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TAV, che succede a Trento?

Un focus sul progetto di circonvallazione ferroviaria della città di Trento: intervista a Campedelli, Cianci e Facchin.
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Foto: AA.VV

Nell’autunno di quattro anni fa, la tempesta Vaia abbatteva 14 milioni di alberi nei boschi delle Dolomiti. Lo scorso 3 luglio un enorme blocco di ghiaccio si è staccato dal ghiacciaio della Marmolada. Secondo i dati del CNR, il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1800 superando il record del 2015. La siccità di quest’anno ha determinato a livello nazionale una diminuzione media delle precipitazioni pari al 46%. Sono sufficienti questi dati per capire in modo efficace cosa significhi il cambiamento climatico che si sta attraversando, una fase che governi e amministrazioni sembrano voler contrastare con politiche di transizione ecologica, che prevedono, tra le altre cose, il trasferimento del trasporto merci su rotaia anziché su gomma.

In questo panorama si sta portando avanti il progetto – oramai passato alla fase realizzativa – della circonvallazione ferroviaria alta capacità/alta velocità di Trento che prevede la realizzazione di un tunnel lungo circa 12 km che da sud di Mattarello arriva all’ex scalo Filzi passando sotto la collina est della città. La nuova linea ferroviaria cittadina di RFI è funzionale al corridoio scandinavo-mediterraneo di cui fa parte il tunnel di base del Brennero. I lavori del corridoio del Brennero che dovrebbe connettere l’Italia all’Austria sono cominciati nel 2007. All’epoca la fine dei cantieri era prevista per il 2015, ma la data è stata prima posticipata al 2019, poi al 2028 e oggi è stata fissata al 2032. Il progetto è stato promosso come soluzione per spostare il traffico che quotidianamente intasa l’A22: nel 2021 gli automezzi pesanti che sono transitati attraverso il Brennero sono stati quasi 2,5 milioni (fonte: Ufficio federale dei trasporti UFT, Confederazione Svizzera). Questo numero assume significato se si ricorda che il traffico su gomma è responsabile di oltre il 70% delle emissioni di gas a effetto serra generato dai trasporti. Eppure, pensare di bucare la montagna potrebbe non rappresentare alcuna soluzione.

“Il vero problema – spiega Claudio Campedelli, attivista ambientale e NO TAV di Bolzano – è il cosiddetto traffico deviato. Il traffico sull’Autobrennero è attirato dal basso costo del pedaggio e, in generale, dalle sovvenzioni per il trasporto su strada.” Nel 2021 è uscito il quarto Catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) e dei Sussidi Ambientalmente Favorevoli (SAF) redatto dal Ministero della Transizione Ecologica dove sono indicate in maniera dettagliata, oltre alle singole sovvenzioni, le politiche migliori dal punto di vista ecologico. “In questo documento – sottolinea Campedelli – le sovvenzioni per il trasporto su gomma sono classificate come SAD eppure non si fa nulla a riguardo.” Per Campedelli un’idea potrebbe essere anche quella di mantenere i prezzi bassi dei pedaggi, ma stabilire un limite di transiti: “I soldi che entrerebbero dai passaggi sull’Autobrennero potrebbero essere utilizzati per politiche SAF come il trasporto su ferrovia. In questo modo si risolverebbe anche la questione del traffico deviato: essendoci un limite stabilito di transiti, tutti gli altri automezzi pesanti non avrebbero più motivo di allungare il loro tragitto di più di 60 km (maggiorazione chilometrica che permette di parlare di traffico deviato) perché non godrebbero più di alcun vantaggio avendo eliminato i sussidi sul carburante”. Il dato da cui secondo Campedelli non è possibile prescindere è quello che riguarda l’aumento del traffico merci su strada. Nel dossier del 2020 fatto dall’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, in Italia il traffico merci su strada nel 2009 era pari a 1.469,0 milioni di tonnellate, mentre nel 2018 raggiungeva i 920,7 milioni di tonnellate. “Non corrisponde dunque al vero affermare che il trasporto su strada aumenta di anno in anno e di conseguenza è una falsità sostenere la necessità di nuove infrastrutture. Se il tunnel del Brennero è stato progettato anche in previsione di un continuo ed esponenziale incremento del trasporto merci su strada, a fronte dei numeri riferiti da ANFIA il tunnel del Brennero è un’opera intrinsecamente inutile.” Quest’affermazione di Campedelli è avallata anche dalla convinzione che qualora ci fosse la nuova ferrovia del Brennero non sarà mai usata dagli autocarri deviati che opterebbero, per una questione di convenienza economica e temporale, per la ferrovia che passa attraverso la Svizzera.

 

Se queste sono le maggiori criticità per il tunnel di base del Brennero definito, da chi lo contesta, un’opera senza senso, la situazione a Trento non appare molto più rosea. Anzi. Inserita tra le infrastrutture prioritarie individuate nel PNRR, la fine dei lavori, a pena di perdere i finanziamenti, è prevista entro giugno 2026, data che per Marco Cianci, avvocato e NO TAV, non ha riscontro con la realtà. “Il cronoprogramma inizialmente previsto per il progetto – dichiara Cianci – è stato dimezzato a tavolino una volta saputo del finanziamento europeo, per rispettare i tempi del PNRR quantomeno sulla carta. Ma su questa tabella di marcia si è già in ritardo di almeno 7 mesi. Da questo punto di vista il ritardo del tunnel del Brennero non è certo confortante.” Come le tempistiche, anche i costi devono essere ricalcolati: sul sito dedicato alla circonvallazione di Trento, si legge che il PNRR finanzia l’opera per 930 milioni di euro su un costo complessivo di 960 milioni di euro, ma con l’aumento delle materie prime fino al 30% la stima aumenterà esponenzialmente. Altro elemento delicato è quello delle sorgenti d’acqua. Se per RFI l’interferenza sarà bassa o molto bassa per il 95% delle più di 200 sorgenti sotterranee presenti lungo il tracciato, c’è chi è di diverso avviso. Intervistato su questa tematica, Marco Borga, professore di idraulica e idrologia dell’Università di Padova, ritiene che “per quanto non sia possibile affermare che il rischio sia sicuramente superiore, occorrerebbe almeno mostrare una maggiore attenzione anche attraverso interventi semplici come la misurazione della portata delle sorgenti. Se la circonvallazione dovesse essere costruita e si dovesse seccare qualche sorgente, senza un precedente rilevamento della portata non sarà possibile calcolare l’eventuale danno subito da chi basava la propria attività sull’acqua della sorgente prosciugata”. Borga sottolinea anche che è un errore valutare le sorgenti solo in termini di quantità senza pensare alla loro vulnerabilità qualitativa: “Quella di Acquaviva, per esempio, è un’importante sorgente che si trova a sud di Trento la cui qualità dell’acqua verrà probabilmente compromessa perché molto vicina alle aree di cantiere”. Rispetto a questo tema è impossibile non ricordare il caso del Mugello dove il TAV si è portato via l’acqua. Il lascito di quei 73,3 km di binari che passano sotto gli Appennini collegando la Toscana all’Emilia Romagna equivale a 57 km di fiumi seccati, 37 sorgenti prosciugate e 5 acquedotti non più utilizzabili.

Ciò che sembra preoccupare maggiormente gli abitanti della città di Trento, soprattutto chi vive a nord, è però il fatto che, secondo il progetto di RFI, l’uscita nord del tunnel è prevista poco prima delle aree dell’ex Carbochimica e della SLOI. Per progetto, le aree contaminate da piombo tetraetile e inserite nel 2003 tra i SIN – siti di interesse nazionale rappresentati da aree contaminate molto estese che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali per evitare danni ambientali e sanitari – saranno destinate sia al transito ferroviario, sia al deposito dello smarino (materiale di risulta proveniente dallo scavo) della galleria. Interrogato sulle misure e sui costi relativi all’eventuale passaggio della nuova rete nei terreni inquinati dell’ex SLOI e Carbochimica, Facchin, l’assessore alla mobilità e alla transizione ecologica, afferma che “è stato richiesto da RFI di approfondire la situazione dei terreni toccati dal tracciato avviando un ‘cantiere pilota’ con lo scopo di misurare gli inquinanti che possono disperdersi nell’aria in seguito al movimento della terra e di conseguenza capire quali presìdi mettere in atto. I costi per questo intervento rientrerebbero nel quadro economico dell’opera complessiva”. Tale dichiarazione appare però contraddittoria dato che si sta andando ad appalto senza aver ancora valutato i risultati del cosiddetto cantiere pilota. “RFI – ricorda Cianci – ha sistematicamente sottostimato l’inquinamento delle aree: per fare un esempio sotto i binari attuali, dove s’intende realizzare uno scavo profondo per far passare il tracciato della nuova linea ferroviaria, si nega che sia presente il piombo tetraetile, sebbene ci siano analisi che hanno rinvenuto questa sostanza mortale sia a destra sia a sinistra della linea. Inoltre la bonifica delle rogge che attraversano le aree inquinate, seppur appaltata nel 2020, non è riuscita a procedere per le enormi difficoltà tecniche e di cautela sanitaria che comporta. Oggi ci si riprova con una nuova tecnica, il jet grounding ma non c’è garanzia che funzioni e che possa compiere l’intervento in tempo per i lavori del bypass. In ogni caso questo intervento ha costi tali che, se moltiplicati per i volumi previsti dal progetto di circonvallazione, comporterebbe la destinazione di un terzo dell’intero budget stanziato solo per i lavori di bonifica in sicurezza. Per questo temiamo che RFI voglia procedere senza le necessarie cautele. Per non parlare del fatto che i lavori minacciano seriamente di rompere il diaframma naturale di argilla che in questo momento separa la falda inquinata da quella sottostante non contaminata dal piombo. Se succedesse le conseguenze sarebbero incalcolabili”.

Rispetto ai pareri allarmati del Comitato Speciale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in relazione al passaggio della galleria sotto la Marzola, Facchin dichiara che “il primo parere era di natura interlocutoria e sollecitava RFI a fare ulteriori approfondimenti su una serie di questioni, tra cui la paleofrana della Marzola. Dopo il progetto di fattibilità tecnico-economica, in previsione della gara d’appalto, anche su sollecitazione del Comitato Speciale, RFI ha fatto nuovi sondaggi geognostici con profondità fino a 400 metri e nuove indagini geofisiche sulla Marzola. In più sono state fatte centinaia di prove di laboratorio, altrettante centinaia di prove in sito, sono stati acquisiti innumerevoli dati di altri sondaggi messi a disposizione dalla Provincia. Tutte queste analisi hanno dimostrato la ‘bontà del modello geologico concettuale del versante’. Il Comitato Speciale, dopo questi approfondimenti – continua Facchin – ha approvato il progetto. È stato, infatti, appurato che non ci sono interferenze tra il tracciato della circonvallazione ferroviaria e la paleofrana della Marzola”. In effetti, su questo punto, la contraddizione è quella del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Se nel suo primo parere sulla questione della paleofrana rivela il rischio d’interferenza sia per la sicurezza del traffico ferroviario sia per la collina “densamente antropizzata”, riportando la necessità di considerare un tracciato alternativo oltre all’obbligo di predisporre indagini articolate e approfondite, nel secondo parere prende solo atto che RFI non ha inteso valutare un altro tracciato sulla base di valutazioni costo-benefici di tipo assai sommario e che le ulteriori indagini effettuate non sono sufficienti prescrivendone delle altre. “Sebbene il Consiglio Superiore affermi l’inadempienza di RFI – spiega Cianci – non si assume la responsabilità di bloccare il progetto demandando il tutto alla fase esecutiva, una posizione questa che rivela come la vita e l’incolumità delle persone valgano molto meno dei finanziamenti previsti che non si può rischiare di perdere.”

 

Sempre Facchin spiega la posizione del Comune per diminuire il traffico sulla A22: “Condividendo in pieno la posizione del presidente Kompatscher, la Giunta Ianeselli ha sempre sostenuto sia pubblicamente che nelle sedi ufficiali la necessità di parificare i pedaggi autostradali tra il corridoio del Brennero e gli altri valichi alpini. Ciò premesso, bisogna però aggiungere che le tariffe autostradali sono solo una parte del problema del traffico deviato, che è influenzato anche dal sistema dei controlli e dal costo del carburante nei diversi paesi. C’è da aggiungere poi che l’adeguamento dei pedaggi non è una misura risolutiva. Anche se fosse effettivamente efficace, l’effetto sarebbe quello di portare a uno spostamento del problema, ma non alla sua soluzione. Ragionando in termini europei, l’obiettivo non è quello di convogliare il traffico verso altri di territori, ma di trasferire le maggiori quote possibili di merci dalla gomma alla rotaia. Ed è proprio nel contesto dei corridoi europei che noi stiamo lavorando”. Sebbene esplicitamente chiesto, l’assessore non indica con precisione le iniziative specifiche adottate dal Comune sul problema del traffico deviato. Rispetto alla questione dei pedaggi autostradali, è bene ricordare che la Provincia e il Comune di Trento, così come quelli di Bolzano, sono azioniste dell’A22 (Provincia di Trento socia per il 7,93%, Comune di Trento per il 4,23%) e che la Regione Autonoma Trentino Alto Adige è la prima azionista con il 32,29% del capitale, una posizione questa che permetterebbe di agire direttamente. A conferma dell’irresolutezza del Comune su quest’aspetto, Marco Cianci ricorda che in una recente intervista il tecnico del Comune Stelzer ha dichiarato che il traffico deviato sarebbe una questione “marginale”. “In realtà è tutto il contrario! L’Austria – ricorda Cianci – studia da anni il fenomeno e dichiara che il traffico deviato misura da un terzo alla metà dell’intero traffico merci che passa in A22. Gli austriaci inoltre affermano che una diversa politica trasportistica potrebbe eliminare dal corridoio del Brennero un terzo dei TIR che oggi fanno un percorso più lungo e inquinante a causa degli incentivi economici garantiti dallo Stato.”

Le posizioni del Comune appaiono poco precise e questa vaghezza rivela la mancata intenzione di assumersi la responsabilità di portare avanti un progetto che, se realizzato, martorierà ulteriormente un territorio sempre più sfruttato a scopo di profitto. Pensare che le mega infrastrutture siano la strada per la transizione ecologica è una visione che, nel caso della circonvallazione di Trento ma non solo, si mostra ipocrita: anche qui la sete di profitto e la corsa ai finanziamenti del PNRR non possono attendere a scapito di una natura da consumare e di popolazioni da dimenticare. Nel caso di Trento, l’ipocrisia si mostra anche nel fatto che l’utilizzo della ferrovia storica del Brennero è sensibilmente inferiore alla capacità già oggi disponibile, sebbene tra le ragioni dell’opera campeggi la volontà di favorire l’utilizzo della ferrovia, poiché rappresenta la modalità meno inquinante a disposizione per il trasporto delle merci. È bene ricordare anche che l’UE si è posta come obiettivo climatico la riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 e di rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050. Non si è a conoscenza della quantità di CO2 che verrà emessa se la circonvallazione di Trento dovesse essere costruita, così come non si sa la quantità totale di CO2 prodotta dai lavori per il tunnel del Brennero, ma si sa che secondo la stessa Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin) lo scavo del tunnel di base tra Italia e Francia comporterà l’emissione di circa 10 milioni di tonnellate di CO2 che verrebbero recuperate soltanto nel 2055. E anche il TAV Torino-Lione continua a essere presentato come un “progetto di salvaguardia dell’ambiente nel delicato contesto alpino”.

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Max Benedikter Di., 29.11.2022 - 10:08

Io posso solo dire che gli ambientalisti in generale e gli attivisti no Tav in specifico hanno dimostrato di avere ragione. Claudio Campedelli dice da 15 anni che le stime erano sbagliate. Allora nessuno gli credeva. Oggi però ci sono i numeri che gli danno ragione.
È tragico che gli ambientalisti vengano spesso ridicolizzati dai potenti. Ma hanno sempre ragione. Vedi Rio 1992 summit sul clima. E avanti.
Avranno anche ragione sui tipping point della crisi ambientale e poi buona notte...

Di., 29.11.2022 - 10:08 Permalink
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Albert Mairhofer Mi., 14.12.2022 - 20:33

Per le Olimpiadi sarebbe possibile di installare un nuovo sistema di trasporto più agile soprattutto nelle Dolomiti p.es. sul tratto della ferrovia Ponte nelle Alpi-Calalzo-Cortina-Dobbiaco. Il sistema ferroviario lì non è più in grado di offrire un servizio adeguato e necessario. Il sisstema ferroviario occupa troppo spazio nelle città per le stazioni per il traffico passeggeri e per le manovre ingombranti e dispendiose in termini di tempo per il traffico merci. Divora troppe risorse e quindi, non appena prevarrà la libera concorrenza e i costi reali, sarà messo da parte dal sistema della monorotaia sospesa e dalle autostrade e strade elettrificate e dalle vie navigabili interne e costiere. Oltre alla completa elettrificazione il sistema della monorotaia consente anche un'ampia automazione, perché la rete autostradale e stradale conduce ovunque ed è adattabile con sistemi moderni. Vedi parte C e D del sito www.tirol-adria.com
- Le aree ferroviarie sono utili per l’edilizia abitativa, commerciale, artigianale e industriale oltre che per strade, piste ciclabili ed escursionistiche e per zone ricreative. I binari sono utilizzabili per la costruzione di tetti fotovoltaici su autostrade e strade e le traversine per dighe di protezione dalle inondazioni. La conversione del sistema di trasporto può quindi risparmiare risorse e non rafforzare ulteriormente il cambiamento climatico.
È sufficiente uno "sguardo con Google Earth" sulle enormi aree di smistamento nelle città, ad esempio Norimberga o Bologna. Che ricchezza di opportunità di sviluppo in tutte le città, paesi e valli. Per esempio una monorotaia sospesa velocissima a due corsie e una pista ciclabile sotto un tetto fotovoltaico al posto della ferrovia a un binario, p.es. Merano-Malles e l'eventuale prolungamento oltre il Passo di Resia, Merano-Bolzano, Fortezza-Lienz!

Mi., 14.12.2022 - 20:33 Permalink