Chronik | Lavori essenziali

Covid colpisce l'uguaglianza di genere

In questa fase critica tante prestazioni si scoprono come sistemiche.
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Foto: Pixabay_Spesa

Finora il termine "rilevanza sistemica" era riservato soprattutto agli istituti di credito e finanziari. A partire da Covid-19 è usato anche per riferirsi non solo a professioni che già in passato socialmente riconosciute -  come medici o farmacisti - ma anche a professioni finora poco considerate, come commessi di supermercato, infermieri, assistenti per gli anziani, personale di pulizia o raccoglitori di frutta e verdura.

Il tutto, infatti, non va ridotto solo al lavoro retribuito - spesso precario e mal retribuito - ma anche al lavoro non retribuito. Penso alla crescita dei bambini, alla cura degli anziani, alla pulizia della casa e al cibo da preparare. Sono lavori essenziali senza i quali nessuna società può esistere. In questa fase si è aggiunta la spesa per i nonni, il ritiro di medicinali o di beni di prima necessità per chi era in quarantena, che hanno permesso la gestione del lockdown.

Gli eroi di questa pandemia, che sono stati applauditi dai balconi, hanno alcune caratteristiche in comune: sono spesso precari e scarsamente retribuiti, costantemente produttivi e flessibili e hanno meno sicurezza occupazionale e sociale, oltre a fornire spesso gratuitamente anche un supporto psicologico ai pazienti e ai parenti, tra l’altro dato per scontato. Infine sono per lo più donne con una percentuale impressionante.

Per conciliare i requisiti professionali e le esigenze del lavoro di cura, tra l’altro, sono spesso costrette a svolgere un lavoro a tempo parziale, con un salario più basso, poche opportunità di carriera e un elevato rischio di povertà in età avanzata.

Purtroppo rispetto al lavoro in ufficio o in fabbrica tutti questi lavori sono socialmente svalutati e in quanto costruiti a “misura di donna” rischiano di perpetuare le iniquità di genere. Il lavoro in famiglia, infine, non è neppure considerato lavoro. Invece degli applausi serve un riconoscimento diverso per questi lavori.

Con l’homeoffice si è pure radicata l’idea che esso sia comunque favorevole per le famiglie, in quanto agevola la conciliazione tra il lavoro retribuito e gli impegni familiari. Manca purtroppo nell’opinione pubblica la consapevolezza, che a dover conciliare entrambi gli ambiti nella vita di tutti i giorni, sono solitamente le donne e che questo richiede molto tempo e molte risorse psicofisiche.

In momenti di crisi l’uguaglianza tra i generi si affievolisce e si torna presto ai ruoli tradizionali in cui il salario principale è quello dell’uomo. L’idea secondo cui entrambi i genitori possono intraprendere una carriera professionale è di fatto messa in discussione.

Nonostante l’aumento dell’occupazione femminile nell’ambito delle coppie diventa più chiaro quanto siano persistenti i modelli tradizionali che assegnano alle donne la sfera privata e agli uomini quella pubblica.

 La circostanza che anche le donne lavorano ha portato a ulteriori disuguaglianze. Il personale infermieristico, le assistenti alle cure della persona e le badanti sono spesso migranti che hanno ancora meno diritti. In certi casi la parità di diritti tra i generi da noi si basa su migranti a basso costo e ancora più discriminati.

Finita la pandemia dobbiamo ricordarci di chi ha svolto lavori essenziali e questi vanno rivalutati, aumentando le tutele e la remunerazione. Questo li renderebbe più appetibili anche ai cittadini locali e porterebbe a una visibilità diversa. Infine, anche il lavoro di cura non remunerato crea di fatto benessere e va riconosciuto, almeno dentro il sistema pensionistico, come rivendica da tempo il sindacato.

La crisi ci ha insegnato che non servono solo le alte qualifiche, ma anche persone che fanno lavori umili. Spetta al sindacato rivalutare queste professioni, ma soprattutto a livello economico, nell’attuale crisi, sarà un compito non facile. A tante aziende manca oggettivamente la liquidità per incrementi salariali e il ricatto occupazionale indebolisce da sempre ogni rivendicazione. Solo con una nuova solidarietà tra tutto il mondo del lavoro sarà possibile fare passi in avanti.

Servono nuovi strumenti e una diversa strategia rivendicativa del sindacato che supera i confini a volte rigidi tra le categorie e favore di una nuova confederalità. L’economia futura cambierà il lavoro radicalmente: da una parte lavoratori altamente qualificati e sempre più digitalizzati impiegati nell’informatica, nella ricerca e in servizi alle imprese altamente qualificati e dall’altra parte sempre più persone che faranno lavori umili. Il diverso peso contrattuale è del tutto evidente.  

Si discute da tempo, senza risposte esaustive, se avremo una disoccupazione di massa o se il numero di lavoratori rimarrà numericamente stabile, spostando alcune qualifiche medie o i lavori monotoni e ripetitivi a favore dei posti, nei quali il rapporto umano e l’empatia sono indispensabili.

Dipende evidentemente dalle scelte politiche adottate e dalla capacità del sindacato di incidere su questi processi. Dobbiamo gestire questi percorsi per garantire occupazione e una distribuzione equa della ricchezza e del lavoro. La nuova consapevolezza nella società, scottata dal covid-19, potrebbe agevolare questa prospettiva.

In futuro si dovrà comunque trovare sistemi innovativi di distribuzione della ricchezza. Per gestire questi cambiamenti rapidi servono, oltre ad ammortizzatori sociali riformati, forme di istruzione, riqualificazione e di formazione continua nuove.

E in questo contesto saranno oggetto di discussione anche forme di reddito di base condizionato o non. Siamo all’inizio di un processo di cambiamenti forti, che erano già avviati, ma ai quali il covid-19 imprimerà un’accelerazione. Nulla sarà come prima, ma non sarà per forza peggio.

In questo senso il sindacato deve diventare il protagonista di un futuro ancora prosperoso, promotore di un’economia rispettosa dell’ambiente e in lotta contro le diseguaglianze.

Alfred Ebner