Film | salto afternoon

Blonde

Il film di Andrew Dominik su Marilyn Monroe è già un caso. Una decostruzione alienante dell’iconografia della star americana, fra traumi infantili, abusi e manipolazioni.
Blonde
Foto: Screenshot

Sentirete forse dire cose bruttissime su Blonde, ma non qui. Siamo onesti: il film di Andrew Dominik che decostruisce e ricontestualizza il mito di Marilyn Monroe è pretenzioso? Assolutamente sì, ma è al contempo un’esplorazione del trauma, della celebrità e dell’identità di un’incredibile audacia.

Cos’è

Intanto cosa non è: Blonde non è la storia di Marilyn Monroe (nessun film potrebbe esserlo) - nata Norma Jeane Baker - ma la storia di una donna che lotta con l’identità di Marilyn Monroe. Il film, disponibile su Netflix da mercoledì scorso (28 settembre) e arrivato per la sua prima mondiale alla 79esima Mostra del cinema di Venezia, è un adattamento del popolare romanzo di Joyce Carol Oates che si appoggia su un mix di realtà e finzione.
Girato a colori e in bianco e nero, Blonde si apre, in un prologo onirico, durante l’infanzia tormentata di Norma Jeane nel 1933: una madre (Julianne Nicholson) con disturbi psichiatrici che tenta di annegarla nella vasca da bagno e un padre sconosciuto che non l’ha mai voluta e la cui assenza la ossessionerà per tutta la vita.

Lungo la scalata a Hollywood, dove sfonderà come attrice tra gli anni ’50 e gli anni ’60, Monroe (interpretata da una sensazionale Ana de Armas) si imbatte in mostruosi direttori di studi cinematografici; in mariti violenti (il Joe DiMaggio di Bobby Cannavale la picchia quando le sue foto da pin-up gli capitano fra le mani) o che la vampirizzano per il proprio tornaconto professionale (l’Arthur Miller di Adrien Brody); in amanti (il Charles Chaplin Jr. di Xavier Samuel e l’Edward G. Robinson Jr. di Evan Williams) che abusano delle sue confidenze; in produttori e registi che la sottopagano e la rinchiudono nello stereotipo della ragazza da copertina tutta sensualità e niente cervello; in agenti che le chiedono se ha le mestruazioni quando si fa valere; in adoranti quanto voraci fan con la bava alla bocca.

In uno dei momenti più cupi del film Monroe, finita in una spirale di tossicodipendenza, viene portata letteralmente di peso dai servizi segreti nella stanza d’albergo di John F. Kennedy (Caspar Phillipson) dove il Presidente la costringe a praticargli una fellatio e dove vengono accennate ulteriori violenze sessuali. L’ultima mezz’ora conduce - scendendo in una sorta di incubo surrealista - alla morte prematura di Marilyn, in solitudine, con un’inevitabilità lancinante.

Blonde | Official Trailer

 

Com’è

Blonde è un horror psicologico complesso, brutale, crudele, sgradevole e straziante. È luttuoso ma celebrativo, invasivo eppure reverenziale. È l’opera formalmente più audace di Dominik dai tempi di The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford (L’assassinio di Jesse James da parte del codardo Robert Ford). È un atto d’accusa contro la fama e il sogno americano stesso.

Il filmmaker neozelandese-australiano gioca con il tono e con la forma per ottenere un effetto psichedelico, alienante e distorto, conferendo a un film tecnicamente impeccabile un’enorme potenza visiva. Blonde ha una struttura caotica che rimbalza intorno alla vita della diva americana, ingabbiata nella sua creazione iconica, psicologicamente e fisicamente umiliata. In questo senso l’opera di Dominik offre pochissimi momenti di tregua. I temi dell’abuso e dello sfruttamento si ripetono in tutto il film che non si fa scrupoli a mostrare stupri e aborti portando lo spettatore dentro (il “dentro” diventa letterale a un certo punto) il dolore di Marilyn Monroe, un fantasma avvolto nella carne, sotto l’etichetta di “sexpot” creata dai tabloid. Marilyn è desiderata ma infantilizzata dagli uomini che le stanno intorno.

La maggior parte del film - in costante conversazione con le fotografie iconiche della star e la macchina da presa - si svolge lontano dalle luci della ribalta e crea un quadro d’insieme delle varie narrazioni che Monroe ha raccontato a se stessa e al pubblico, la linea di demarcazione tra fatti e finzione si confonde e la differenza tra ricreazione e invenzione è la stessa che c’è tra lei e la sua immagine.
Il grosso delle critiche che circondano Blonde si deve al fatto che ognuno ha la propria idea di Marilyn Monroe. Un’effigie così piena di astrazioni, proiezioni e dicerie non può che essere una fantasia e de Armas scava in profondità nel vuoto che esiste nell’interstizio tra Marilyn e Norma Jeane.
Alla fine resta una provocazione consapevole: il modo in cui consumiamo le celebrità riducendole a poco più che oggetti feticistici - accusa Dominick - è parte del problema. La tagline del film dice tutto: “Watched by all, seen by none”. Guardata da tutti, vista da nessuno.

Voto: ****