salto.music | Intervista Discodex

"Il titolo ci ha creato dei problemi"

Emanuele Zottino e Andrea Beggio collaborano musicalmente da più vent’anni e sono usciti recentemente con un album di musica elettronica: “Greatest Hits” dei Discodex.
Discodex
Foto: DISCODEX
Discodex
Emanuele Zottino e Andrea Beggio sono usciti recentemente con un album di musica elettronica dal titolo “Greatest Hits”: Il primo pubblicato sotto il nome di “Discodex” e presentato da poco live al Sudwerk. Foto: Discodex

 

Jacopo Schiesaro: È da molto che collaborate, ma questo è il primo progetto che esce come “Discodex”, anche se il titolo dell’album inganna. Cosa vi ha portato a chiamarlo “Greatest Hits”?

Discodex: Intanto c’è da dire che abbiamo questo vizio di cambiare sempre nome (Controfase, RCCM, Discodex), così quel pochino di successo che riusciamo ad ottenere viene cestinato, non ce ne facciamo più nulla e ci ritroviamo a ricominciare da capo. Per quanto riguarda il titolo invece ovviamente è una scelta molto ironica, visto che è l’album d’esordio, però un senso in realtà ce l’ha, perché è la sintesi di un percorso che dura da più di vent’anni. Potremmo dire che, più che l’insieme dei grandi successi, questo album racchiude i nostri insuccessi, anche perché contiene dei guilty pleasure e cose di cui anni fa probabilmente ci saremmo vergognati.

Potremmo dire che, più che l’insieme dei grandi successi, questo album racchiude i nostri insuccessi.

Comunque, quando ci siamo trovati a caricarlo sulle piattaforme musicali, il titolo Greatest Hits ci ha creato dei problemi perché ci dicevano che era troppo generico. Abbiamo quindi specificato che, per quanto potesse risultare ambiguo, era quello che artisticamente ci sembrava più appropriato. Alla fine siamo riusciti a mantenerlo ma, se andate a guardare su Spotify, l’hanno fatto uscire come “compilation”, il che potrebbe giocare a nostro favore, perché a questo punto all’ascoltatore potrebbe venire la curiosità di scoprire cosa questi Discodex abbiano fatto negli anni precedenti al punto da generare una compilation.

L’album è composto da dodici brani. Sappiamo però che quando si realizza un album c’è sempre qualche canzone che viene scartata. È anche il vostro caso?

Discodex: Abbiamo scartato cinque o sei pezzi, tra l’altro proprio quelli con cui siamo partiti. Possiamo dire che fossero dei tentativi. Forse non avevamo ancora le idee chiare e quindi ci siamo avvicinati timidamente al genere che avevamo in mente di fare. Da un certo punto in poi invece sono nati uno dietro l’altro, quasi uno a settimana. Tranne il dodicesimo, che è nato un anno dopo gli altri. Poi c’è stato un lavoro di perfezionamento quasi frustrante perché molto impegnativo e, credo, troppo dilatato nel tempo, considerando che a questo album ci abbiamo lavorato due anni.

Oltre ai riferimenti musicali, per questo album avete preso ispirazione anche da altri ambiti, magari dalla cultura pop?

Discodex: Assolutamente sì. E ti dirò di più, c’è tutto un immaginario adolescenziale da cui attingiamo, che poi è quello anni Ottanta che col tempo abbiamo interiorizzato. Un esempio può essere il cartone animato Danguard, simile a Jeeg Robot ma di cui si ha meno ricordo. Entrambi avevamo il giocattolo di Danguard, un robot di ferro trasformabile, ed entrambi l’abbiamo perso. Questo è un punto importante, perché quando perdi una cosa ti rimane il ricordo e nel nostro album c’è la voglia di rievocare delle cose perdute per sempre ma che in qualche modo hanno influenzato la nostra sensibilità. Questa nostalgia la si trova nel disco. Basti pensare che siamo andati a ripescare un genere che ascoltavamo prima di essere adolescenti, come Sylvester o la disco-music.

Quindi la musica elettronica ha sempre fatto parte dei vostri ascolti?

Andrea Beggio: Non proprio. Appena ho scoperto il punk e l’hardcore sono andato in quella direzione e non sono più tornato indietro. O perlomeno fino al conservatorio, dove ho studiato musica elettronica e ho vissuto il periodo di contaminazione tra i vari generi. Ovviamente la musica elettronica studiata al conservatorio è, perdonami il termine, quella colta, adatta ad accompagnare i musicisti classici.

Qui invece abbiamo deciso di aderire pienamente allo stile della disco-music.

Dopo questo percorso però mancava qualcosa di disimpegnato, che manteneva quello che prometteva, nel senso di rispettare gli stilemi del genere. In precedenza, infatti, quando componevamo un brano rock ci impegnavamo a non rispettarne i canoni, percorrendo una strada controintuitiva. Qui invece abbiamo deciso di aderire pienamente allo stile della disco-music.

Molti album, soprattutto di musica strumentale, vengono spesso ascoltati come sottofondo, magari mentre si stanno facendo altre cose. Il vostro invece invita ad un ascolto attivo, immersivo, in cui si entra in relazione sia con la musica che con i pensieri che ti suscita. È un effetto che vi aspettavate?

Emanuele Zottino: Siamo molto contenti che accada questo. Ci hanno anche detto che la musica potrebbe benissimo adattarsi ad un videogioco, ed è verissimo, però quando riesce a suscitare qualcosa di più profondo non può che farci un enorme piacere. Ci teniamo particolarmente all’idea di introspezione, di viaggio e di flusso che, seppur non siano fattori che ricerchiamo coscientemente, sicuramente fanno parte del nostro modo di fare musica. Penso che l’approccio opposto sia quello legato al virtuosismo, che regala all’ascoltatore una musica che lascia meno spazio all’interpretazione, perché già pronta. Nel nostro caso direi che noi forniamo gli ingredienti ma sta al pubblico cucinarli. Però, come ho già detto, non si tratta di un ragionamento fatto a tavolino, perché altrimenti non funzionerebbe mai perché non sarebbe spontaneo.

 
Discodex Live
Emanuele Zottino e Andrea Beggio: Discodex Live On Stage. Foto: Discodex
Devi tener conto che io non ho mai messo piede in una discoteca, e intendo proprio mai.

La vostra musica suonata dal vivo si presta sia ad essere ballata che ascoltata con attenzione. Cosa vi aspettate dal pubblico che verrà ai vostri concerti?

Andrea Beggio: Io me la vivo come un grande mistero, anche perché devi tener conto che io non ho mai messo piede in una discoteca, e intendo proprio mai. Un po’ mi dispiace, perché negli anni Ottanta c’era pure della bella musica, però all’epoca ero più attratto dai centri sociali e da quello che ruotava loro attorno. Se io fossi tra il pubblico dei nostri concerti probabilmente farei parte di quelli che ascoltano attentamente, più che di quelli che ballano. La nostra musica si differenzia da quella tipica da discoteca perché non ha quei momenti lunghi e monotoni funzionali a far entrare la gente nel mood del ballo, o meglio, ce li ha ma con uno stile di trent’anni fa. Mi riferisco a quella musica elettronica che si faceva con i sintetizzatori analogici, cioè con degli arpeggiatori con i quali riesci a creare anche un arrangiamento. I Pink Floyd ne sono un esempio, oppure anche i Kraftwerk. Eviterei invece di prendere come riferimento l’uso che in Italia ne ha fatto Radio Deejay, che ha impoverito il genere rendendolo un mero prodotto commerciale senza alcuna ricerca artistica.

Parlando di Bolzano: che influenza ha avuto sulla vostra crescita musicale e personale?

Andrea Beggio: Bolzano l’ho sempre trovata una città incomprensibile in cui la divisione linguistica ha un peso non indifferente. Non a caso la prima persona di madrelingua tedesca l’ho conosciuta in terza superiore, quindi tardi. Col mondo tedesco ho cominciato ad averci più a che fare quando ho iniziato a lavorare. Credo poi che, essendo una città piccola e spesso noiosa, Bolzano abbia dato vita ad una serie di micro realtà fatte di giovani che tentavano di evadere in cerca di stimoli qualitativamente maggiori. Io ero spesso in viaggio con la mia band, in furgone, in cerca di date fuori regione col desiderio di lasciarsi queste montagne alle spalle. I centri sociali del nord e centro Italia sono stati per noi un importante punto di riferimento.

Anche voi avete l’impressione che Bolzano viva questa grande contraddizione di avere moltissime risorse, impensabili per altre città d’Italia, senza però che riesca a creare una realtà culturale vitale?

Andrea Beggio: Sì, a Bolzano c’è tutto, c’è talmente tanto che non ti accorgi di quello che non c’è. Nelle altre città non vedi queste risorse economiche, però vedi degli spazi e delle persone con cui nascono delle collaborazioni senza bisogno di grandi fondi. A Bolzano invece c’è la tendenza a finanziare quello che si pensa essere importante per il territorio, ma non ci si rende conto di quanto si sacrifica seguendo questa modalità. A volte nascono dei progetti col solo scopo di richiedere un contributo pubblico senza che dietro ci sia una vera esigenza artistica e, così facendo, questo meccanismo che si presenta inizialmente come virtuoso diventa poi vizioso.

A volte ho l’impressione che Bolzano sia molto abile a pubblicizzarsi come una città culturalmente evoluta, però allo stesso tempo non è in grado di dare ai suoi cittadini – giovani in primis – degli sfoghi adeguati.

Emanuele Zottino: Forse manca una spinta e un’organizzazione del territorio che favorisca la nascita di una cultura umile, popolare. Ci sono tante e buone iniziative, ma sono perlopiù ufficiali, istituzionali. Quando nascono delle iniziative autonome, invece, devono scontrarsi con la difficoltà di trovare spazi e, anche quando li trovano, c’è sempre il rischio che qualcuno chiami i vigili perché le considera come un disturbo alla quiete pubblica, piuttosto che come una libera espressione culturale a cui va riconosciuta una dignità di esistere e di essere preservata. A volte ho l’impressione che Bolzano sia molto abile a pubblicizzarsi come una città culturalmente evoluta, però allo stesso tempo non è in grado di dare ai suoi cittadini – giovani in primis – degli sfoghi adeguati.

 
Discodex Live
Ho l’impressione che Bolzano sia molto abile a pubblicizzarsi come una città culturalmente evoluta, però allo stesso tempo non è in grado di dare ai suoi cittadini – giovani in primis – degli sfoghi adeguati.“: Emanuele Zottino sulla sua città. Foto: Discodex


Tornando all’album, ci sono delle collaborazioni?

Andrea Beggio: Matteo Dell’Osso suona la chitarra nel brano d’apertura del disco, ovvero Take Me Out”, però direi che anche i campioni presenti nell’album possono essere considerati come delle collaborazioni. Tra gli artisti che abbiamo campionato ci sono Sylvester, Bryan Ferry, Talk Talk, Duran Duran, Wham!, Beastie Boys e Daft Punk. E poi ricordiamo l'indispensabile contributo del nostro fonico e amico Marco Ober, che ha svolto un maniacale lavoro per dare al disco la spinta giusta.

Ultima domanda. Nell’album sono stati utilizzati parecchi sintetizzatori. Che tipo di lavoro avete fatto?

Emanuele Zottino: Un sintetizzatore è un generatore di suoni artificiali. È una macchina che possiede dei parametri base che ti permettono di realizzare un suono personalizzato. Il sintetizzatore ti permette di essere una sorta di artigiano del suono. Una tastiera invece, per intenderci, ha dei suoni già preconfezionati.

Andrea Beggio: È interessante pensare che inizialmente i sintetizzatori erano stati creati per riprodurre il suono degli strumenti acustici, mentre poi si sono resi indipendenti da questa funzione e hanno cominciato a creare un immaginario nuovo, che ha fatto parte della nostra formazione e che abbiamo voluto inserire nel disco.

 

Link:

Info: https://www.facebook.com/profile.php?id=100092447525859

 
Discodex: "Greatest Hits" (Official Teaser)