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Gesellschaft | Maltrattamenti

Fuori di qui

Una grande stanchezza si sta diffondendo sui social network e ci fa desiderare una vita affrancata dai modelli di condivisione imperanti.

Non so se capita anche a voi, se sentite la stessa cosa, ma per quanto mi riguarda io penso che la grande epoca dei social network, della grande rete sociale che tutto accoglie e connette, stia per finire. Non riesco a spiegare questa sensazione in modo compiuto, non ho prove quantitative da citare, diciamo quindi che più che averla, questa sensazione, è solo un sospetto, una percezione vaga che mi prende quando leggo in internet una notizia (su Facebook, per esempio) e seguo per un po' la dinamica dei commenti, in genere assai ripetitiva, assai stanca. Stanchezza è la parola chiave. Appare la notizia nella quale si riporta che x ha fatto o ha detto y e subito z commenta come ci si potrebbe aspettare da z, m ribatte alla solita maniera di m, e poi anche u, q, r, p e w recitano la loro parte. Tutto prevedibile al millimetro. Ancora mi ricordo, invece, il tempo in cui ci si immaginava che questa società allargata del commento, anzi del libero commento, avrebbe potuto prendere il sopravvento, definendo modalità partecipative del tutto nuove. Un intero movimento politico – non c'è bisogno che dica quale – è sorto da questa credenza, relativa a un sapere da cercare e diffondere “in rete”, e ciò, beata ingenuità, avrebbe portato le moltitudini a impadronirsi delle leve di un potere risolutivo e benefico. Come se dall'immagine dell'uomo che cerca in alto la luce fossimo già passati al trovarla chini sui bagliori emanati dagli smartphone. Beh, a quanto pare non funziona così. La verità non si trova così, non si condivide così. Certo, qui dovrei diffondermi sul concetto di verità, parlare delle sue sfumature, distinguere tra una verità oggettiva, soggettiva, processuale, sostanziale e putativa. Ma ci porterebbe troppo lontano. Io invece voglio stare vicino, anzi starmi vicino, e notare semplicemente quello che mi accade quando vedo che ognuno è convinto di avere un'opinione ben definita su qualcosa, quindi comincia a difendere questa opinione con le unghie e coi denti, senza essere minimamente interessato alle potenziali condizioni della sua verifica. Tutto il resto non conta, non interessa, non è rilevante. Inchiodati al momento della disputa (ed è un momento che potrebbe protrarsi per ore, per settimane, per mesi), i contendenti ritengono che tutto sia disputabile in termini banali, di sopraffazione banale, ed è proprio allora che io sento di non appassionarmi più, sento che questa forma di vita è diventata insopportabile, e provo la voglia di allontanarmi da un simile spettacolo, desidero persino la sua soppressione. Ovviamente la soppressione non può avvenire se non in un modo: abbandonando lo spettacolo a se stesso, sopprimendo lo spettatore che in primo luogo noi siamo. Ma che vita potremmo ormai assaporare fuori da tale spettacolo, cioè fuori di qui? Aver intuito i confini della trappola significa già essere in grado di protenderci oltre i suoi limiti, significa che abbiamo cominciato a riappropriarci della nostra libertà e che rivedremo il disegno delle costellazioni, come si faceva da ragazzi, nelle notti d'estate?