meloni-quirinale.jpg
Foto: secolo d'italia
Politik | trentexpress

La LED, Lingua dell’Era Destra

Tra Biancofiore e Unterberger, il nuovo Governo Meloni ha dimostrato che ogni parola è importante, anche se si tratta di un semplice articolo determinativo.

Perché sono importanti le parole, e anche quelle molto brevi come gli articoli determinativi (maschile, femminile, neutro per chi ce l’ha)? Sono importanti perché la lingua che usiamo dice chi siamo. Soprattutto nel centesimo anniversario della marcia su Roma, la nuova lingua di Roma va studiata, analizzata. Perché con la scelta delle parole ci si schiera: chi chiama al maschile la nuova DDD, Donna Dominante della Destra (che non cito per una individuale, modesta obiezione di coscienza) LE obbedisce e si colloca. Culturalmente e politicamente. Dalla parte opposta di chi ha a cuore il rispetto delle differenze di genere e dunque continua a chiamarla LA, e non IL, presidente.

Oltretutto LA leader di Fratelli d’Italia, sorella d’Italia che si vuol far appellare al maschile, non si rende conto di dare così, paradossalmente, un importante contributo linguistico alla fluidità di genere che viceversa è fieramente, anzi virilmente avversata dalla destra di lotta (fino a ieri) e oggi di governo, in  nome della lotta all’ideologia gender (cosiddetta). 

il fatto che oggi una donna possa scegliere come definirsi, chiamare se stessa, è una specie di «privilegio», per quanto dovuto

Sulla Stampa Elena Loewenthal ha approvato la scelta DELLA “cancelliera italiana” (Kanzlerin, sarebbe, no?) per due ragioni fondamentali. “La prima è quella libertà generica cui tutti abbiamo diritto, e cioè la nostra autodeterminazione di genere, foss’anche grammaticale. … La seconda ragione riconduce a una specifica libertà del femminile. Viviamo in questo senso in un’epoca di transizione, in cui si vanno configurando declinazioni al femminile nuove - da «sindaca» a «ministra» a «avvocata». Ma al tempo stesso sono ancora ammesse, grammaticalmente e culturalmente, le forme tradizionali: in parole povere, una donna può ancora essere chiamata «sindaco», «ministro» e «avvocato». E ciò che cosa significa? Significa che in questo periodo di transizione le donne hanno la libertà di scelta: possono usare per sé il femminile o il maschile. In una storia millenaria segnata dalla negazione della libertà, il fatto che oggi una donna possa scegliere come definirsi, chiamare se stessa, è una specie di «privilegio», per quanto dovuto”. 

“Nel mio piccolo – conclude Loewenthal – ho scelto di essere chiamata «direttore» della Fondazione Circolo dei Lettori (di Torino, ndr) soprattutto per questo: per prendermi una libertà che al maschile è negata: quella di scegliere fra due alternative – «direttrice» o «direttore». Dando naturalmente al tempo stesso al prossimo la libertà di chiamarmi come meglio crede. Mi riconosco in entrambe le denominazioni. Giorgia Meloni ha scelto di chiamarsi “il presidente”, marcandosi con l’articolo maschile ed esercitando con ciò quel principio di libertà e autodeterminazione che per l’universo femminile è un traguardo recente, ancora tutto da costruire”.

L'argomento di Loewenthal è suggestivo e in parte convincente. Mi convince ancor più, però, l'idea che LA presidente del Consiglio, scegliendo l'articolo IL, si collochi in una tradizione di donne che vedono il titolo al maschile come intrinsecamente, socialmente, culturalmente più autorevole. Parecchi di noi conoscono docenti universitarie al top della carriera che si offendono se vengono chiamate, anziché “professore ordinario”, “professoressa ordinaria”, che le svaluta, nell’immaginario, a prof delle medie. E conosciamo avvocate che ci tengono ad essere chiamate “avvocato” anziché “avvocata”,  e magari sono le stesse neoclericali che pregano ancora il Salve Regina in latino, dove la Madonna è “advocata nostra” (delle donne come degli uomini).

 

La retorica eroica

 

In un acuto commento intitolato “Le donne dell’underdog diventata Regina”, sul Manifesto del 27 ottobre, convincente è Laura Marchetti: “Giorgia, la nuova eroa” – notate la scelta della versione femminile di eroe, non ridotta all’ambiguo e diminutivo “eroina” (ndr) – “ la nuova eroa per antonomasia, può chiamare le altre gloriose per nome, familiarmente, come fossero parenti o ancelle, utili a prepararle il destino…”.

LA nuovissima presidente di destra si muove dentro un vecchio abito mentale maschilista


Verissimo. L’avrebbe mai fatto con gli uomini? De Gasperi, Almirante e Pertini – per fare una triplice ecumenico-nazionale – li avrebbe evocati come Alcide, Giorgio e Sandro? Certo che no, perché LA nuovissima presidente di destra si muove dentro un vecchio abito mentale maschilista. E non a caso: solo un quarto di donne nella squadra dei ministri, tutte vestite la mattina del giuramento con giacca e pantalone, dress code che evoca la maschia autorità. E tutte che preferiscono essere declinate al maschile. Esattamente come, nella giunta provinciale di Trento, l’assessora alla salute Segnana e quella all’agricoltura Zanotelli hanno sempre rimarcato la loro preferenza per il singolare “assessore” invece che “assessora”: che suonerebbe cacofonico (naturalmente la prima obiezione delle donne figlie del potere maschile  è sempre questa, eufonica) e, soprattutto, odora di femminismo “sinistro”.

Si arriva così, appunto, alla “capatrena”, storpiatura inventata DALLA neopresidente per ridicolizzare la questione. Anzi, proprio per “buttarla in vacca” (per usare un’espressione volgarmente maschilista). E invece. Invece come continua Marchetti, anche con l’espediente di 16 donne eroiche, “nel discorso inaugurale ha presentato non un programma ma un’epica reazionaria, nascosta da un espediente retorico che purtroppo è piaciuto anche a molte donne progressiste”. Purtroppo. Un nome per tutte: Concita De Gregorio, gura (improvvisato femminile di guru) della Repubblica, che ha definito la presidente una “fuoriclasse”: termine sia maschile sia femminile, perfetto per esprimere stupefatta stima alla Destrorsa.

 

Dalla LTI alla LED

 

l filologo Victor Klemperer ha scritto un formidabile saggio intitolato “LTI, Lingua Tertii Imperii” (prima edizione nel 1947), per radiografare la neolingua del Terzo Reich. Una lingua tedesca rifatta a immagine e somiglianza del Dittatore, una lingua in cui “fanatisch”, per fare un solo esempio, guadagnava una connotazione assolutamente positiva per i sostenitori del regime. Ci vorrà un’analoga opera sulla LED, la Lingua dell’Era Destra, per decodificare il lessico della destra-destra per la prima volta al governo. 

“Nazione”, nazionale (la missione), nazionali (gli interessi) sono naturalmente le prime parole “antiche” che il governo nuovo propone in modo martellante agli italiani e che, giustamente, la senatrice della Svp (gruppo autonomie) Julia Unterberger ha rispedito alla mittente, insieme a condivisibili considerazioni sull’uso del maschile.

“Le parlo da sudtirolese, donna progressista e femminista – ha detto Unterberger il 26 ottobre a Palazzo Madama – e quindi da una posizione agli antipodi della sua. Devo attestarle che il suo discorso non mi è dispiaciuto. Certo, è un discorso da destra conservatrice, ma accettabile nei toni e nella forma, pertanto spero che la Meloni dei congressi di Vox appartenga al passato. Nonostante questo, mi permetto di farle presente alcune contraddizioni del suo intervento. Ieri per ben quindici volte ha fatto riferimento alla nozione di libertà: siate liberi, ha consigliato ai giovani, perché è nel libero arbitrio che sta la grandezza dell'essere umano. Verissimo, ma per compiere scelte libere ci vuole una politica che rispetti le scelte individuali, si tratti di interrompere una gravidanza o di porre fine alla propria vita, una politica che creda in tutte le famiglie e non solo in quelle formate da un uomo e da una donna. Libertà vuol dire poter essere diversi e accettati per quello che si è. Se lei continua a parlare di Nazione italiana, facendo quindi riferimento a un vincolo di sangue e di cultura, esclude tutti quelli che vivono nel Paese senza quel tipo di legame. Noi sudtirolesi siamo cittadini italiani, appartenenti alla cultura tedesca, e vogliamo essere rispettati e accettati nella nostra diversità”.

Unterberger ha proseguito così: “Ha fatto bene ad omaggiare le tante donne che per lei sono state un esempio. Avrei aggiunto che, se lei oggi è Presidente del Consiglio, lo deve soprattutto alle lotte delle femministe, per il riconoscimento anche dei più elementari diritti; femministe che sono state combattute e ridicolizzate, esattamente come lei ieri ha ridicolizzato l'impegno per una lingua che non conosca il femminile solo per le posizioni di basso profilo. Crede davvero che la lingua non determini la realtà e che non sia in grado di rafforzare o di modificare gli stereotipi? Non ho mai capito l'avversione di voi donne di destra, nel mostrare il vostro essere donna anche nella lingua. Pensate davvero che il femminile sia di serie B, come ho sentito dire da una collega di destra? Nella mia cultura sarebbe impensabile una donna che si definisce al maschile. Avete mai sentito parlare del cancelliere Merkel? Non se ne dispiaccia, ma mi prenderò la libertà di chiamarla «la Presidente»”.

Bene, brava, bis, senatrice Unterberger. Peccato che, per la tradizionale prospettiva “tattica” della Svp dei due forni (destra e sinistra, sempre intercambiabili), il suo discorso di fiera opposizione si sia tramutato, in nome di un frettoloso riferimento presidenziale all’autonomia speciale, in una più morbida astensione. Ma questa è politica pragmatica. 


La mamma e la lava

 

Il dibattito precedente l’intervento di Unterberger, in Senato, aveva già offerto squarci meravigliosi (si veda il resoconto integrale sul sito del Senato: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/Resaula/0/1361027/index.html?part=doc_dc) sulla retorica dell’Era Destra. Prendete il primo a parlare, il senatore Salvitti: “Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, signor presidente Meloni.... Mamma mia, è un'emozione particolare”.

Cito IL Salvitti (per la cronaca, mi sono documentato: Regione di elezione: Piemonte; nato il 10 febbraio 1968 a Colleferro, Roma; imprenditore ambito arredamento; dirigente nazionale Fratelli d'Italia; vicepresidente del gruppo Cd'I-NM (UDC-CI-NcI-IaC)-MAIE,) cito il Salvitti perché l’approccio sentimental-emotivo (“IL presidente, mamma mia!”, il politico è sempre uomo ma la mamma è sempre la mamma) – in linea con una certa tradizione italiana – rischia di fare velo a una razionale, asciutta valutazione degli atti e delle parole del nuovo governo di destra: il fatto che la nuova presidente del Consiglio sia la prima donna e per giunta relativamente giovane (una “ragazza” del ’77) le attira ondate empatiche e simpatetiche francamente fuori luogo in un contesto politico-istituzionale.

È una conferma involontaria della visione paternalistica della destra?

Esponente dello stesso partito di Salvitti ed eletta in Trentino, la senatrice Biancofiore, local hero di Bolzano, ha tenuto un dilagante intervento (oltre i limiti di tempo concessi, come ha sottolineato il pur simpatizzante La Russa) che è esempio eloquente dell’assenza di una soglia critica, che l’ha portata a concludere che lei e Crosetto, viste le rispettive stature, difenderanno con i loro corpi IL nuovo presidente donna. Ahiahi, senatrice: è un’allusione alla non elevata altezza DELLA presidente? È una conferma involontaria della visione paternalistica della destra? Perché mai una leader autorevole avrebbe bisogno di corpi protettivi?

Già in campagna elettorale Biancofiore aveva divertito i trentini con le pronunce sbagliate di alcuni paesi, ma stavolta si è superata in empatia da sorella a soccorso: “Capisco infatti profondamente quanto sia stato difficile risalire la scala dal gradino più basso, col fardello di crateri della memoria, che però hanno plasmato quella lava ardente e irrefrenabile che le ha consentito di conquistare ogni primato politico”.

Lava! Ardente e irrefrenabile: qui siamo agli anni venti, del Novecento però. Marinetti, D’Annunzio o giù di lì. E così Biancofiore ha proseguito: “«Underdog» ha detto: letteralmente al di sotto di un cane, dicono gli inglesi”.

Buffa traduzione, poi parzialmente corretta dalla senatrice nel prosieguo: non si tratta di stare under the dog, evidentemente, ma di essere il cane inferiore, più debole, sottomesso. Nelle orribili lotte tra cani, l’underdog è il perdente, lo sfavorito, ma Biancofiore segue la sua traduzione letterale per uno scopo politico sentimentale, quello di ergersi ad animalista integerrima: “Su questo avrei molto da dissentire, visto che i cani e gli animali in generale sono spesso migliori e più dignitosi delle persone. "Nata perdente" è la traduzione più fedele e allo stesso tempo la più dilaniante”. Dilaniata dai cani? “È vero, presidente Meloni, come me è nata senza carte vincenti: dico sempre che i miei genitori mi hanno lasciato solo la testa”. E il resto del corpo che abbiamo visto in azione in tutti questi anni? Il corpo con cui vuol difendere LA sua presidente? Biancofiore non lo riconosce come suo? Nur den Kopf. Micaelas Haupt. Uau. Meraviglie della LED.

E la testa è lassù, al nord, sul confine. Prima di essere interrotta per sforamento tempi, Biancofiore ha infatti affermato perentoriamente: “La vicinanza al mondo germanista” (voleva dire germanico, insomma tedesco, o faceva davvero un indecifrabile riferimento agli studiosi di germanistica?) “ci fa giungere notizie non disponibili per altri. In Germania si dice che, se Helmut Kohl non fosse stato un politico, non avrebbe unito le due Germanie…”.

In effetti, l’unificazione delle due Germanie è una notizia che, fino al 26 ottobre di quest’anno, non aveva superato il confine di Salorno… Uno scoop di Biancofiore.

Citate le perle di destra, non può mancare una perlina di sinistra: il senatore bolzanino Spagnolli, Aut (SVP-Patt, Cb, SCN), che esordisce: “Signor Presidente, una cinquantina d'anni fa, un mio prozio, Giovanni Spagnolli, sedeva al suo posto e, quindi, avverto una grande responsabilità oggi nel parlare in quest'Aula”. Quindi? Nel senso che, senza l’illustre prozio, l’ex sindaco di Bolzano non avrebbe avvertito la responsabilità di richiamare la “Signora Presidente del Consiglio” (meno male) a ricordarsi delle terre di montagna? Insomma, l’autoreferenzialità sentimentale contagia anche la “sinistra autonomista” che però almeno, nel caso di Spagnolli, ha portato a un coerente no alla fiducia. “La montagna italiana occupa una parte molto rilevante del territorio del Paese ed è strategica per il futuro di tutti noi. Presidente Meloni, il suo Governo ha un Dicastero dedicato al mare, ma ha dimenticato la montagna. Ho apprezzato il suo passaggio di ieri sull'autonomia speciale. Tuttavia, lo sviluppo dei nostri territori passa anche da una politica di sistema sulla montagna, clamorosamente assente nel suo intervento e nel vostro programma elettorale. Il mio, pertanto, non può che essere un voto contrario”.

Si potrebbe dire ancora meglio: Repubblica. Quella fondata sul lavoro. Quella in cui la sovranità appartiene al popolo

Ecco, bravo Spagnolli. Paese. Non Nazione. Si potrebbe dire ancora meglio: Repubblica. Quella fondata sul lavoro. Quella in cui la sovranità appartiene al popolo. Su questa falsariga, bene anche il senatore trentino dello stesso gruppo, Patton, che ha motivato il suo no con parole più nette: “Mi riconosco in una visione dell'interesse collettivo che metta al centro l'autonomia dei territori, i diritti, le garanzie sociali, l'equità e l'uguaglianza. Non riesco a riconoscermi in un orientamento così apertamente liberista, con forti venature di nazionalismo e non rare incertezze sulla nostra appartenenza europea, che invece non ammette sbandamenti, scelte regressive o tentazioni autarchiche”.

LEI, LA presidente del Consiglio, ha concluso la sua replica chiedendo alle opposizioni “che non si facciano dibattiti ideologici, che possiamo affrontare le grandi questioni di questo tempo con serietà e con profondità, perché questo è un tempo nel quale il posizionamento pregiudiziale rischia di farci perdere qualche occasione, ragion per cui mi auguro semplicemente che, nel corso del lavoro di questo Governo, vogliate valutare davvero i provvedimenti nel merito e votarli o meno solo sulla base di una valutazione sulla loro utilità per questa Nazione”. “(Applausi)” annota lo/la stenografo/a del Senato.

Italia Nazione. Utilità nazionale come UNICO metro. Parola di presidente del Consiglio dei ministri nazionalista, che legge l’ideologia solo nelle parole degli altri. Ma l’ideologia (nazionalista) è dentro la LED, Lingua dell’Era Destra, che un’informazione razionale, non sentimentale né patriottica, dovrà esercitarsi – come contropotere, soprattutto quassù in una terra di autonomia pluralistica e multiculturale – a decifrare e non stancarsi di smascherare.

Bild
Profil für Benutzer Giancarlo Riccio
Giancarlo Riccio Mi., 16.11.2022 - 20:59

Analisi convincente "sulla" Prima ministra in carica, convincente anche nei suoi Fragmente ironici. E pazienza se Spagnolli allude a prozii, risultando autoreferenziale in un momento in cui non doveva. Meglio comunque di una De Gregorio ancora alla ricerca della sua strada giornalistica. Infine, lodi e "bene, brava, bis" a Julia Unterberger. Senatrice davvero indipendente (e grande esempio, non solo materno, per la vicesindaca Katharina di Merano).

Mi., 16.11.2022 - 20:59 Permalink