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La banda del buco

Piccolo dizionarietto di giornalismo spicciolo.

Ha riempito recentemente le pagine dei giornali e i palinsesti di radio e tv la vicenda della notizia lanciata da un quotidiano italiano su una presunta malattia di Papa Francesco, immediatamente e totalmente smentita da tutte le fonti interessate.

La questione presenta due motivi d'interesse. Uno, quello principale e quello che è stato anche il più ampiamente trattato nei commenti, è ovviamente relativo ai retroscena che la vicenda consente di ipotizzare in merito ai veleni che circolano nel bimillenario organismo della Chiesa Cattolica. L'altro, su cui invece ci soffermeremo brevemente, riguarda invece una categoria dell'attività giornalistica che in Italia, nel gergo di redazione, viene definita "dare un buco". È quello che il giornale che ha pubblicato la notizia sul Papa ha fatto l'altro giorno.

Riporto dal "Piccolo Glossario di giornalismo italiano": Buco: in gergo giornalistico consiste nella mancata pubblicazione, da parte di un quotidiano, di una notizia di grande interesse. Il “buco” può essere volontario quando il giornalista decide di non voler pubblicare la notizia per seguire la propria linea editoriale.

La denominazione, in effetti, dice moltissimo su come viene intesa, in Italia, questa pratica professionale. Gli anglosassoni, ad esempio, usano il termine "scoop" che può essere tradotto all'incirca con "colpo giornalistico", per sottolineare l'abilità di chi lo mette a segno. Noi italiani invece di esaltare le doti di chi si procura un'esclusiva, preferiamo giocare in negativo sull'immagine del buco che compare nella pagina di chi la notizia non è riuscito a trovarla.

È un gioco antico che si pratica da sempre nelle redazioni e nel quale trova sfogo quel misto di narcisismo e di competitività che pare costituire una componente irrinunciabile della professione.

Un gioco e basta, però. Nessuno studio, ammesso che ve ne siano di seri, è mai riuscito e mai riuscirà a dimostrare che il fatto di pubblicare di quando in quando una notizia che i concorrenti non hanno possa influire sulle vendite di un quotidiano. Quando proprio la notizia è di quelle ghiottissime, ma nella mia lunga esperienza professionale ne posso contare al massimo quattro o cinque, il lettore sarà indotto a comprare per un giorno un quotidiano che di solito non acquista. Dal giorno successivo però si torna alle antiche abitudini e tutti sanno che la scelta di acquistare questo o quel giornale dipende da ben altre e più complesse motivazioni.

Quella di "dare un buco" è dunque una prassi giornalistica che risponde più che altro ad una specie di gioco i cui effetti rimangono tutti all'interno della comunità giornalistica, piccola o grande, locale o nazionale che essa sia.

Un gioco tutt'altro che innocente però.

Una delle regole non scritte dice che per poter "bucare" i concorrenti occorre tenere la notizia il più riservata possibile prima che venga pubblicata. Questo significa che anche tutto quel sistema di controlli e verifiche che ogni buon giornalista deve o dovrebbe mettere in atto prima di metter nero su bianco il frutto del suo lavoro deve essere in questi casi limitato o meglio ancora evitato. Verificare la fondatezza di una notizia significa innanzitutto consultare le fonti e testimoni. Se questi, come nel caso di questi giorni con la malattia di Papa Francesco, smentiscono tutto,  ecco che la notizia perde già in partenza gran parte del suo valore. Meglio allora "dare il buco" e lasciare le smentite alla cronaca dei giorni successivi. Anche nel caso che la notizia sia vera, le verifiche e i controlli possono facilmente causare la sua diffusione sino alle orecchie dei concorrenti. Meglio evitare. La pratica del "buco" presenta dunque un altissimo rischio di diffondere notizie completamente false o quanto meno inesatte con la conseguente perdita di credibilità per l'organo di stampa che se ne rende autore e con i danni, a volte gravissimi, che si possono procurare a persone e comunità.

Si potrebbe credere che l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, con il flusso ormai quasi continuo di notizie, abbia reso queste pratiche del tutto obsolete. Niente di più sbagliato, purtroppo. Il gioco è cambiato e, se possibile, la situazione ulteriormente peggiorata, nel senso che adesso la gara è divenuta quella a chi, di fronte a un qualsiasi avvenimento, lancia per primo la notizia. Se nel mondo della radio  e della televisione si trattava di stabilire quale telegiornale e quale giornale radio avesse "sparato" per primo una notizia di un certo rilievo (e molti quotidiani, anche in Italia, si sono spesso dilettati stupidamente a pubblicare classifiche pseudo sportive in questo senso), ora, nel mondo di Internet, la competizione si svolge sul filo dei minuti e dei secondi. Con delle conseguenze a volte drammatiche.

Moltissime volte, nel corso dei miei decenni di professione giornalistica, ho potuto constatare come una notizia arrivata in redazione e che pareva pronta per essere scritta o diffusa, non abbia resistito ad un paio d'ore di controlli di analisi e anche, perché no, di confronto con gli altri colleghi presenti. Se questo spazio di verifica e di analisi viene soppresso in nome della necessità di rilanciare immediatamente ogni brandello di informazione, si possono fare degli errori gravissimi.

Un esempio: in occasione di una delle spaventose stragi che periodicamente avvengono nelle scuole degli USA, il cronista di un'emittente locale credette di aver capito che il giovane autore dell'eccidio era, cito testualmente, affetto da "lieve autismo". Un controllo anche sommario gli avrebbe consentito di appurare innanzitutto che la notizia non era vera nel caso di specie e che comunque la definizione di "lievemente autistico" è scientificamente assurda al pari di quella di una donna "un poco incinta". Ma la verifica non vi fu. Il danno poteva essere ancora circoscritto a livello locale, ma un altro cronista di un grande network di notizie internazionale la vide e la riprese con la stessa velocità. Nel giro di qualche minuto tutto il mondo seppe che il pluriomicida, responsabile di una strage di cui tutti parlarono per giorni, era affetto da "lieve autismo". Ci vollero settimane ed interventi di medici e scienziati per demolire il falso "scoop", ma intanto nelle scuole di un paio di continenti gruppi di madri assatanate chiedevano l'espulsione di tutti i pericolosissimi ragazzini autistici.

Il costo del "buco" inflitto alla testata rivale e l'assillo infantile di essere i primi a dare una notizia appartengono allo stesso ceppo di  giornalismo deteriore, soprattutto in tempi come questi nei quali, purtroppo, molti elementi, compreso il calo generale di credibilità, stanno mettendo progressivamente in crisi l'informazione scritta e quella parlata. Non dovrebbe essere difficile capire che per convincere la gente che è un'illusione quella di potersi informare decentemente tirando su quel che capita dai "social media" e più in generale da Internet, l'unica strada da seguire è quella di costruire con un rigore calvinista un'informazione credibile perché documentata e precisa. Senza "buchi" e senza inutili corse contro il tempo.

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Willy Pöder Mi., 28.10.2015 - 15:25

Probabilmente non ho capito bene il ragionamento intorno al "buco" giornalistico di cui all'articolo sopra. Bucare altri tramite un "autobuco" mi pare cosa impossibile. Nel caso di cui sopra trattasi perlopiù di un buco "bumerang". La notizia del papa ammalato si è rilevata totalmente falsa. I media che l'hanno copiata e ripubblicata si sono pertanto autobucati! È un po' il discorso del ladro e del ricettatore. L'uno non è meglio dell'altro.

Mi., 28.10.2015 - 15:25 Permalink