che mi raccontavano la guerra. Dove mio zio era morto disperso. Il senso di aver interrotto un futuro.

Ma la speranza è forte.  E nei giorni di festa si fa spazio. E ieri mattina è venuta nella mia stanzetta una della bimbe (cieca e spastica) con la sua mamma. Ad offrire i dolci ed il cibo tipico della festa di Pasqua in Ucraina. Commosso e colpito dalla dolcezza dei sorrisi, in un tempo tanto amaro. Il popolo ucraino è un popolo orgoglioso e fiero. Un po’ come i brianzoli, chiuso nei confronti degli stranieri. E qui mi ricordo la frase della mia zia: “nNessuno è straniero nella mia città”. Era assessore in quel di Vimercate tanti anni fa. E io allora giravo la frase dicendo che anch’io non mi sentivo straniero ovunque andassi. Allora si diceva: “cittadini del mondo”.

E anche questo mi sovviene oggi. Pensando ad una guerra per il possesso di una striscia di terra. Per l’esercizio di un potere. Di un diritto di proprietà.

L’accoglienza qui all’inizio è stata un po’ fredda: che cosa vuole questo italiano da noi? Ma come spesso succede una volta capito che io non volevo nulla, se non condividere con loro un pezzo della loro sofferenza e offrire un po’ della mie conoscenze ed esperienze nella cura delle ferite, si sono immediatamente aperti. Qualcuno si è offerto di ospitarmi a casa sua in caso di necessità. Altri mi hanno invitato per la festa pasquale nella loro famiglia.

Ho lavorato quotidianamente con loro medicando (con quello che c’è), operando con loro in sala operatoria. Condividendo la giornata di cura e del prendersi cura di questi bimbi. Bimbi che soffrono il trauma di una guerra ingiusta. Che spesso hanno la triste etichetta di “non accompagnato”. Che vuol dire che nulla si sa dei loro genitori e parenti. Forse morti. Certamente non raggiungibili. E questo aggiunge al dolore delle ferite, il profondo dolore della solitudine e dell’abbandono.

 

Ma devo dire che sono profondamente colpito dall’atteggiamento “materno” (perdonatemi l’aggettivo scorretto, ma non sono riuscito a pensare di meglio) di medici ed infermieri e di tutto il personale, che si fa carico del dare a loro tutto l’affetto che possono. E vi assicuro che questo affetto, premura, vicinanza si avverte nell’aria ad ogni passo. Io mi sto scavando la mia nicchia ecologica nell’ospedale pediatrico di Leopoli.

Oggi dopo alcuni interventi un poco angoscianti e dopo l’urlo delle sirene antiaeree e del “botto” del missile mi hanno offerto cibo tipico della pasqua ortodossa e un tentativo (maldestro) di cappuccino per l’ospite italiano! Domani terranno un meeting gastronomico di benvenuto (tardivo ma ben accetto) con tutti i medici, offrendomi cibo ucraino, ma garantendomi la presenza di vino (sempre dell’ucraina) perchè sanno che gli italiani amano il buon vino!

Ho promesso che mercoledì inizieremo un programma di formazione ed istruzione sulla cura delle ferite, per tutto il personale medico ed infermieristico.

E ora a voi: io posso spiegare come fare a curare le ferite. Ma il materiale che mi serve (anzi che serve a loro) dobbiamo acquistarlo e portarlo qui. E sono sicuro che tutto l’aiuto che c’è stato dato fin ora proseguirà ancora più intenso. Credetemi: io mi sento al mio posto. Sono contento di essere qui in Ucraina, a Leopoli ora. Nella mia vita professionale ho imparato a fare bene una sola cosa. Curare le ferite. E dove dovrei essere quindi ora, se non qui a L’Viv?

un abbraccio, Roberto Brambilla.