Wirtschaft | Commercio equo

“Il consumatore è la chiave di volta”

Fleurance Laroppe racconta l’esperienza del Fairtrade Iniziative Saarland. “Un acquisto etico cambia la vita a milioni di persone nel sud del mondo”. Convegno a Bolzano.
Fleurance Laroppe
Foto: FIS

Il consumatore è la chiave di volta del commercio equo e solidale. Ma serve l’impegno di ciascuno di noi, dei fortunati che vivono nei Paesi “sviluppati”. Per un acquisto che non tenga conto solo del prezzo, ma anche del plusvalore che se trasferito adeguatamente può invertire il disequilibrio economico e migliorare la vita dei contadini del sud del mondo. Ne è convinta Fleurance Laroppe, referente del progetto Fairtrade Iniziative Saarland. Una delle esperienze ritenute più importanti in Europa - nata proprio nella città tedesca di “frontiera” di Saarbrücken, vicina alla Francia da cui proviene l’attivista - per la “militanza” dei cittadini a favore della giustizia sociale applicata all’economia. “Se un cittadino su due sostituisse un unico bene al 100% acquistando in modo etico cambierebbe di colpo la vita di milioni di produttori nel sud del mondo” racconta a salto.bz l’attivista, attesa oggi alle 18 all’Eurac di Bolzano per il convegno sulla cooperazione allo sviluppo.

 

 

saltobz: Fleurance Laroppe, qual è l’esempio di Saarbrücken in materia di attivismo locale per l’economia solidale?​

Fleurance Laroppe: la nostra risorsa numero uno è un’equipe di spiriti liberi chiamati “ambasciatori del commercio equo e solidale”. Una trentina di persone tra cui circa la metà originari dei Paesi del sud del mondo, come Wynnie dal Kenia, Angel del Perù, Shilpa dell’India, che sono coloro che rendono il nostro messaggio più autentico. In una dozzina di anni abbiamo coinvolto circa 300 persone, di generazioni differenti, ma per la maggior parte giovani. È un grande forza collettiva per le nostre attività in tutte le direzioni. Incredibile ma vero, ogni due giorni c’è un’iniziativa, e così per tutto l’anno. E infine abbiamo una forte presenza, attraverso una comunicazione faccia a faccia per essere più credibili.

I nostri “ambasciatori del commercio equo e solidale” sono una trentina di persone tra cui circa la metà originari dei Paesi del sud del mondo, come Wynnie dal Kenia, Angel del Perù, Shilpa dell’India. Sono loro che rendono il nostro messaggio più autentico. In una dozzina di anni abbiamo coinvolto circa 300 persone

Sono bastati questi elementi per fare breccia nel tessuto sociale di Saarbrücken?​

Le nostre risorse non finiscono. Un secondo elemento che abbiamo è la nostra teoria delle quattro C: C come continuità, concetto, cooperazione, creatività. Una terza risorsa è la fruttuosa collaborazione con le istituzioni cittadine e del territorio. Abbiamo sviluppato una serie di buone pratiche che ci hanno permesso di coinvolgere diversi attori come come il Comune e l’università, che si sono impegnati per il commercio equo. D’un tratto Saarbrücken è diventata la prima città del commercio equo in Germania nel 2009, poi capitale del fair trade nel 2015. Quanto all’ateneo, è stato insignito come prima fair trade university. Ci sono poi le numerose scuole materne, classi e istituti premiati premiati per questo impegno.

La nostra è la teoria delle quattro C: continuità, concetto, cooperazione, creatività. Un’altra risorsa è la fruttuosa collaborazione con le istituzioni cittadine e del territorio. Saarbrücken è diventata la prima città del commercio equo in Germania nel 2009, poi capitale del fair trade nel 2015

Il commercio equo è una chance per lo sviluppo dei Paesi del sud del mondo, ma anche per l’Europa stessa?​

Sì. Quando un Paese come il Perù ha un 30% delle sue esportazioni in caffè equo e solidale, ecco che trasforma l’economia di una regione specializzata nel prodotto, quale è quella del nord della nazione andina. Non solo le famiglie dei produttori beneficiano di migliori condizioni di vita, ma anche gli altri abitanti hanno un vantaggio. Va detto che il sostegno alle forme di sviluppo locale copre una piccola percentuale del prezzo che paga il consumatore e finanzia dei micro progetti di infrastrutture sul territorio: vedi la costruzione di una piccola farmacia o di un punto di approvvigionamento per alcuni villaggi isolati in montagna. È provato che la politica del commercio solidale, del prezzo minimo e dei salari garantiti ha delle ripercussioni sulla politica salariale di una regione in cui lavorano molte cooperative fair trade. Questo indirizzo obbliga gli altri attori economici a pagare un salario minimo legale, cosa che spesso non è assolutamente rispettata. Le cooperative esprimono la loro preoccupazione per vedere le fila di produttori che vorrebbero integrare le fila del commercio solidale, ma il problema è che non c’è abbastanza domanda.

 

 

Il tema della domanda quindi è centrale. Qual è il miglior contributo che può dare il consumatore?​

A mio avviso il consumatore è la chiave di volta del settore. Le cooperative conferiscono circa il 50% della loro produzione al sistema equo e solidale e quello che auspichiamo è che la percentuale diventi il 100%, ma la domanda è ancora troppo bassa. Da qui l’urgenza di aumentare la consapevolezza, ponendo questo interrogativo: è giusto consumare e basta quando si può consumare in modo etico? Noi siamo una trentina di persone a Saarbrücken e bisognerebbe essere trecento per fare veramente la differenza. Troppo spesso i visitatori dei nostri stand in Germania, ma non in Francia, ci dicono che è un buon prodotto ma che è troppo caro. Noi spieghiamo i criteri del commercio equo. Tutti quei valori come “vivere del proprio lavoro”, “mandare i bambini a scuola”, “agricoltura biologica”, “bonus di sviluppo” hanno un prezzo. Facciamo loro comprendere che se un cittadino su due decidesse domani di cambiare anche un solo prodotto che usa nel quotidiano, vedi il tè o il caffè, acquistando equo e solidale - basterebbe un solo bene ma sostituito al 100% - questo cambierebbe la vita di milioni di produttori dei Paesi in via di sviluppo. 

Nelle nostre economie europee il volume d’affari del commercio equo continua a salire del 15% annuo. C’è un certo dinamismo. Se il ministero dello sviluppo economico tedesco aprisse un fondo speciale permetterebbe di creare centinaia di posti di lavoro, con il solo obiettivo di promuovere gli acquisti solidali

Che possibilità ci sono per sviluppare l’economia etica in una prospettiva globale?​

Nelle nostre economie europee il volume d’affari del commercio equo continua a salire del 15% annuo. Per dire che c’è un certo dinamismo. Ormai non ci sono supermercati, e lo stesso vale perfino per i discount, che non abbiano sugli scaffali prodotti equo-solidali. In Germania il 4% del caffè consumato è “equitable” e lo è anche il 10% delle banane. Anche se complessivamente resta ancora marginale, la crescita è molto rapida. Il lavoro della nostra équipe a Saarbrücken si basa in prevalenza, per il 69-70%, sul volontariato. Sono sicura che se il ministero dello sviluppo economico aprisse un fondo speciale per supportare il commercio equo allora questo permetterebbe di creare centinaia di posti di lavoro, con il solo obiettivo di promuovere il consumo etico tra i cittadini e nei servizi pubblici. 

Oggi l’1% del caffè consumato è equo. Quando questa percentuale passerà al 3, poi al 10, a seguire al 30 per cento, allora i produttori dei Paesi in via di sviluppo vedranno davvero una reale differenza nelle loro condizioni di vita. Io ci spero

Lei è fiduciosa in una svolta?​

Oggi l’1% del caffè consumato è equo. Quando questa percentuale passerà al 3, poi al 10, a seguire al 30 per cento, allora i produttori dei Paesi in via di sviluppo vedranno davvero una reale differenza nelle loro condizioni di vita. Sarà un cambiamento su larga scala.