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“Montagna, la nostra acqua in pericolo”

Parte il progetto di Eurac sulla siccità. Claudia Notarnicola dalla conferenza Onu sul riscaldamento in quota. La neve che sparisce e le sorprese: “Scieremo in Siberia?”
Claudia Notarnicola
Foto: WMO/Eurac Research

salto.bz: Claudia Notarnicola, fisica e vicedirettrice dell’Istituto per l’osservazione della Terra di Eurac Research, assieme al suo collega geografo Stefan Schneiderbauer e direttore del programma Glomos delle Nazioni unite ha partecipato a Ginevra - ad un anno dalla tempesta Vaia - alla conferenza mondiale sul cambiamento climatico nelle zone di montagna. Regioni che detengono le riserve idriche a cui si approvvigiona metà della popolazione mondiale. Anche la “nostra acqua” è a rischio?

Claudia Notarnicola: diverse implicazioni sono collegate tra loro riguardo alle conseguenze dei cambiamenti del clima sulle regioni montane. Da un lato ci sono in alcune aree dove fino ad ora la mancanza di acqua non era mai stata considerata, ed è quello che succede alle aree alpine. In aggiunta a tale fenomeno, quello che si registra è una sorta di eventi a cascata, ed è il caso anche della nostra regione. Cosa notiamo? La presenza di poca neve in inverno, oppure molta neve che si fonde velocemente, con una riserva di acqua che diminuisce e fa sì che l’agricoltura ne risenta nel periodo estivo. 

Un certo impatto dei cambiamenti climatici nel nostro territorio lo vediamo già: poca neve in inverno, oppure molta che si fonde velocemente, e di conseguenza una riserva d’acqua in diminuzione che produce una carenza per le irrigazioni estive in agricoltura

Le coltivazioni stanno già cambiando per gli effetti del riscaldamento?

Sì. Com’è noto, l’agricoltura sfrutta l’irrigazione per raggiungere certi livelli di produttività. Al tempo stesso, visto che c’è un incremento di temperatura, si comincia a vedere uno spostamento delle coltivazioni in quota. Però dato che la loro superficie aumenta, i campi necessitano di più acqua e quindi a sua volta tutti questi effetti entrano in competizione riguardo alla quantità di acqua prodotta in inverno. Inoltre, con questa alternanza tra inverni scarsi di precipitazioni e inverni abbondanti che abbiamo visto negli ultimi 10 anni la situazione si complica ulteriormente.

La variabilità è la cifra del clima contemporaneo?​

Questa estrema variabilità è piuttosto evidente, per tutti. Ci sono anni in cui inizia a nevicare presto, come l’anno scorso, altre in cui nevica tardi e le temperature iniziano subito a salire e la fusione avviene già a febbraio-marzo. È come se noi avessimo bisogno dell’acqua all’ora del pranzo e invece ti arriva prima o dopo il pasto. Va da sè che il mutare delle condizioni potrebbe richiedere un adattamento.

L’estrema variabilità del clima è piuttosto evidente. Ci sono anni in cui inizia a nevicare presto, come l’anno scorso, altre in cui nevica tardi, fa subito caldo e la fusione avviene già a febbraio-marzo. Questo implica un adattamento

 

 

Ci sono dati sulla riserva d’acqua per la regione alpina e l’Alto Adige e su quanto si sta consumando?

Secondo quanto indicato nel “Rapporto sul Clima” pubblicato da Eurac nel 2018, in Alto Adige, considerando bacini a bassa quota o molto ampi, la tendenza della portata è negativa soprattutto in estate. Se si prende come riferimento la portata del fiume Adige a Bronzolo non si osservano variazioni significativo per le medie annuali, mentre la situazione cambia a livello stagionale. Nel periodo autunnale e invernale la portata è aumentata del 21% dal 1957 a oggi, in estate è diminuita del 20%. Scendendo verso la foce, già a Trento la tendenza diventa negativa su scala annuale.

Le modifiche delle precipitazioni nevose e gli eventi distruttivi più frequenti, come la tempesta Vaia, sono le due facce di un’unica medaglia. E questi cambiamenti, com’è emerso a Ginevra, sono comuni alle zone di montagna a livello globale

I fenomeni metereologici sono sempre più forti e improvvisi ed è vivo il ricordo degli effetti tragici della tempesta Vaia sull’Alto Adige, il Trentino e il bellunese. È l’altra faccia della stessa medaglia?

In realtà sì, potrebbero far parte di uno stesso gruppo. Così come possono avvenire nevicate elevate, con 4-5 metri di neve, oppure mancanza di precipitazioni, appare chiaro da diversi report che la frequenza di eventi estremi è aumentata. Se questi eventi incidono su un territorio che ha già determinate problematiche l’impatto potrebbe essere amplificato. La discussione a Ginevra ha permesso di notare che quello che si osserva a casa nostra è visibile in altre regioni di montagna nel mondo. 

Che esempi ci sono?​

È stato fatto l’esempio del Canada, in una zona dove il ritiro dei ghiacciai è accompagnato dall’estensione della vegetazione. Fenomeno che fa aumentare il rischio di incendi, che a loro volta depositano la cenere sul ghiaccio che é ancora presente. Ed una neve più scura, contribuisce ad aumentare il ritmo della fusione. Gli eventi insomma sono concatenati.

Cosa succederà tra 20 anni? Difficile dirlo, perché le prioiezioni si basano su condizioni che possono cambiare. Ma finora è certo che la tendenza alla riduzione delle nevi perenni non si è invertita

Quali proiezioni ci sono per la scomparsa delle nevi perenni?​

Va detto innanzitutto che le proiezioni hanno un ampio margine di incertezza, perché vengono fatte con le condizioni attuali, ma non sappiamo cosa succederà tra 10-20 anni. In generale i trend sono sempre in diminuzione, secondo una visione a lungo termine, con orizzonte del 2100. Diciamo che la tendenza purtroppo non sembra essere invertita.

 

 

A Ginevra si è parlato delle procedure per sviluppare, basandosi su dati scientifici, sistemi di allerta contro eventi meteo estremi, scioglimento del permafrost o valanghe. Su questo Eurac Research ha avviato una collaborazione con l’università delle Nazioni unite e a Ginevra sono stati presentati i dati sul monitoraggio della neve. Cosa dicono?

In realtà sono due cose separate. Della prima parte si occupa il mio collega Schneiderbauer, geografo di Eurac e direttore di Glomos, un programma appena avviato ufficialmente, che mira a sostenere la resilienza delle popolazioni montane di tutto il mondo. Glomos sta per avviare attività in cui la scienza sostiene l’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione del rischio di catastrofi nelle comunità montane. Invece l’altra ricerca riguarda l’inizio del monitoraggio per vedere se le tendenze nelle zone in quota sono positive o negative ed effettuare comparazioni tra le zone situate in diverse porzioni continentali.

Finora che risultati avete ottenuto nel monitoraggio?​

I risultati preliminari indicano che molte zone conoscono una diminuzione della quantità di neve e della sua durata. Tuttavia, in questo macro-fenomeno ci sono delle linee opposte, a livello di singole porzioni locali. 

In generale la quantità di neve diminuisce in gran parte delle aree montane sparse nel mondo. Ma ci sono zone in cui la tendenza è opposta: sulle Montagne rocciose americane, oppure in Siberia

Aree in cui la neve invece che diminuire aumenta?​

Sì. questo avviene ad esempio negli Stati Uniti, sulle Montagne Rocciose, dove c’è un’abbondanza di nevicate sempre in determinate regioni, mentre altrove, in Canada vicino alla costa si osserva una diminuzione. Ancora, alcune zone nella Russia estrema, in Siberia, registrano un incremento.

Un domani si andrà a sciare là?​

[sorride]. Potrebbe essere così, se uno sopravvive. Mi aveva colpito un’intervista a Simone Moro che assieme all’altoatesina Tamara Lunger ha compiuto nel gennaio e febbraio 2018 una scalata in Siberia, della cima Pik Pobeda di 3.003 metri. L’alpinista raccontava delle temperature estreme, che possono raggiungere i -40 gradi.

Qui da noi cosa succede, ci sono zone dove la neve rimarrà di più?​

Nel dettaglio ci sono differenze est-ovest sulle Alpi, qualche differenza nord-sud, ma sempre molto locali e non abbiamo ancora informazioni sulle singole zone ad esempio dell’Alto Adige.

Il sistema Terra è complesso, ma possiamo dire che è assolutamente fondamentale ridurre ora le emissioni di gas serra per portare al minimo gli impatti negativi sulle montagne a lungo termine

Non si può dire, diceva prima, che la tendenza globale alla diminuzione sia chiara?​

Considerando studi a livello globale, questi indicano che la massa di neve nell’emisferno nord negli ultimi 30 anni è in netta diminuzione. A  livello locale ci possono essere tendenze contrastanti, sebbene nel loro complesso, anche le aree di montagna sembrano seguire la tendenza delle masse continentali. Ovviamente, l’ambiente di montagna è molto eterogeneo e per questo abbiamo bisogno di altri anni di osservazione ed altri strumenti per capire bene quali sono i processi meteorologici che generano questi effetti.

 

 

C’è ancora tempo per invertire la tendenza?​

Buona domanda: anche tra gli scienziati è un tema molto controverso, ma di fatto c’è una urgenza di azioni ed alcune agende per gli impegni internazionali sul clima sono state anticipate. 

Qual è la sua valutazione, serve ancora tempo per capire meglio?​

È chiaro che alcuni segnali a livello globale ci sono, però ovviamente è necessario fare altri studi per capire se prendendo ora le decisioni importanti si riesce ad avere un effetto. Essendo il sistema Terra complesso occorre individuare bene le componenti su cui agire per avere un impatto voluto e stabile. Tuttavia, su alcuni aspetti, ne sappiamo abbastanza - anche se con margini di incertezza - per dire che è assolutamente fondamentale ridurre ora le emissioni di gas serra per portare al minimo gli impatti negativi sulle montagne a lungo termine.

Diversi studi indicano che in futuro la siccità aumenterà nelle Alpi meridionali e cresceranno gli interessi concorrenti di turismo, energia, agricoltura. Dobbiamo prepararci. Eurac Research parte ora con il progetto Alpine drought observatory: a dicembre ci sarà il kick off

Ma le montagne sono minacciate e con queste per la loro riserva idrica, così importante anche per la vita quotidiana e l’economia nelle Alpi?​

Diciamo che si parla molto dell’argomento siccità, perché appunto in questi anni di inverni con poca neve, estati calde, portano ad avere eventi di carenza idrica che hanno spinto i contadini ad avere assicurazioni proprio sulla mancanza d’acqua. Diversi studi indicano che in futuro la scarsità d’acqua aumenterà nelle Alpi meridionali e sarebbe opportuno iniziare fin d’ora a prepararsi agli eventi di siccità e ai crescenti interessi concorrenti dei vari settori (turismo, energia, agricoltura), ovvero a migliorare la gestione dell'acqua al di là dei confini amministrativi esistenti. Recentemente su questo tema, noi abbiamo vinto un progetto per fare un osservatorio sulla siccità nelle Alpi. L’ambiente montano va osservato e analizzato, creando gli strumenti opportuni per capire in quale direzione sta andando. Il tema è molto attuale, anche nel territorio altoatesino.

Quando parte il progetto?​

Il progetto fa parte del programma Alpine space, e si chiama Alpine Drought Observatory e a dicembre ci sará il kick-off. Fanno parte del progetto diversi partner dell’arco alpino, coordinati da Eurac Research.

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Profil für Benutzer 3 Ländereck Raetica I Tre Confini in Italiano
3 Ländereck Ra… Sa., 09.11.2019 - 23:57

Riassunto delle puntate precedenti: ci sono stati 3 periodi della storia climatica postglaciale (ovvero da 11.000 anni), nei quali le temperature sono state nettamente superiori alle attuali. Per essere precisi in totale sono stati 9 i periodi con temperature comunque superiori allo “ottimo” contemporaneo iniziato con la fine della Piccola Era Glaciala (1350-1870 d.C.)
E’ talmente evidente agli scienziati che questi periodi siano stati “i tempi migliori del pianeta”, da averli convinti a chiamarli, rispettivamente, “Ottimo climatico olocenico (civiltà Assiro-Babilonese, Egizia e Micenea, romanico (civiltà Etrusca e Romana), medioevale (civiltà Maya, Vichinga e Rinascimentale)”.
In ciascuno di detti 3 periodi si è verificato un “impulso positivo” per la vita dell’Uomo: inizio della “stabilizzazione” e dell’agricoltura, tempo d’oro dell’Impero Romano, inizio del Rinascimento, sia per l’Italia, sia per le zone limitrofe.
In queste zone, in tutti e 3 i periodi, le temperature sono state superiori per secoli alle attuali dai 2 ai 7 gradi a seconda delle regioni e dei versanti: ad esempio, nel primo ottimo, entrambi i versanti del passo del Tonale erano ricoperti di querceti e tutti i versanti intorno a Bormio, nel secondo e nel terzo Ottimo di vigneti (dalle alterne fortune), segno evidente che “le isoterme erano spostate in alto di 700-1100m” a seconda dei versanti, rispetto alle attuali”.
In Ticino nel primo ottimo il limite dei boschi era mediamente a 2500 metri dove i locali costruivano masi in legno, ma in alcuni punti giungeva oltre 2700m.
Dal secondo al terzo ottimo vennero tenute praticabili strade di alta quota tra Pianura Padana e Nord Svizzera dove al giorno d’oggi si scia sui migliori ghiacciai d’Europa, dove nessuno è nemmeno sfiorato dall’impercettibile sospetto di aprirne altre, nonostante mille o duemila anni di tecnologie in più.

Sa., 09.11.2019 - 23:57 Permalink