Politik | Divisioni

Caro Florian ti scrivo

Lettera aperta a Kronbichler, che ha denunciato ‘molte assenze’ tra i personaggi più rappresentativi dell'universo sudtirolese ai funerali di don Giancarlo Bertagnolli.

Mi ha molto colpito, devo confessarlo, il post che Florian Kronbichler, vecchio collega ed amico prima ancora che deputato alla Camera, ha voluto riservare, sulla sua pagina di Facebook, alle molte assenze, tra i personaggi più rappresentativi dell'universo sudtirolese, ai funerali di Don Giancarlo Bertagnolli.

"Don Bertagnolli, - scrive Florian - come pochi rappresentava il Sudtirolo nella sua interezza. Il suo impegno, immenso, sovraumano, non conosceva confini etnici. Fu lui a prendersi cura dei sudtirolesi più disperati, dei suoi tossici, sgangherati, emarginati, indistintamente dalla loro appartenenza linguistica, e nessuno vorrà dire che il problema era solo dei “taliani”. Per questo, non è una esagerazione chiamare Don Bertagnolli il buon samaritano del Sudtirolo. E perché allora la maggioranza tedesca del Sudtirolo, la sua rappresentanza politica nella sua interezza mancava al funerale del prete più sudtirolese? So per esperienza che i sudtirolesi sono assidui frequentatori di funerali. Anche i suoi politici. E lo considero una espressione di buona cultura. E perché per don Bertagnolli no? È stata per negligenza, per distrazione, disattenzione, per insensibilità. Di sicuro non per mala intenzione. Oso dire che nessun sudtirolese tedesco abbia qualcosa contro Don Bertagnolli, anzi, facessero votare “l’italiano buono del Sudtirolo”, molto probabilmente uscirebbe vincitore Giancarlo Bertagnolli. Era conosciuto ed era conosciuto per buono. Quindi, nessun boicottaggio, nessuna assenza militante. La ragione è semplice: Il Sudtirolo tedesco non c’era, perché il morto era italiano. Di raro ho preso atto con tanta amarezza quanto siamo una società divisa. A dispetto di tutti i proclami, il Sudtirolo interculturale, plurilingue, conviventista è una chimera. Continuiamo ad essere società parallele, e me ne dolgo."

E' un ragionamento, purtroppo, che non fa una grinza, che fotografa con spietato realismo i limiti di una situazione, di fronte alla quale in troppi fanno finta di niente, voltano il capo dall'altra parte, o si rifugiano in consolatorie formule di autoassoluzione.
La verità è che, in Alto Adige, in questi ultimi anni ha perso completamente forza, energia, spinta propulsiva, quel vasto movimento di persone e di gruppi che in un passato meno recente aveva impegnato tutte le proprie capacità per cercare di costruire e di mantenere un dialogo fra i diversi gruppi etnici che vivono l'uno accanto all'altro in questa terra. Un dialogo che non era affatto di giudizi sprezzanti o di formule di comodo, ma che implicava la capacità di calarsi nei panni dell'altro, di comprenderne le ragioni anche quando esse vengono espresse con furia, con asprezza, con rabbia.

Vien da dire, con una punta di amaro in bocca, che c'era più tensione verso la comprensione reciproca nei momenti di crisi grave, di scontro portato al calor bianco. 
Non fraintendermi, Florian. Non ho nessuna nostalgia per gli anni nei quali torme di studenti italiani scorrazzavano per le strade di Bolzano sventolando il tricolore e si scontravano con la polizia nel tentativo di andare a devastare la sede di Villa Brigl della SVP. Ci mancherebbe. Non rimpiango neanche quelle levatacce all'alba per correre sul luogo di un attentato a contemplare i resti di un traliccio abbattuto o di un cassonetto dell'immondizia fatto esplodere davanti a una casa abitata da italiani. 

Non posso, però, fare a meno di ammettere che in quegli anni cupi c'erano uomini e c'erano gruppi, nel mondo italiano e  in quello tedesco che non avevano paura di attraversare il confine, netto ma invisibile, che divideva gli uni dagli altri e di sfidare l'impopolarità, le critiche, le accuse di tradimento lanciate dai soliti talebani della purezza etnica ad ogni costo, per cercare di costruire un'intesa di capire le ragioni e il malessere altrui.
Da un quarto di secolo, caro Florian, gli unici botti che ci svegliano al mattino presto sono, per nostra grande fortuna, quelli che segnano l'inizio di una giornata nuziale, secondo una simpatica tradizione sudtirolese. Anche le tensioni sociali che tanto hanno inciso nell'accumulare rancore e divisioni tra i gruppi si sono grandemente appianate grazie ai vantaggi portati dall'autonomia in taluni campi si sono fatti passi avanti notevoli che sarebbe sciocco non riconoscere. Penso all'inaugurazione del percorso all'interno del Monumento alla vittoria di Bolzano che lancia un segnale a tutti e soprattutto ai giovani. 

Proprio per questo, nonostante questo, è sconfortante dover ammettere che la distanza tra i gruppi è andata crescendo, che quel dialogo si è inaridito in una serie di formule stereotipate ripetute nei discorsi dei politici. Il mondo dell'informazione, quale tutti e due apparteniamo, ne è un esempio calzante. Appartengono ormai ad un passato lontano tutti i tentativi di dar vita ad organi di stampa bi o trilingui, con l'eccezione della testata per cui scrivo queste note, piccola riserva indiana che ancora crede nella possibilità di un dialogo.

Sono assolutamente convinto che le responsabilità di questa situazione siano da distribuire equamente tra tutti gli attori in scena. Penso ad un mondo politico e culturale italiano sempre meno attento a ciò che accade nella realtà che lo circonda, del tutto disimpegnato, ad esempio, rispetto al dibattito che si sta sviluppando, in un modo o nell'altro, sul futuro dell'autonomia. Sembra che, in certi ambienti bolzanini, l'unico problema di cui valga la pena di discutere sia quello sul preteso aumento della criminalità o su un reciproco scambio di accuse tra ciclisti ed automobilisti. Nemmeno questioni concrete come la riforma della sanità o il futuro assetto del settore energetico paiono destare più la minima emozione. 

Temo anche che nell'universo di lingua tedesca le forze più vive ed attente abbiano trovato sin troppo comodo impadronirsi della spiegazione fornita loro sui motivi di questa lontananza degli italiani dal cuore delle grandi questioni sul tappeto. Una spiegazione in base alla quale tutta la colpa è di un'antica cultura antiautonomista che li mantiene troppo vicini a Roma  e troppo lontani da Bolzano, troppo diffidenti verso l'autonomia trionfante e troppo poco disponibili ad impegnarsi, ad esempio, nel mettere nel portafogli il famoso "patentino". C'è, ovviamente, anche questo, ma limitarsi a prendere per buona questa lettura significa, come è avvenuto, chiudere ogni finestra di dialogo, mettere nello stesso mazzo i nostalgici del nazionalismo che fu e coloro che invece hanno l'ardire di criticare semplicemente questo o quell'aspetto dell'autoreferenziale universo sudtirolese.
Ci sono tutte queste cose e ce ne sono probabilmente molte altre, delle quali varrebbe la pena di discutere, sulle quali varrebbe la pena di confrontarsi e magari anche di litigare, come ai bei tempi in cui la passione e la voglia di costruire veramente una convivenza diversa faceva premio sull'indifferenza e sul disprezzo.

Il  tuo post, caro Florian, si conclude con questa frase, bellissima a mio parere: "L’esperienza, triste, mi ha rincuorato di impegnarmi di più nel fare da pontiere fra i sudtirolesi delle lingue diverse. Non mi rassegno alla fatalità dell’ignorarci a vicenda."

Bene, nemmeno io mi rassegno e propongo a te e agli amici di "Salto" di entrare nel nuovo anno con il proposito di aprire su questi temi una discussione il più ampia possibile.

 

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Palaia Renato Mi., 31.12.2014 - 15:31

Credo che l'analisi di Kronbichler sia condivisibile rispetto alla politica, che è mancata e continua a mancare nell'operazione di integrazione fra i gruppi etnici. Per contro non mi sento così pessimista riguardo al rapporto esistente fra i medesimi gruppi all'interno della società sudtirolese e nella vita quotidiana. Forse sono condizionato dai miei ottimi rapporti con le persone di lingua tedesca, anche incontrate occasionalmente, al di fuori quindi di un'amicizia o di una relazione interessata.

Mi., 31.12.2014 - 15:31 Permalink
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Max Carbone Mi., 31.12.2014 - 16:24

Manca, nei partiti, la voglia di rischiare e la capacità di visione. La politica, gli editoriali alla Faustini + 50 sull'autonomia provvisoria sono sempre corretti e puntuali nel disegnare gli effetti, mai le cause e soprattutto, ben guardandosi dal fare nomi e chiarire passaggi e situazioni di queste povere cronache locali. Tutti si sono accontentati del loro ruolo, della minima decenza che può ispirare, ma nessuno si fida a mettersi in gioco. Per lunghi anni, il pallino in mano l'hanno avuto Verdi e Sinistra, ma se lo sono tenuti in tasca, terrorizzati al solo pensiero di rigiocarlo.

Mi., 31.12.2014 - 16:24 Permalink
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Alberto Stenico Do., 01.01.2015 - 16:44

È vero quello che scrive Florian Krombichler: continuiamo a vivere in una provincia divisa tra aree linguistiche e culturali diverse al punto tale da non conoscere o sottovalutare le percezioni, gli avvenimenti, i personaggi dell'altra cultura. Il sentimento di lutto per la morte di don Giancarlo Bertagnolli in verità ha superato ogni "confine" culturale e linguistico, come in pochi altri casi. Peraltro, l'Associazione "la strada / der Weg" da lui fondata è una delle poche che ha avuto uno straordinario percorso interetnico con presenze di grande valore come quella di Friedl Volgger ed attualmente, di Otto Saurer. Esperienze quelle come La Strada, che danno speranza. Ma il tema di fondo posto da Kronbichler e Ferrandi rimane intero ed attuale: la nostra è una società che , avendo superato il GEGENeinander, avendo praticato solo come eccezione il MITeinander, si sta comodamente sistemando nel OHNEeinander.

Do., 01.01.2015 - 16:44 Permalink