Politik | Statuto

Chi è che bussa a 'sto Konvent? (Uno)

Dove si scopre che il processo di revisione dello statuto non nasce a Bolzano e non finisce con le polemiche sulla composizione di alcuni organi consultivi.

Oscurato dalle telenovelas sulla formazione della giunta comunale di Bolzano e sul destino dell'aeroporto di San Giacomo, il tema della riforma dello statuto di autonomia è scivolato, in questi giorni, in coda all'attenzione e alle preoccupazioni della comunità politica e sociale altoatesina. In realtà, sino a questo momento, la discussione si è sviluppata a senso unico e cioè con una serie di recriminazioni sulla composizione e sull'attività dei vari comitati eletti o nominati per fornire indicazioni sulle novità da introdurre in un ipotetico futuro testo della "costituzione" della nostra provincia. La composizione dei vari organi consultivi, con la scarsa presenza, programmata o casuale  che sia, della componente di madrelingua italiana e l'iperattivismo, invece, di alcune entità della destra sudtirolese sono stati elementi sufficienti per scatenare l'ennesima ondata di querimonie vittimistiche, sotto il segno del costante appello a chiamarsi fuori da un processo politico giudicato irrimediabilmente ingiusto e penalizzante.

Che le cose, in piccola parte almeno, stiano proprio così non vi è dubbio alcuno, ma è altrettanto vero che voltare sdegnosamente le spalle a ciò che sta avvenendo potrebbe essere un errore abbastanza grave. Non bisogna, insomma, cedere alla tentazione di buttare il bambino con l'acqua sporca. Per capirlo basta considerare l'intera questione da un punto di vista lievemente diverso da quello adottato sino ad oggi.

Il primo elemento su cui politici e la cosiddetta "società civile" farebbero bene a riflettere è quello sulla genesi di questo processo di revisione del nostro statuto. Perennemente perduti nella contemplazione del nostro ombelico e convinti che tutto ciò che ci succede abbia origine esclusiva tra il Brennero e Salorno, abbiamo trascurato di notare come la necessità di metter mano allo statuto non nasca affatto da una più o meno brillante intuizione dei politici locali, ma sia, senza alcun dubbio, il portato necessario di due riforme della costituzione italiana: quella varata nel 2001 e soprattutto quella che il governo Renzi ha fatto approvare in Parlamento nei mesi scorsi e che, nel prossimo autunno, verrà sottoposta al voto popolare di un referendum che già si preannuncia come una sorta di giudizio di Dio, non solo sulla riforma stessa ma anche sulle sorti del governo che l'ha voluta. Questa riforma incide in maniera pesante sull'assetto costituzionale del nostro paese. Oltre i capitoli sul superamento del bicameralismo, c'è quello su una nuova visione dei rapporti tra lo Stato e gli enti locali. Spariscono definitivamente le province (escluse ovviamente quelle di Trento e Bolzano) e per le regioni a statuto ordinario è prevista una forte compressione delle competenze legislative. Per le regioni e le province a statuto speciale è prevista invece una sorta di moratoria con la concessione di un anno di tempo per adeguare le proprie carte costitutive alla nuova realtà nazionale. Per il Trentino Alto Adige, infine, esiste la cosiddetta "clausola di salvaguardia" in base alla quale il nuovo statuto dovrà essere adottato d'intesa tra Roma, Trento e Bolzano.

Tutto questo in termini assolutamente sintetici. La questione in realtà è relativamente più complessa, ma questi elementi bastano per capire subito alcuni dati fondamentali. Il processo di revisione che nasce a Trento e Bolzano in questi mesi è legato strettamente alla riforma nazionale. Se questa dovesse bloccarsi è molto probabile che anche a livello locale potrebbe avvenire la stessa cosa. In secondo luogo è bene aver chiaro che, in caso contrario, le ipotesi di riforma elaborate a Trento e Bolzano dovranno essere riversate sul futuro Parlamento (quello eletto con la nuova legge elettorale) e da esso approvate sulla base di un'intesa Governo-Province- Regione che già da oggi non si preannuncia facile dato che l'intera riforma nazionale avviene sulla base di un ritorno al centralismo poco compatibile con le ambizioni di maggiore autonomia che emergono a livello locale. Sullo sfondo infine, ma è bene non dimenticarsene mai, c'è l'ancoraggio internazionale dell'autonomia altoatesina che impedisce, a meno di non voler riaprire una controversia con il governo di Vienna, di metter mano all'assetto fondamentale scaturito dal ventennio di attuazione del nuovo statuto.

Basterebbero queste considerazioni per sgombrare il campo da alcune delle fantasie che circolano a Bolzano in queste settimane. Il sistema di pesi e contrappesi che governa il percorso della riforma è tale da impedire sicuramente da un lato che essa possa subire anche in minima parte le suggestioni che arrivano dal secessionismo sudtirolese, e che dall'altro possano essere adottate misure in grado di scalfire nella sostanza l'assetto dell'autonomia così come noi la conosciamo.

A questo punto viene spontaneo ipotizzare che proprio queste robuste paratoie difensive possano finire, per usare una metafora calcistica, per indurre i giocatori a chiudersi in un reciproco catenaccio creando i presupposti di uno sterile pareggio a reti inviolate. È sicuramente un pericolo, ma ci può essere anche un'altra soluzione: quella di un percorso virtuoso e civile che porti ad elaborare proposte moderate e condivise di cambiamento e aggiornamento alla realtà dei tempi nostri di uno statuto, parliamo adesso di quello altoatesino, concepito nei suoi tratti fondamentali alla metà degli anni 60 del secolo scorso è indubbiamente non più al pari con i tempi, almeno per alcuni dei suoi istituti.

Su questa strada ci troviamo inevitabilmente di fronte il nuovo al processo di revisione varato, tra l'altro in maniera difforme tra Trento Bolzano, e alle polemiche sugli istituti che dovrebbero accompagnarlo. A voler insistere sulla composizione dei vari comitati e sui loro metodi di lavoro si rischia però di perdere di vista un dato che invece è fondamentale. Per la prima volta, da quando negli anni 60 del secolo scorso si mise mano alla revisione della prima autonomia, si è consentito che il dibattito uscisse dal chiuso delle stanze nelle quali erano ammessi due soli interlocutori: la Suedtiroler Volkspartei considerata unica ed esclusiva rappresentanza delle minoranze tedesca e ladina e i rappresentanti del governo di Roma. Un match con due soli contendenti dunque e con tutto il resto del mondo politico e della società altoatesina, gruppo italiano in testa, a fare da spettatori. Questa volta qualcosa è cambiato. L'apertura alla società civile, ma anche al mondo economico, alle realtà culturali, all'universo associativo c'è stata. Certo poi, spaventati forse al loro stesso coraggio, i ceti politici di governo hanno cercato di imbrigliare questi contributi in alcuni schemi troppo rigidi, ma questo, se vogliamo, è un ostacolo facilissimo da superare.

Non sta scritto da nessuna parte che le sollecitazioni, le idee, le proposte per un cambiamento dello statuto di autonomia debbano arrivare necessariamente e solo dall'interno di quei comitati di quegli organi che, ricordiamolo sempre, sono e restano strumenti consultivi di un'assemblea, il consiglio provinciale, che a sua volta non potrà far altro che formulare proposte da mandare a Roma.

Non si vede perché il dibattito non dovrebbe iniziare e proseguire anche al di fuori di quelle stanze, sollevando e risollevando problemi antichi e nuovi e deponendo nelle mani dei futuri legislatori delle proposte che tanto più valore avranno quanto più consenso raccoglieranno nella realtà altoatesina, tanto più avranno la possibilità di essere accolte, quanto più non saranno frutto di divisioni settarie, caratterizzate etnicamente, ma di una volontà matura, trasversale quanto più possibile rispetto ai gruppi linguistici e agli interessi di gruppi economici.

È vero, bisogna ammetterlo, che questa mobilitazione e questo dibattito sino ad ora non vi sono stati. Forse, a forza di contemplare la composizione di qualche commissione, ci si è dimenticati di quali siano veramente i temi e i valori in gioco. Nei prossimi due articoli di questa serie cercheremo di ricordarne alcuni ed anche di indicare quali dovrebbero essere, a nostro giudizio, le forze vive della società che su di essi avrebbero il diritto e il dovere di aprire una riflessione.

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Profil für Benutzer Massimo Mollica
Massimo Mollica Fr., 03.06.2016 - 23:35

Il punto che mi lascia perplesso è che cosa, come e quando va riformata un'organizzazione come l'autonomia altoatesina/sudtirolese? Oggi , leggendo questo articolo, si capisce che vi è la necessità di farlo a causa della riforme della costituzione italiana. Però i termini non mi sono chiari perché non sono stati spiegati sufficientemente. E "l'apertura alla società civile" non sempre, non per forza, significa una cosa positiva. E lo dice uno che vive una vita OPEN SOURCE e lo propugna! Questo perché viviamo con una forte influenza antipolitica, dove imperano i "discorsi da bar", che hanno ucciso qualsiasi sorta di analisi.
Una cosa però aggiungo. In merito alla sopracitata riforma costituzionale io voterò a FAVORE perché c'è un estremo bisogno che le cose cambino in questo staticità dittatoriale. Ma c'è un aspetto della stessa di cui sono TOTALMENTE in disaccordo, ed è l'abolizione delle province! Io credo che la storia, ma anche la logica, oltre che i dati di fatto, dovrebbero far sì che l' Italia diventi uno stato costituito province autonome. E mi dispiace che tale istanza non venga portata avanti dagli altoatesini e soprattutto dal mio partito locale. Noi che viviamo ogni giorno i benefici di tale autonomia.

Fr., 03.06.2016 - 23:35 Permalink