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Politik | Diritto e società

Nuove forme di dispotismo

Alexis de Tocqueville aveva profetizzato la marcia trionfale della democrazia in Europa. E nuovi pericoli dispotici.

Nella prima metà del diciannovesimo secolo un giovane magistrato francese, Alexis de Tocqueville, aveva revocato in dubbio lo schema classico della divisione delle forme di governo. Prima di lui, il «grande» Montesquieu poteva ancora distinguere tra monarchie, repubbliche (democratiche o aristocratiche) e dispotismo. Dopo la Rivoluzione questa tripartizione non aveva più senso: Tocqueville era convinto che il rivolgimento del 1789 avesse spazzato via per sempre tanto la monarchia quanto la nobiltà, lasciando intatta la sola possibile alternativa tra democrazia e dispotismo. Egli era convinto, inoltre, che questi due termini non stessero necessariamente in opposizione, come riteneva il suo predecessore, Montesquieu, nell’Esprit des lois (1748). Per Tocqueville sovranità popolare e tirannide potevano infatti conciliarsi sciaguratamente nel nuovo scenario democratico. In altre parole, l’abbattimento del sistema feudale, la caduta della monarchia e l’estinzione della nobiltà non erano per lui una garanzia di libertà; l’assetto egualitario della nuova democrazia di massa non gli sembrava assicurare di per sé né la libertà politica né tantomeno il diritto soggettivo. Al contrario, il fatto compiuto o prossimo a compiersi, di una unica, nuova fonte del potere pubblico, ispirava in Tocqueville cupi presentimenti: egli vi intuiva la minaccia di un potere senza limiti, persino più temibile dei dispotismi orientali.

Per Montesquieu nobiltà e corona si spartivano la sovranità e fungevano l’una da limite all’altra. Così, diceva, «il potere limita il potere». La vecchia aristocrazia rappresentava insomma un argine al potere del re, un corpo intermedio che ne rallentava o persino impediva l’azione e ne scalfiva quindi la pretesa assolutezza. Con la Rivoluzione questo argine era venuto meno, travolto per sempre dal fiume in piena di quegli eventi.

Nelle prime pagine di The Origins of Totalitarianism Hannah Arendt aveva fatto proprio il giudizio di Tocqueville sul crollo improvviso dell’aristocrazia francese: secondo Arendt la nobiltà aveva perduto ogni funzione sociale, mantenendo tuttavia gli antichi privilegi e attirando così odi e risentimenti. Rovesciata l’aristocrazia, restava aperta la sola possibilità del governo del popolo. O del suo dispotismo.

L’esprit philosophique rivoluzionario guardava a una nuova forma di sovranità come alla palingenesi di tutti i mali: secondo le dottrine che precedettero, accompagnarono e seguirono la Rivoluzione, ad una unica assemblea doveva essere affidata la prerogativa esclusiva di esprimere la «volontà generale» della nazione, vale a dire della sua maggioranza. Proprio il semplice fatto che questa nuova entità politica rappresentasse il popolo era considerato quale prova inconfutabile della giustizia e della verità delle sue decisioni e delle sue leggi. Si giunse persino a ritenere che la magistratura - il potere giudiziario - dovesse essere in tutto e per tutto asservita alla volontà incisa sulle labbra di quel nuovo legislatore democratico: si pretese così dai giudici di abdicare al loro ruolo tradizionale di limite o di contropotere.  

Nella prima Démocratie en Amérique (1835), Tocqueville mostrò che le nuove assemblee democratiche non erano affatto una garanzia, ma che esse potevano benissimo esprimere un nuovo tipo di dispotismo, la tirannide della maggioranza politica sulle minoranze.

Cinque anni più tardi, nella seconda Démocratie en Amérique (1840), egli tratteggiò l’immagine inquietante di un potere immenso e tutelare, che senza spezzare gli uomini, li dirige e li assoggetta in una forma di servitù ancora più alienante di quelle del passato. Dinnanzi a questo nuovo, soverchiante potere dirigistico, l’uomo del mondo democratico gli appariva del tutto inerme: l'individuo della moderna società di massa era isolato, atomizzato, solo ed eguale al cospetto del nuovo Stato che minaccioso e subdolo si apprestava ad espropriare i suoi soggetti finanche della loro personalità.

In questo mutato scenario, Tocqueville «profeta della democrazia di massa» auspicava dei nuovi corpi intermedi, che potessero prendere il posto della vecchia aristocrazia. Nuovi corpi intermedi. Libere associazioni di cittadini, spontanee ed autonome forme di aggregazione, corpi sociali indipendenti tanto dal potere pubblico quanto dai suoi custodi o da quei partiti che ambivano e ambiscono a conquistarlo. In queste nuove forme di associazione egli sperava di veder rifiorire, un giorno, la “nobiltà di spirito” quale auspicato contropotere - civile - capace di contrastare le sempre più spaventose ingerenze del pubblico e, con queste, nuove forme di servitù, di assoggettamento dell’individuo contemporaneo.