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Il cinema di Peter Patzak

Peter Patzak era noto non solo in Austria per il suo humour nero, i suoi film di impegno sociale e numerosi adattamenti letterari per la televisione
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Foto: upi

Oggi scrivo un “coccodrillo” un po’ personale, dopo quasi quattro mesi che la persona in questione è partita per l’aldilà (l’11 marzo 2021): il regista e sceneggiatore austriaco Peter Patzak, poco noto in Italia. Purtroppo, perché ha fatto dei film davvero interessanti, intriganti e di impegno sociale. Perché questo regista mi era vicino e ho impiegato tanto tempo a scriverne? È stata “colpa” sua se ho scritto la mia tesi di laurea in storia del cinema sul “Nuovo cinema austriaco” nato nei primi anni ottanta grazie alla creazione di un fondo statale simile a quello istituito in Germania negli anni sessanta per aiutare il “Nuovo cinema tedesco” coi vari Wenders, Kluge, Fassbinder, Edgar Reitz (quello di “Heimat”, il mega film in tre parti con 16 film di un’ora ciascuna…), ecc. A dire il vero lui iniziò a 28 anni nel lontano 1973, non avendo bisogno di finanziamenti statali perché lavorava per la televisione austriaca, la Orf, e conquistò il grande pubblico con la serie televisiva “Kottan ermittelt”, in cui ci si faceva gioco della polizia austriaca e dei suoi metodi di indagine (un ambiente che Patzak conosceva bene, essendo figlio di un poliziotto), e in breve tempo le singole puntate furono considerate dei veri e propri cult movies dal grande pubblico. 

È morto a 76 anni, dipingendo fino all’ultimo

Fu il film girato nel 1979 ad attirare il mio interesse e soprattutto la convinzione di volgere lo sguardo verso il cinema di oltreconfine: “Kassbach” (intraducibile essendo il cognome del protagonista). Presentato alla 29ma Berlinale, era uscito nelle sale austriache nel 1982 proprio quando mi trovavo a Vienna, ed ero anche alla ricerca di un tema per la mia tesi, un tema di attualità volevo, perché non mi vedevo fare una ricerca esclusivamente rinchiusa negli archivi e nelle biblioteche. Ricordo ancora che all’uscita dalla sala cinematografica sapevo già che avevo trovato un bell’argomento! Confesso che pensai anche di fare un lavoro semplice e veloce, guardare i pochi film girati (allora) e per scriverne appoggiarmi alle pubblicazioni in tedesco che (ero convinta) sarebbero state disponibili. Invece, no! Tranne un capitoletto che pareva più un elenco dei titoli che un’analisi in un volume dedicato in generale al Cinema austriaco, redatto dall’unico professore di storia del cinema che insegnava presso la facoltà di Scienze teatrali presso l’università di Vienna, Walter Fritz, non esisteva nulla. Nemmeno una rivista di cinema dove avrei potuto rimediare qualche recensione. Per cui mi dovetti armare di registratore, blocco e matita, e tanta buona volontà, per condurre una lunga e interessante ricerca sul campo, a iniziare proprio da Peter Patzak. Il suo cinema mi intrigava in modo particolare perché procedeva un po’ come quello di Francis Ford Coppola: due film cosiddetti “alimentari” (nel senso di film che incassano bene) per poi riuscire a farne uno più personale: il già citato “Kassbach”, appunto, il primo realizzato per il grande schermo, ma ancor più il televisivo “Phoenix an der Ecke” (t.l. Phoenix dietro l’angolo), molto sperimentale e visionario, soprattutto a livello del linguaggio visivo, molto all’avanguardia allora nel senso che usava effetti che più tardi con il video e ora col digitale sembrano ovvi, così come “Parapsycho – Spektrum der Angst” (t.l. Spettro della paura, 1975), un horror suddiviso in tre capitoli per parlare di percezioni extrasensoriali, reincarnazione e telepatia. Un film, questo, che fece scuola nel campo dell’horror, avendo Patzak usato per primo materiali footage di un documentario medico riguardante un’autopsia, invece di ricreare la scena iniziale in cui un cadavere viene inciso col bisturi dallo sterno fino all’osso pubico – com’era uso fare – con effetti speciali. 

“Kassbach” narra il fascismo nella quotidianità, un film attuale nel periodo in cui fu girato, attuale tuttora, sia per l’argomento sia per come fu realizzato sul piano della sceneggiatura e della messinscena, basti pensare che rientra tra i film preferiti dal grande maestro americano e amante del cinema europeo, Martin Scorsese. I due si conoscevano bene. In generale, Peter Patzak era piuttosto noto all’estero, negli Usa e in Inghilterra, nonché in Germania, dove i suoi film venivano distribuiti, soltanto in Italia e in Francia non ebbe fortuna. Forse per il suo humour nero tipicamente viennese, più facile da comprendere in ambito culturale che in quello romanzo? 

Il suo film sulla musica di Wagner, “Wahnfried”, sin dal titolo dice come la pensava a proposito del grande compositore essendo un gioco di parole con “Wahn” (=follia) e “Fried” (=radice linguistica della parola tedesca “Frieden” che significa “pace”): fu presentato fuori concorso a Cannes nel 1987, ma poi non ebbe fortuna nella distribuzione. Nella lunga lista di film realizzati, una sessantina, troviamo anche alcune inchieste storiografiche, come ad esempio “Gavre Princip – Himmel unter Steinen” (Gavrilo Principe – il cielo sotto le pietre, 1991) sui retroscena poco noti dell’inizio della prima guerra mondiale: l’uccisione a colpi di pistola da parte di un giovane (Gavre, per l’appunto) forse ingaggiato da qualcuno (?) del principe ereditario austriaco Franz Ferdinand e di sua moglie a Sarajevo nel 1914. Il film, realizzato sulla base del romanzo omonimo di Hans Koning, indaga su ciò che era accaduto dietro le quinte e il perché di quell’assurdo omicidio. Vorrei citare inoltre “Die Wasserfälle von Slunj” (da un testo dell’autore austriaco Heimito von Doderer), nel 2002 presente al Prix Italia, la cui edizione si era tenuta a Venezia, e l’ultimo realizzato nel 2010, “Rien ne va plus”. Titolo, col senno di poi, quasi profetico: “rien ne va plus… les yeux sont fait”, come se avesse saputo che negli anni successivi non avrebbe più girato nulla. 

La cultura dell’immagine per Peter Patzak non consisteva soltanto nel creare “giochi di luce” - come dice un termine usato ancora fino a qualche anno fa in tedesco, per cui il cinema era definito come “Lichtspiel” (gioco di luci) e le sale cinematografiche si chiamavano “Lichtspieltheater”, ossia “Teatri per i giochi di luce”. Non è male questo riferimento al gioco, che torna nella definizione del cinema narrativo in tedesco: “Spielfilm” (=giocare a fare un film), così come si dice anche “Theater spielen” per “fare teatro” (=giocare a fare teatro), una considerazione, forse, più di leggerezza nell’interpretare ruoli di personaggi... 

Patzak sin dai primi anni ha sempre anche dipinto, quando non era su un set o in giro per festival a presentare i film, e nell’ultimo decennio della sua vita ha continuato realizzando tante tele, in stile astratto, una tecnica simile all’espressionismo, molto colorate, espressione di tanta luce e gioia. Mi aveva sempre invitato ai vernissage, ma per motivi di lavoro non ero mai riuscita ad andarci. Peccato! Avrei voluto incontrarlo volentieri anche in quest’altra veste, come pittore. Ed è proprio quell’animo che emerge dal “Minuto 14” girato per il film collettivo dedicato al compositore austriaco nel 2006 da un gruppo di filmaker austriaci che aveva chiamato “Ein Tapis für Mozart“ (t.l. Un tappeto per Mozart), considerato da Patzak simbolo al contempo di una tomba e dell’universo. Forse il pensiero espresso nel minuto di film, potremmo riscriverlo qui per il suo autore, essendo una sorta di haiku giapponese in onore della vita e della morte: “è il superamento della morte che ci permette di entrare laddove tutte le energie si incrociano”. Per puntualizzare, però, nel caso di Mozart che questi era ben passato oltre…

L’ultimo film che voglio citare è il documentario “Das achte Weltwunder: die Toskana” (t.l. L’ottava meraviglia del mondo: la Toscana). Peter Patzak amava molto l’Italia e in particolare il paesaggio collinare della Toscana, non ultimo per il cibo e il vino, il Chianti, tant’è che si era comprato una casa, una ex fattoria, nella zona del Chianti, dove ero anche andata a trovarlo, una volta, tanti anni fa.