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Il sentimento della vergogna

Ne "La vergogna", attraverso un episodio traumatico della sua infanzia, la scrittrice Annie Ernaux ripercorre gli usi ancestrali della società in cui è cresciuta.
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Foto: The NYT

Una domenica di giugno, all’inizio del pomeriggio, mio padre ha cercato di ammazzare mia madre.” Inizia così il romanzo L’onta (ripubblicato con il titolo La vergogna) di Annie Ernaux, scrittrice francese vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 2022. Un libro che ripercorre l’infanzia dell’autrice, figlia di una famiglia operaia, proprietaria di un piccolo bar di periferia in un paesino della Normandia. 

 

 

L’incipit preclude al racconto della violenza domestica, consumatasi in fretta e subito tornata a nascondersi nei rituali gesti quotidiani di un padre taciturno e schivo e di una madre religiosa ed oppressiva. L’episodio, però, diventa uno spartiacque nella vita di Annie Ernaux, non tanto per la categoria, spesso abusata, di fine infanzia, quanto per l’inizio di una riflessione lunghissima sulla vergogna, che permetterà ad Ernaux di osservare con attenzione non solo la propria famiglia, ma anche le ancestrali regole della società circostante. Una lente di ingrandimento sui comportamenti censurati e censurabili in un mondo che, uscito da pochi anni dalla seconda guerra mondiale, era ancora immerso nelle regole dei piccoli paesi di campagna, divisi tra agricoltura e imminente progresso industriale. Il racconto di Ernaux ripercorre le abitudini dei genitori, ponendo l’accento sulle regole non scritte che ne permeavano le azioni quotidiane: nella casa che condivideva le stanze inferiori con il caffè di famiglia tutto era improntato a non sfigurare davanti ai clienti, ai vicini, alle aspettative parentali, nelle quali rientrava con prepotenza anche la scuola. Annie Ernaux infatti, per volere della madre, frequenta una scuola cattolica privata, accanto a colleghe più facoltose e insegnanti arcigne, in un mondo nettamente respingente in cui diventa impossibile intessere amicizie. 

 È proprio attraverso la scrittura che l’autrice riesce a compiere un progressivo affrancamento dalle sue origini, senza ripudiarle


In molti hanno voluto ravvisare in questo disincantato volume un fastidio per le proprie origini sociali, ritrovando nelle parole dell’autrice una lontananza, ormai evidente, dal natale ambiente di provincia. Annie Ernaux non ha mai fatto mistero del percorso doloroso che l’ha portata ad affrancarsi dagli usi e costumi cristallizzati nella mentalità dei genitori, ma in molte delle sue opere si può scorgere quanto il rapporto con la madre, e soprattutto con il padre, abbia segnato la vita dell’autrice. I codici e i linguaggi dell’infanzia hanno accompagnato Ernaux per molto tempo, ben oltre il suo trasferimento a Rouen o Parigi, ma è proprio attraverso la scrittura che l’autrice riesce a compiere un progressivo affrancamento dalle sue origini, senza ripudiarle. Gli avvenimenti, termine usato dalla stessa autrice, dell’infanzia e della giovinezza diventano il motore per scrivere e far emergere i conflitti tra l’atmosfera, ancora abitata dagli affetti, in cui si è stati immersi per anni, ma nella quale non ci si riconosce più e la nuova realtà, composta di esperienze separate e ormai diverse. In questa divisione resta il potere terapeutico e analitico della scrittura, con il quale affrontare quello che non si può dire, ed è proprio Annie Ernaux che dichiara: “Ho sempre desiderato scrivere libri di cui, in seguito, fosse impossibile parlare”.