Kultur | Racconti dal Myanmar

Le Donne Karen

Prigioniere di un paese che nega loro la libertà
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Donna Kayan
Foto: Giulia Pedron © Tutti i diritti riservati

In questo ultimo articolo della serie “Myanmar”, voglio parlarvi delle donne della tribù Kayan (in lingua Shan “Paduang", che significa appunto “lungo collo”), volgarmente chiamate anche Donne Giraffa, nome con il quale vennero soprannominate da un esploratore polacco ormai dimenticato.

I Kayan sono un’etnia della popolazione dei Karen, una minoranza di lingua tibeto-birmana.

Si pensa che i Karen siano arrivati in Myanmar dalla Cina tantissimi anni fa. Non si tratta in realtà di un gruppo omogeneo, ma di un insieme di tribù, ognuna con delle proprie caratteristiche e una propria lingua. Le comunità Paduang che vivono oggi in Tailandia, ci sono arrivate più di 10 anni fa per scappare dalla persecuzione etnica da parte del regime militare birmano. In Tailandia però, non hanno trovato la libertà che cercavano ma al contrario, iniziarono ad essere sfruttate per ciò che viene oggi chiamato “turismo etnico”, in altre parole, per essere imprigionate negli zoo umani

E’ necessario però fare un salto indietro e parlare prima di una particolare tradizione di questo popolo. Le donne Kayan sono famose in tutto il mondo per i pesanti anelli di ottone che portano al collo. Diverse sono le spiegazioni dell’origine di questa pratica, tra queste la più comune narra che gli anelli servissero per proteggere le parti più delicate del corpo dagli attacchi delle tigri. E perché solo le donne? Una leggenda racconta che un tempo i Padaung vivevano nel lusso, e per questo gli spiriti Nati, infastiditi dal loro comportamento li punirono aizzandogli contro le tigri. Gli uomini, per difendere mogli, sorelle, madri, decisero di usare i grossi anelli di metallo per proteggerle dai morsi dei grandi felini. Gli anelli sono oggi, per le donne Padaung, simbolo di bellezza. Il loro collo sembra lunghissimo ma si tratta di un’illusione ottica: non è il collo ad allungarsi ma sono le clavicole a deformarsi sotto il peso degli anelli, le spalle scendono e la cassa toracica si schiaccia.

Oggi questa tradizione è usata dal governo tailandese per attirare i turisti esibendo le donne Kayan come se fossero degli animali negli zoo. Nella parte nord-ovest del paese, vicino al confine con la Birmania, nella provincia di Mae Hong Son, ci sono tre villaggi in cui le donne Kayan mettono in mostra i loro costumi attirando migliaia di turisti che, spinti dalla curiosità per l’esotico, accorrono ad ammirarle. Per fare ciò, pagano un biglietto di 250 Bath (circa 6 euro) con il quale possono entrare nel villaggio e scattare foto con e alle donne dal collo lungo. In cambio loro ricevono uno stipendio mensile bassissimo che gli deve bastare per vivere. Gli uomini hanno il permesso, saltuariamente, di recarsi nelle città più grandi per piccoli lavoretti. Alla luce di quanto detto, secondo molte organizzazioni militare, non sarebbe quindi solo la tradizione a far si che le donne Kayan continuino a utilizzare gli anelli, ma anche il fatto che questa pratica rappresenti l’unica fonte di sopravvivenza.

Secondo l'ultimo rapporto dell’Unhcrn, in Tailandia ci sono più di 130.000 rifugiati di etnie diverse. Dal 2005 più di 20.000 sono stati “ricollocati” in altri paesi. Stati come la Finlandia e la Nuova Zelanda hanno offerto la loro disponibilità nell’accogliere i Karen, le carte sono pronte ma da anni un gruppo di donne dal collo lungo e i loro famigliari sono bloccati all’interno dei confini tailandesi.

Il  governo non concede loro il visto d’uscita causa del ruolo che hanno acquisito nel circuito turistico e per gli introiti che portano al Paese. Sono costretti a rimanere all’interno dei “villaggi costruiti per loro” e recitare una parte per fare felici i visitatori stranieri. L’unico soluzione è che i turisti smettano di andarci cosicché anche i Paduang abbiano finalmente la possibilità di iniziare una nuova vita.