Gesellschaft | Autonomia

La fine della convenzione

La convenzione dei 33 sta per chiudere i lavori. E i documenti saranno più di uno. La riflessione del segretario organizzativo della Cgil-Agb, Agostino Accarrino.
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Foto: Fabio Petrini

Per questo motivo, inevitabilmente, si aprirà la discussione se il percorso per la riscrittura dello statuto sia stato o meno un fallimento. Per chi guarda a una società aperta, alla convivenza tra i gruppi linguistici, all’integrazione dei nuovi cittadini e all’Europa, come obiettivo strategico, le conclusioni sono sicuramente del tutto insoddisfacenti. Chi invece sin dall’inizio voleva forzare la mano su temi come l’autodeterminazione, cosa che rientra comunque tra i diritti di tutti i popoli, sarà probabilmente compiaciuto.

Ma a prescindere credo che sarebbe comunque opportuno fare una riflessione sulla condivisione o meno della nostra autonomia, che nei discorsi politici è considerata addirittura un esempio da esportare in tutte le zone calde del pianeta. Dal documento della maggioranza si potrebbe dedurre, che qualche cosa non ha funzionato. Penso per esempio al rapporto tra i gruppi linguistici, che continuano ad avere visioni diverse su molti temi, alla paura di sopraffazione del gruppo linguistico italiano e all’indisponibilità di confrontarsi su molte questioni poste da questi ultimi.

Va deciso se si punta veramente su uno sviluppo condiviso della nostra autonomia o a un progressivo distacco dall’Italia. Sono scelte legittime, ma basta essere onesti. Mascherare dietro alle parole l’intenzione di rompere quasi del tutto i legami con Roma è una strategia che può alimentare possibili ripicche a livello romano, di cui non abbiamo assolutamente bisogno.

Non possiamo comunque far finta di nulla. Andrebbe discusso e definito se la Convention rappresenti la popolazione locale, con tutte le sue sfaccettature, oppure no. La mia sensazione è che la maggioranza dei cittadini non si sia mai fatta coinvolgere più di tanto. Non a caso le polemiche sono emerse solo di recente e neppure con molta presa su moltissimi cittadini. Questo forse anche per la poca chiarezza sugli obiettivi da raggiungere. Ora credo che serva un percorso di ascolto fuori dalle sedi della politica per capire se il documento di maggioranza rappresenti il pensiero di gran parte della popolazione soprattutto tedesca. In caso affermativo sarebbe un segnale preoccupante perché significherebbe che tutta l’enfatizzazione sulla nostra autonomia è poco condivisa dagli elettori, anche da quelli tedeschi. L’atteggiamento ambivalente di sfruttare i vantaggi che ne derivano, ma tenersi anche le mani libere, se gli interessi in campo dovessero cambiare, è rischioso. A mio avviso si rischia di incrinare i rapporti istituzionali, alzando continuamente il tiro e facendo richieste che difficilmente possono trovare il necessario consenso a Roma.

Poi in politica tra quello che si dice e quello che si fa spesso non c’è coincidenza. Magari qualcuno pensa semplicemente di avere maggiori possibilità di successo nella trattativa con Roma sbandierando il fantasma dell’autodeterminazione – anche se qui non vedo molti spiragli - o di poter capitalizzare la propria posizione rigida nelle prossime elezioni provinciali.

Ho qualche preoccupazione che a livello nazionale ci giochiamo un altro pezzo di simpatia, mentre a livello locale rischiamo una campagna per le provinciali ideologicamente avvelenata.

La riforma costituzionale renziana, bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016, rendeva necessario una rivisitazione dello statuto. Oggi questo è solo una possibilità che va colta se ci sono le condizioni politiche per fare un passo in avanti, ma vista la situazione nazionale e le forze politiche che si apprestano a conquistare il Governo del Paese forse conviene salvaguardare l’esistente.