Film | salto weekend

Rapito

La storia del piccolo Edgardo Mortara battezzato in segreto e strappato alla sua famiglia ebrea. Una delle tante pagine buie della Chiesa nell’ultimo film di Bellocchio.
Rapito
Foto: Anna Camerlingo

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Un anno dopo Esterno notte sul caso Moro, Marco Bellocchio torna in sala con Rapito - in concorso al Festival di Cannes che si chiuderà stasera e che nel 2021 ha dato al regista piacentino una Palma alla carriera -, per sondare un’ingiustizia storica profonda inflitta da una potente istituzione sul punto di crollare. Quasi lo stava per fare Spielberg questo film (anni fa fece anche dei sopralluoghi in Italia), ma poi alla fine no.

Cos’è

Siamo nel 1858, in pieno Risorgimento, in una Bologna ancora sotto l’autorità del Papa re. All’età di sei anni il piccolo Edgardo Mortara (interpretato da Enea Sala, poi da Leonardo Maltese) viene sottratto ai suoi genitori ebrei (Fausto Russo Alesi e Barbara Ronchi) dai soldati di Pio IX (un imperioso e inquietante Paolo Pierobon) su mandato dell’inquisitore Pier Gaetano Feletti (Fabrizio Gifuni) per vivere in Vaticano. Il motivo: quando aveva sei mesi il bambino è stato battezzato segretamente dalla domestica cristiana che lo credeva, a torto, in fin di vita, temendo che sarebbe finito nel limbo se fosse spirato. Dunque ora, secondo il diritto canonico, Edgardo va educato alla fede cattolica. La famiglia fa di tutto per riaverlo indietro ma l’unico modo è quello di convertirsi al cattolicesimo, cosa che si rifiuta di fare. Scoppia il caso e la notizia fa il giro del mondo, acuendo l’insofferenza generale verso il potere temporale della Chiesa.

Rapito | Trailer Ufficiale

 

Com’è

È il racconto avvincente di una storia vera che indaga l’antisemitismo storico italiano e l’inflessibilità della Chiesa cattolica, dove non c’è traccia di misericordia né di carità, concentrandosi più che sui personaggi (piuttosto stereotipati), sulla progressiva perdita di potere del Papa - pochi anni dopo sarebbe arrivata la breccia di Porta Pia e la presa di Roma -, sulla tracotanza e il complesso di superiorità del cristianesimo.

Il film segue il lungo e traumatizzante viaggio di Edgardo dalla sua Bologna al Vaticano dove si ritrova con altri ragazzi ebrei costretti a trasformarsi in cattolici obbedienti sotto lo sguardo agonizzante di una statua particolarmente macabra del Cristo crocifisso, mentre Pio IX - insieme al suo principale consigliere, il cardinale Antonelli (Filippo Timi) - trasforma il caso Mortara in una prova muscolare tra lo Stato Pontificio e i nazionalisti antipapali, i giornalisti stranieri e naturalmente la comunità ebraica. Invece di cedere alle pressioni dell’opinione pubblica il Pontefice, dipinto come un fanatico conservatore la cui sete di potere e la paura degli ebrei lo spingono a posizioni estreme, si limita a rispondere “Non possumus”.

Rapito è un’opera solida, che restituisce un senso di grandiosità e un’eleganza che è tipica di Bellocchio, nonostante alcune scelte di sceneggiatura non sempre a fuoco. Il film è un’argomentazione ambiziosa sull’affermazione del laicismo in Italia in un’epoca in cui il Vaticano teneva il Paese in pugno. Ma pure se vi sentirete confortati nel vostro ateismo è del tutto comprensibile.