Gesellschaft | Convivenza

"Adesso siete scesi dal barcone"

Solo la scuola può garantire vera accoglienza. Ecco come un piccolo gruppo di migranti, residente a Castelrotto, è riuscito a presentarsi all'esame di terza media.
Jolanda Caon
Foto: Fotografia di gadilu

Per Jolanda Caon la cosa più importante sono i nomi: “Nomi, nomi che significano persone, non numeri”. L'ex insegnante in pensione parla dei suoi “ragazzi” con un filo di commozione nella voce. Tardo pomeriggio, siamo seduti a un tavolino del bar dell'università, insieme a noi anche suo marito e il professor Marco Mariani, ex preside del Liceo Carducci ed ex ispettore scolastico ancora attivissimo sui temi della formazione. La storia che raccontiamo rappresenta la faccia bella e pragmatica del rapporto tra cittadini della provincia e migranti, vale a dire quelle persone che tanti vedono solo alla stregua di un “problema da arginare”, ma che può essere anche interpretato e vissuto come un'occasione di crescita collettiva, un banco di prova per affermare il nostro vero modello di civiltà.

Protagonisti un gruppo di profughi (o come vengono definiti in linguaggio burocratico: richiedenti asilo). Sono sette, per l'esattezza, in maggioranza provenienti dalla Nigeria e residenti nell'ex convento delle Suore Terziarie di Castelrotto (“Casa Anna”) gestito dalla Caritas. Tutti uomini con alle spalle un viaggio lunghissimo, segnato dalla violenza, dal costante rischio della morte, quindi la traversata per approdare in Europa, in Italia, nella speranza di rianimare quei sogni che per noi sono scontati (poter esercitare una professione con dignità e in pace, per esempio). Ma è a questo punto, qui a Castelrotto, che forse per la prima volta essi hanno avuto il segno concreto di una svolta positiva, cogliendo l'occasione che proprio Jolanda Caon e altri insegnanti volontari hanno avuto l'idea e l'entusiasmo di offrire loro: prepararli all'esame della licenza media, trasformare un soggiorno altrimenti destinato a rivelarsi solo una lunga attesa di qualcosa d'indeterminato, appesi alla sentenza di un giudice, in un periodo di reale apprendimento, fino a farli sentire parte effettiva della comunità che li ha accolti.

Martedì (26 giugno), intanto, questi diplomandi un po' atipici hanno concluso il loro percorso nella scuola media in lingua italiana di Egna (diretta da Raffaella Lago). Emozionati e felici si sono presentati per sostenere le prove da privatisti, potendo finalmente dimostrare tutto quello che in quasi un anno di lavoro sono stati capaci di apprendere. “Molti di loro – racconta Jolanda Caon – avevano già un titolo di studio ottenuto in Africa, ma ovviamente la distanza culturale, a cominciare dalla diversa competenza linguistica, implicava che in molti casi ripartissero quasi da zero. Sono stati però velocissimi, supplendo alle carenze strutturali con volontà e serietà straordinarie”. Più che la frequentazione di una scuola già esistente, il senso di questa esperienza sta tutto nella realizzazione degli stessi presupposti, e addirittura degli spazi fisici per i quali una scuola diventa poi realmente tale. “Hanno voluto dipingere la stanza in cui si riunivano per imparare, dove si tenevano ogni giorno le lezioni, incluso il sabato, e ogni volta si presentavano curatissimi. Era incredibile il rispetto che ci hanno mostrato, la consapevolezza di star facendo qualcosa di decisivo per il loro futuro”, sottolinea Caon, che i suoi allievi hanno ribattezzato “Mami” (“anche questo un segno di rispetto, Mami è infatti la donna con più esperienza del villaggio”).

Mami Caon ricorda alcuni episodi particolarmente significativi, come le lezioni sul corpo umano, sui valori portanti della nostra Costituzione (“che hanno trovato bellissima, scoprendone le caratteristiche e facendomene sentire orgogliosa”) e anche sul ruolo dello Statuto di Autonomia (“bisognerebbe riuscire a portare questo modello anche in Biafra, mi hanno detto”). Oppure aneddoti che mostrano la tenerezza di uno scambio che è poi il segreto di ogni relazione. “Proprio all'inizio uno di loro mi chiese: Mami, ma perché noi siamo neri e tu sei bianca?” Bianca? – gli ho risposto – Come sarebbe a dire bianca? Guarda qui, guarda il mio braccio, non vedi che è pieno di macchioline, come fai a dire che è bianco?”.

Anche la questione religiosa, le supposte incompatibilità confessionali sono state al centro di una proficua riflessione collettiva. “La loro identità è in questo senso la più varia: musulmani di varie tendenze, cristiani anglicani, testimoni di Geova, pentecostali..., comunque non è mai stato un problema. Pregavamo insieme, ci confrontavamo su tutto. Un giorno li abbiamo portati in Chiesa a vedere e sentire l'organo. Uno di loro, musulmano, all'inizio era titubante, ma poi si è convinto. Quando ha scoperto lo strumento se ne è innamorato e desiderava tornare sempre a sentirlo”. Ovviamente vi sono stati anche attriti, momenti nei quali la diversità culturale di partenza ha posto questioni risolvibili solo grazie alla disponibilità a far emergere strati di consapevolezza progressivi. “Erano stupiti quando abbiamo raccontato loro che anche gli uomini, qui da noi, hanno il diritto di poter ottenere un periodo di assenza dal lavoro per congedo parentale. Mentre sulle misure di tutela dell'infanzia erano ovviamente subito favorevolmente impressionati”.

Il succo di questa bellissima avventura – a parlare stavolta sono Mariani e Caon all'unisono – si condensa in una appassionata lode all'istituzione scolastica: “Parliamo di accoglienza e ci scordiamo sempre che dopo il primo impatto con i controlli alle frontiere, dopo gli aspetti relativi alla sicurezza, all'igiene e alla distribuzione sul territorio, il vero passo da compiere è consentire a queste persone di arrivare davvero al centro delle nostre istituzioni. E il centro delle nostre istituzioni è rappresentato dalla scuola, perché solo a scuola si comprende realmente in cosa consiste, di cos'è fatta la nostra cultura. Siamo convinti che l'esperienza da noi realizzata su base volontaria – certo anche grazie all'appoggio di chi ci ha permesso di lavorare con tranquillità e di finalizzare i nostri intenti – debba essere approfondita e allargata. Non vogliamo essere un caso isolato, ma il primo esempio di una lunga serie di successi”.

Quando ho cominciato a fare lezione – ricorda alla fine Jolanda Mami Caon – ho detto loro: ragazzi, adesso, qui a scuola, avrete la possibilità di scendere da quel barcone che vi ha tenuti sospesi sul mare e di toccare finalmente terra. Qui potrete impadronirvi degli strumenti per ricostruire la vostra vita, e noi vogliamo aiutarvi a farlo”.