Kultur | Giorno della memoria

“Non è ancora guarito?”

Sabine Mayr e Joachim Innerhofer raccontano la storia delle famiglia di Alexander Langer, i ricordi, l’espulsione, la fuga e il dopoguerra. L´antisemitismo in Sudtirolo.
Alexander Langer im Landtag
Foto: Südtirolfoto/Othmar Seehauser
Quando all’inizio delle persecuzioni naziste la provincia di Bolzano costituiva un rifugio ancora relativamente sicuro, i fratelli Erwin e Artur Langer avevano appena incominciato la loro carriera professionale ed erano già in grado di vantare notevoli successi. Nonostante vivessero qui da molti anni e avessero ottenuto la cittadinanza italiana, alla fine dell’estate del 1938 anche loro dovettero rapidamente prepararsi per la fuga.
„Dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938 mio padre, a 38 anni, perse il lavoro come primario dell’ospedale di Vipiteno. Allora l’ospedale si trovava nell’edificio dell’Ordine Teutonico, dove oggi è ospitato il Museo Civico, ed era specializzato in chirurgia, ginecologia e ostetricia. Mio padre, Artur, si trovò improvvisamente disoccupato e apolide e fu costretto a lasciare la provincia”, inizia così il racconto di Peter Langer, che per molti anni gestì la Farmacia Kofler.
Peter Langer è il fratello del politico Alexander Langer, fondatore del Partito dei Verdi italiani, esponente importante del movimento verde europeo e promotore di numerose iniziative per la pace, la convivenza e i diritti umani, e di Martin Langer, professore alla facoltà di medicina dell’Università degli Studi di Milano che dirige il Dipartimento di anestesia, rianimazione e cure palliative. Il loro padre Artur Langer aveva ristrutturato l’ospedale di Vipiteno creando una struttura professionale con reparti specializzati e ben attrezzati. La prima tappa della fuga dei fratelli Artur ed Erwin e delle loro famiglie fu Val di Sogno, una frazione del comune di Malcesine sul lago di Garda, ma ritorniamo all’inizio.
 
Il nonno di Peter si chiamava Alexander Langer ed era nato nel 1867 a Olomuc nell’odierna Repubblica Ceca, figlio di Julie Knöpfelmacher e Sigmund Seligmann Langer, fratello di Helene Taubeles e Selma Langer. Dal IX secolo a Olomuc si trovavano abitanti di religione ebraica che subirono persecuzioni ed espulsioni fino al 1545, quando venne emanato un divieto di insediamento. Solo verso la fine del XIX secolo gli ebrei poterono stabilirsi nuovamente in città e vivere da cittadini “relativamente” liberi. Alexander Langer si trasferì a Vienna con la moglie Ida Altar, nata anche lei a Olomuc, figlia di Charlotte Goldschmidt e Martin Altar, e a Vienna nacquero i figli Erwin (1895), Margit e Artur (1900).
 

L´ arrivo a Bolzano

 
“A causa della sua malattia a mio nonno venne consigliato di cambiare aria e così arrivò a Bolzano. Di professione era agente immobiliare e aveva a che fare con fallimenti”, racconta Peter Langer. Nel 1914 suo zio Erwin cominciò gli studi di diritto ma dovette interromperli perché venne richiamato come ufficiale nel settimo reggimento di fanteria della difesa territoriale “Pilsen”. Catturato come prigioniero di guerra nel gennaio del 1918, Erwin trascorse quasi un anno studiando la lingua italiana e la conoscenza della lingua italiana lo aiutò poi a prepararsi per sostenere l’esame di avvocato secondo il diritto italiano, dopo che Langer nel 1920 poté concludere i suoi studi presso l’Università di Vienna.
Nel 1916 la famiglia Langer si trasferì a Bolzano. Nel 1917 Artur iniziò gli studi presso il ginnasio-liceo dei padri francescani, fino a quando, il 15 marzo 1918, la sua annata non venne richiamata a svolgere il servizio militare. Frequentare la scuola presso un ordine cattolico come i francescani non pose alla famiglia nessun problema religioso. Fu una cosa talmente ‘non ebrea’, che più tardi Artur iscrisse alla stessa scuola anche i suoi tre figli Alexander, Martin e Peter, osserva Peter con ironia.
Dal ramo paterno la sua famiglia era completamente assimilata, non era interessata alle usanze ebraiche e non festeggiava le ricorrenze religiose. “Così né mio padre, né noi avemmo problemi a essere formati in un istituto religioso cattolico. Un altro motivo per cui poi siamo andati a scuola dai francescani fu che mio padre supponeva che i padri fossero meno nazisti degli insegnanti del liceo pubblico. Era religiosa solo la suocera di Erwin, che intratteneva tutti i bambini quando parlava yiddish. Sapeva raccontare bellissime storie.”
Nel novembre del 1918, Artur ottenne la “maturità di guerra”, di cui fu fiero per tutta la sua vita, come accenna Peter, e cominciò a studiare medicina a Vienna. I genitori all’epoca vivevano in via Montello a Bolzano e nell’agosto del 1919 Alexander fece registrare la sua “agenzia di commercio Gries” stabilita nella Villa Gertrud e in un ufficio affittato sotto i Portici 31, dove teneva dei campioni. Alexander morì nel 1922. Nel 1925 Artur concluse i suoi studi di medicina a Firenze e fece il tirocinio presso il dipartimento di anatomia della facoltà di medicina, sempre di Firenze.
Dal 7 febbraio 1921 Erwin Langer lavorò presso lo studio legale di Gaetano Boscarolli. Nel febbraio del 1922 venne confermato che Erwin avesse ancora la residenza a Vienna, secondo una dichiarazione del Comune di Gries che Langer aveva presentato la richiesta di opzione e aveva ottenuto l’assicurazione che sarebbe stata accolta. Dal 1924 Erwin e sua moglie Anna, nata Köppl, vissero a Merano dove Erwin lavorò presso lo studio legale di Ludwig Baranek. Il 29 gennaio 1925 sostenne l’esame di stato come avvocato.
 
Artur all’inizio esercitò come medico di base a Naturno, quindi a Laives, a Lasa e a Curon in Val Venosta. Nel maggio del 1929 Artur venne assunto dall’ospedale di Merano e si specializzò in chirurgia, guidato dalle competenze del chirurgo Maximilian Hoffmann, noto anche oltre i confini regionali. In seguito a una malattia di Hoffmann, dal maggio del 1932 al maggio del 1934 Artur occupò ad interim il posto di primario di chirurgia, ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Merano. Nell’aprile del 1935 l’ospedale di Vipiteno gli offrì la carica di primario di chirurgia che Artur assunse perciò già come esperto chirurgo e che occupò fino al 15 gennaio 1939.
“Si trattava all’inizio di un posto di lavoro modesto. Come compromesso con i medici allora impiegati, il reparto di chirurgia venne unito a quello di ginecologia e ostetricia e quest’ultimo poi venne nuovamente scorporato dopo due anni.” In quel periodo Artur conobbe la sua futura moglie Elisabeth Kofler, la cui madre, nata Pretz, aveva sposato il farmacista di Vipiteno Oswald Kofler. Alla felicità dell’amore seguì un duro colpo: a causa delle leggi razziali Artur venne licenziato dall’ospedale, venne dichiarato apolide e cancellato dall’Ordine dei medici. Non c’erano altre possibilità di trovare un nuovo lavoro, anche se le autorità italiane erano informate sul fatto che Artur fosse una persona di specchiata moralità e molto altruista.
 

Persecuzione fascista

 
L’ossessione per la raccolta di informazioni dei funzionari fascisti non conosceva limiti e la vita privata di Artur venne radiografata fino nei dettagli più insignificanti. Venne registrato che Artur era celibe, che aveva un fratello avvocato a Merano, che la sua situazione finanziaria era buona, che non possedeva beni a Vipiteno, però un immobile a Merano, del valore di 80.000 lire, gravato da un’ipoteca di 30.000 lire. La proprietà cui si riferiscono i dati era la metà della Casa Pardeller nell’allora via Dante 69, che Artur possedeva dal 1935. Venne inoltre messo agli atti che Artur si dedicava alla sua professione con molta competenza e passione e che una buona parte dei suoi risparmi era stata devoluta a pazienti bisognosi di particolari terapie.
“È un professionista onesto e coscienzioso, molto apprezzato dalle autorità e dalla popolazione. Ha dato notevolissimo incremento all’organizzazione interna dell’ospedale civile di Vipiteno, attrezzandolo convenientemente anche ai fini di importanti operazioni chirurgiche. È in possesso di numerosi attesti di benemerenza rilasciati da enti e privati. Fra questi ultimi vi è quello di S.A.R. il duca di Pistoia rilasciato perché prestò le sue cure ai militari travolti da una valanga nel 1937, mentre predisponevano la pista per la gara sciistica ‘Coppa del Duce’.”
Durante la visita di Hitler in Italia dal 3 al 9 maggio 1938, Artur e Erwin Langer furono tra i “tedeschi” arrestati dalla polizia italiana in seguito a un accordo segreto della polizia del 1936 con lo scopo di contrastare “comunisti, massoni ed emigranti” che prevedeva nei loro confronti un controllo più intenso.
Walter Götz fu come Erwin tra i dieci meranesi arrestati, considerati “ebrei” dalle autorità, e attribuì l’arresto a un ordine erroneo che poi sarebbe stato revocato. “Abbiamo ricevuto un ottimo trattamento, eravamo circa una decina di persone e ci conoscevamo fra noi. Le celle erano tutte aperte e si scherzava anche fra noi. [...] Il giorno dopo è arrivato un decreto, si era trattato solo di un falso allarme e noi siamo stati rilasciati”, ricorda Walter Götz.
Peter Langer aggiunge: “Mio zio stava in una cella sopra il cortile delle esercitazioni dei carabinieri e sentì il cortile rimbombare di ordini come: ‘Faccia la faccia più feroce! Così non impressiona nessuno’. Hanno giocato a carte per due giorni e poi sono stati liberati.”
 
Con altrettanta precisione indagarono anche sulla vita professionale di Erwin che, secondo la questura di Bolzano, non era mai stato incriminato e godeva di un’ottima reputazione morale e civile, e i suoi clienti erano esclusivamente “alloglotti”, come recitano i documenti del tempo. Fu inoltre registrato che lo studio legale di Langer si trovava nella Marktgasse, l’odierna piazza Cassa di risparmio, e quindi in uno dei luoghi centrali di Merano, che Erwin abitava con sua moglie Anna Köppl, segnalata come “un’ebrea dalla Boemia”, e la figlia Maria nella Villa Batliner nel quartiere Steinach e dalla fine degli anni Trenta in via Goethe e vennero anche fatto annotazioni sulla madre di Erwin, Ida.
L’attenzione maggiore venne tuttavia riservata al modo in cui Erwin si comportava nei confronti del regime fascista. Venne osservato che non era membro del PNF, che dimostrerebbe “un orientamento pangermanista” anche se mai espresso in pubblico, e che non partecipava alle “manifestazioni patriottiche”. A causa di queste osservazioni e dato che Erwin Langer, secondo le autorità fasciste, non nutriva nessun particolare sentimento verso l’Italia, venne respinta la sua richie- sta di essere riconosciuto come “discriminato”.
Il 30 settembre 1939 Erwin Langer informò l’Ordine degli avvocati di Bolzano che gli era stata revocata la cittadinanza italiana e che, essendo espulso dalla provincia di Bolzano, doveva chiudere lo studio legale.
 
 

La Fuga in Val di Sogno

 
La sorella di Anna Köppl, Hannah, era sposata con Rudi Schadinger, il chimico responsabile della Montecatini a Rovereto. “Durante la guerra la coppia rimase a Rovereto. Rudi Schadinger riuscì a nascondere e proteggere Hannah che sopravvisse alle persecuzioni rimanendo a Rovereto”, riferisce Peter. “Nel dopoguerra Hannah poi abitava in via Resia a Bolzano e quando avevamo delle preoccupazioni andavamo sempre a trovare zia Hannah.” Alexander Langer frequentò le scuole medie a Bolzano, perché allora non c’erano a Vipiteno, e in quel periodo visse dalla zia. Non venne menzionato dalle autorità fasciste che Erwin e Anna ebbero anche un figlio, Paolo, che oggi vive in Sardegna.
Erwin e Artur dovettero fuggire, come già detto, a Malcesine. Val di Sogno era una bella località, raccontò Artur Langer più tardi ai suoi figli. Artur non aveva mezzi finanziari, solo Erwin aveva ancora un po’ di danaro con cui comprò per Anna, Maria, Artur e per sé un piccolo capanno di pescatori sul lago di Garda. “Era una costruzione in pietra, circa cinque metri per cinque con un piccolo pez- zo di prato dove si potevano coltivare degli ortaggi”.
Lì Artur ricominciò a esercitare il suo mestiere di medico perché venne chiamato dalle persone del luogo per ferite da taglio, contusioni o fratture e medicò gratuitamente anche pescatori, che si ferivano lavorando sul lago. Erwin aiutò gli abitanti di Val di Sogno a risolvere questioni legali. “Spesso si trattava di piccole liti tra vicini, questioni di eredità o di beni di proprietà che, parlando solo tra di loro, non riuscivano a ri- solvere. Erwin poteva aiutarli e loro apprezzavano il suo parere.”
La famiglia Langer fu quindi ben voluta e come segno di ringraziamento ricevette patate, pesce e olio. Pur in questa situazione precaria avevano di che vivere. La casetta di Val di Sogno piacque particolarmente a Maria, la figlia di Erwin e Anna.
“Per lei quello fu uno dei periodi più belli della sua infanzia perché improvvisamente tutti gli adulti avevano tempo per lei e diventavano persino i suoi insegnanti privati. Maria è poi diventata docente universitaria. Ha sposato il professore di patologia Giulio Costanzi ed entrambi hanno fatto carriera”, aggiunge Peter. Dopo un periodo di relativa calma la famiglia si trovò nuovamente esposta alle persecuzioni. Grazie ai buoni rapporti con la popolazione del paese e l’aiuto dei carabinieri del luogo, che li misero in guardia da un possibile arresto, riuscirono a scappare.
Un amico toscano, un giudice di nome Bigazzi, che aveva iniziato la sua carriera al tribunale di Vipiteno, li aiutò a trovare un rifugio in Toscana, a Figline Valdarno, dove rimasero per due anni. In seguito all’occupazione nazista pure questo nascondiglio divenne troppo pericoloso, per cui i Langer cercarono di raggiungere la Svizzera con l’aiuto di un passatore affidabile e il 3 marzo 1944, per la prima volta dopo anni, riprovarono la sensazione di essere al sicuro.
“È probabile che la famiglia Bigazzi sia intervenuta a trovare la guida alpina, che attraverso un percorso in alta montagna e passando anche dei ghiacciai li portò fino al confine della Svizzera. Nel dopoguerra hanno sentito che il loro accompagnatore è stato ucciso sulla via di ritorno. Erwin venne internato in un campo di raccolta, nostro padre invece lavorò come medico in un campo della Croce Rossa. Maria nel frattempo aveva compiuto dodici anni e fu separata dai suoi genitori. Venne affidata alla famiglia Regner, con la quale Maria poi man- tenne i contatti per tutta la vita. Erwin, Anna e Maria poterono riunirsi solo dopo la fine della guerra.”
La guerra finì e Artur, che allora aveva quarantacinque anni, tornò a Vipiteno. Lì nessuno era andato ad accogliere le truppe americane ed Elisabeth si scoprì l’unica a salutarli con una bandiera della Croce rossa. Finalmente le circostanze permisero loro di sposarsi. I genitori di Elisabeth pretesero però un matrimonio in chiesa e Artur non aveva nulla in contrario ma era ebreo e quindi non era né battezzato né cresimato. “Fortunatamente mio padre, grazie al suo lavoro di medico aveva una grande cerchia di amici e conoscenti. Uno dei suoi pazienti era il parroco di Telves in val Ridanna, il reverendo Dabringer, un ‘parroco non ortodosso’ che preparò e sistemò tutto, affinché i miei genitori potessero celebrare il loro matrimonio. Un mattino, nel convento di Novacella, mio padre venne quin- di battezzato, fece la prima comunione, la cresima e anche l’esame prematrimoniale e il 18 giugno 1945, senza grandi cerimonie, si sposarono”, racconta Peter.
 
 

„Figlio di ebrei”

 
I loro tre figli, Alexander, Peter e Martin, crebbero sereni a Vipiteno e Bolzano. Artur lavorò all’ospedale di Vipiteno fino al 1965, Elisabeth fino al 1973 in farmacia. Degli anni della fuga si parlò poco in famiglia. Essendo già stata fidanzata con Artur nel periodo nazista, Elisabeth subì dei commenti umilianti da parte di alcuni abitanti di Vipiteno, senza però essere stata in pericolo di vita. Sporadicamente si presentavano delle questioni enigmatiche, domande che restavano senza risposta, ad esempio: perché non si entrava in certi negozi o in certe locande di Vipiteno? Solo molti anni dopo i bambini capirono cosa aveva passato la famiglia, anche se non era mai stato un argomento di discussione.
“Non volevano trascinarci nella loro storia”, spiega Peter. Al massimo alcune volte si parlava del soggiorno a Malcesine, quasi mai del periodo in Toscana. “La nonna Ida è sopravvissuto nascosta a Ferrara, probabilmente in un convento, ma dopo la guerra non ci furono più contatti con lei.”
 
Altri brevi momenti di riflessione si presentarono ai figli negli incontri con la famiglia Fisch, vecchi amici di Artur dall’associazione viennese dei giovani socialisti di nome “Wandervögel”, che spesso vennero a visitare la famiglia a Vipiteno. “La signora Fisch portava sempre un cerotto sul braccio e noi chiedevamo: ‘Ti sei fatta male?’ E lei rispondeva: ‘Sì, molto.’ ‘Non è ancora guarito?’ – ‘No, non guarirà mai.’ Solo più tardi abbiamo capito che la signora Fisch sul braccio aveva un tatuaggio di Auschwitz.”
Artur morì nel 1974. “Non voleva essere sepolto nel sepolcro di famiglia a Vipiteno”, continua Peter. “Nella tomba di famiglia sono sepolti dei parenti che durante la guerra non si erano comportati con onore e che poi non hanno sostenuto la relazione dei miei genitori. Mio padre desiderava essere sepolto in un’urna e ancora una volta fu un parroco di Telves ad aiutarlo, nonostante la cremazione non fosse ancora ammessa dalla Chiesa e si potesse fare solo a Monaco. Il successore del reverendo Dabringer, a sua volta poco ortodosso, era d’accordo a fare un funerale con un’urna e a fare anche suonare le campane. Così mio padre poté essere tumulato nel cimitero di Telves nel modo in cui lui desiderava.”
Nel 1985, l’anno della morte di Elisabeth, fu pubblicata una lettera in un quotidiano regionale nella quale il politico Alexander Langer veniva presentato come “figlio di ebrei” e veniva accusato di portare avanti una politica di “eliminazione” dei sudtirolesi di lingua tedesca per vendicarsi della persecuzione subita dagli ebrei.
Quando un giornalista di un giornale tedesco si informò presso il responsabile dell’ufficio stampa della provincia di Bolzano, se Langer “fosse un vero sudtirolese”, ottenne come risposta: “Beh, ecco... proprio vero... beh... suo padre era un ebreo...”.
Un altro passo ancora più ingiurioso lo fece il deputato dell’SVP e rappresentante dei ladini Hugo Valentin che definì Langer “il Goebbels del Tirolo” respingendo come offensivo il paragone fatto da Langer tra ladini ed ebrei, chiamandoli “ebrei tirolesi”, con il quale Langer voleva puntare all’insufficiente considerazione politica del gruppo linguistico ladino nella politica della provincia di Bolzano. Florian Kronbichler, parlamentare di Sinistra ecologia libertà e biografo di Alexander Langer, valuta le esternazioni di Valentin come un ulteriore esempio sintomatico del vecchio atteggiamento antisemita di rappresentanti politici del Sudtirolo e del loro contegno disinvolto nei confronti dei crimini dei nazionalsocialisti.