Gesellschaft | «Decoro» a Bolzano

Assedio in Laurinstraße

Sono i chioschi del kebab ad assediare l'arte, oppure è l'arte a farsi «corpo di spedizione» degli interessi immobiliari?
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Laurin scultura + chiosco (foto @s3rpe)
Foto: @s3rpe

Prima di tutto è necessario respingere il ricatto, quello che intima di non poter parlar male dell’arte in città. Un ricatto fondato sull‘apparente sillogismo:

1) l‘arte è bella,

2) la città ha bisogno di farsi più bella,

3) quindi l'arte fa bene alla città: viva l‘arte in città!

Sillogismo apparente, appunto. Perché l‘arte è spesso bella, e pure quella brutta in qualche modo è stimolante, ma non è un fenomeno alieno alla realtà in cui si manifesta. Non viene dal cielo, neppure se viene presentata come «Himmelfänger», e non è portata dal vento, anche se è una sbriluccicante «Windskulptur». Dunque si può, è legittimo, parlarne male. Non dal punto di vista estetico, di cui qui nulla m‘importa, ma da quello sociale.

Chi ha letto l‘articolo dell‘Alto Adige dal titolo «L’opera d’arte assediata dai chioschi del kebab» avrà già capito dove vado a parare. Per gli altri ricapitolo: la Cassa Centrale Raiffeisen fa un bando per artisti; Manfred Eccli lo vince, e la sua opera «Blue Sky», che si muove e brilla a ogni alito di vento, viene installata davanti alla sede della banca di via Laurin, a Bolzano.

Racconta l’Alto Adige che i dirigenti di banca, rapiti dal sublime incarnato nell’opera di Eccli, dicono che sì, adesso che la città è più bella grazie alla ventosa scultura, bisognerà far sloggiare quegl'indecorosi chioschi che ci sono intorno. I banchieri chiedono al Comune di fare la sua parte, e invece,

«nonostante le nostre richieste di maggior decoro urbano [...] pare che a questi due chioschi sia stata rinnovata la concessione.»

Ebbene, un curioso ribaltamento passa inosservato tra le pagine del giornale: i chioschi c’erano già prima – amici bolzanini parlano di «decenni» - però son loro ad «assediare» l’ultima arrivata, la scultura che si move a ogni loffa (dove loffa vale per la sua etimologia, Luft).

In ogni caso, se l’intenzione bancaria era quella di mettere quell’angolo al centro di qualcosa, il risultato è certamente raggiunto: esso è, nientemeno, al centro di due tendenze ben riconoscibili.

La prima riguarda l‘uso dell‘arte in città. Proprio in virtù di quel ricatto inizialmente esposto, l'arte (le gallerie, le mostre, gli atelier condivisi...) è abbondantemente utilizzata per lubrificare e catalizzare la gentrificazione dei quartieri. Scriveva già nel 1996 David Ley:

«L’artista urbano è di solito il corpo di spedizione dei gentrificatori, e pacifica la nuova frontiera prima dell’insediamento di [nuovi] residenti più convenzionali. […] Le tendenze estetiche e romantiche di parte della nuova classe media, il ruolo totemico attribuito all’artista come creatore e innovatore, trasformano lo spazio degli artisti in una sorta di spazio sacralizzato. Come una casta sacerdotale in una società secolarizzata, l’aura artistica ha la capacità di trasformare il significato e il valore dello spazio – e quindi anche il suo valore economico.» [The new middle class and the remaking of the central city, pag. 191]

La gentrificazione, riepilogo per chi non vuol ricordare, si sostanzia in espulsione dei residenti a più basso reddito dalla zona interessata – compresi gli operatori economici che non potranno più pagare gli affitti commerciali – e si traduce infine, come prospettiva di lungo corso, in una presa di possesso sempre più salda della finanza sulla città. I luoghi pubblici sono banalizzati (stessi negozi in franchising ovunque) e diventano ostili non solo verso i marginali ma addirittura nei confronti dei cittadini non abbastanza ricchi per stare al livello di consumi richiesto dalla nuova, più patinata, situazione. Non a caso l‘articolo dell‘Alto Adige punta il dito anche sugli

«avventori dell'Imbiss [che] tra panini e altri generi alimentari consumano il loro pasto veloce forniti di tovaglioli e bicchieri di carta.»

Segue nella lista chi non dispone di un parcheggio riservato per la bici, e la deve lasciare lungo la strada, riducendo la visibilità della facciata della banca… e così via. Nel corso e alla fine del processo di gentrificazione è quindi assai probabile che pure chi se ne frega dei provvedimenti contro i poveri, anzi se ne compiace egoista e stordito dalle scempiaggini sulla «meritocrazia», vada a far parte delle vittime del «decoro».

L‘altra tendenza in cui si inserisce questa piccola storia è la crescente stigmatizzazione dei consumi alimentari di strada legati a tradizioni gastronomiche extraeuropee. In un paese intrappolato nella fantaeconomia farinettiana, che pensa di poter campare di fiere della tipicità e turismo gastronomico, in modo apparentemente paradossale kebabbari, Imbiss e alimentari gestiti da migranti sono diventati oggetto di persecuzione istituzionale e mediatica.

Primo fu il leghista Bitonci, che nel 2015 a Padova ordinava il coprifuoco alle 20 per kebab e take away. L’anno dopo Nardella, sindaco piddino di Firenze, emetteva la sua «ordinanza anti-kebab» con pretesti rinascimentali; oggi a Roma la sindaca Raggi, per non essere da meno, attacca gli alimentari di prossimità in gran parte gestiti da bengalesi. Riguardo Bolzano ho scritto tempo fa di una pubblicazione pro-Benko che inseriva

«i “chioschi di kebab” tra le “saracinesche abbassate” e i “palazzi dalle facciate cadenti” nel suo rosario di luoghi del degrado.»

Le ordinanze anti-kebab alimentano il razzismo e la ricerca del «nemico» nello straniero (e distolgono lo sguardo dal solo vero assalto alle nostre vite che è in corso, quello perpetrato dal neoliberismo). Ma anche, e con sicuri risultati, fanno gli interessi dei ristoratori che puntano a un target più benestante e delle catene di supermercati, liberissime di aprire pressoché ovunque e con qualsiasi orario, generando traffico, defecando cemento e spazzando via le botteghe più modeste, producendo un saldo occupazionale negativo e un sicuro impoverimento della vita di quartiere.

Torniamo infine a «Blue Sky». Il suo creatore, Manfred Eccli, racconta il suo percorso creativo a partire dai «vuoti urbani» della città portoghese in cui ha studiato:

«Damals betrug der Leerstand im Zentrum fast 50 Prozent und so kam es, dass ich angefangen habe, mich mit dem Thema der temporären Architektur auseinander zu setzen. Das heißt, dass für eine bestimmte Zeit, ein Objekt, eine Skulptur, oder eine Installation an diesem „leeren“ Ort zu finden ist, um auf diese Problematik aufmerksam zu machen.»

Visto che è sensibile ai «problemi» urbani avrà molto da dire, immagino, sul fatto che una sua scultura a Bolzano viene posta dove c’è un pieno urbano – fatto di chioschi dove le persone comprano un pasto dignitoso ed economico – ma viene, la scultura, usata per pretendere un «decoroso» vuoto da mettere a profitto. Eppure Eccli, almeno stando a google, sembra tacere sul punto.

Sarà perché quella città lusitana dai vuoti urbani – Porto – è una città assalita dalla gentrificazione, e le opere d’arte che li segnalavano non erano che le postazioni militari del «corpo di spedizione dei gentrificatori»? Sarà che la questione dei vuoti urbani era pretestuosa a Porto proprio come è pretestosa, a Bolzano, quella del troppo pieno?

Ci sono artisti urbani che, a volte, non si fanno molte domande. I banchieri, invece, conoscono benissimo le risposte.