Maschera
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Gesellschaft | Una sera a teatro

Non mi pare proprio!

Tutti fingiamo, persino con noi stessi. Ma è poi vero che siamo maschere e nient'altro? Rivisitando Pirandello e la sua poetica dell'irrealtà.

Non è facile essere sinceri, e poi non è neppure il caso di esserlo sempre. Perciò può essere saggio comportarsi così come le circostanze richiedono e come gli altri si aspettano da noi, evitando di mostrare quel che siamo e pensiamo in quel momento. L'arte della “dissimulazione onesta”, del tenersi nascosti, è celebrata in molti trattati, ma in fondo è anch'essa una finzione. Assai più successo sembra avere però l'arte opposta, quella della simulazione, che insegna i modi per mettersi in mostra e le parole per incontrare il favore dei potenti e l'approvazione dei più.

S'indossa una maschera nel mondo reale e persino in quello interiore

Recitare una parte non è una pratica limitata al palcoscenico, luogo che peraltro sembra estendersi sempre di più alla vita, se è vero che viviamo nella società dello spettacolo. S'indossa una maschera nel mondo reale e persino in quello interiore, con noi stessi. Può essere rassicurante, convincente, imbarazzante, a volte comico, non di rado inquietante e in ogni caso è parte delle competenze sociali mediamente praticate e accettate tra noi esseri umani. Fin qui, tutto bene. Ma dopo aver assistito a un'opera teatrale che proprio di questo tratta, mi chiedo: davvero siamo maschere e nient'altro? Lo siamo sempre?

Il terribile messaggio

Luigi Pirandello risponde di sì, lo siamo irrimediabilmente. Questo è il terribile messaggio di tutta la sua opera, coronata dal premio Nobel nel 1934, non solo del dramma “Così è (se vi pare)”, riproposto recentemente al comunale di Bolzano con la regia di Luca de Fusco e Eros Pagni nel ruolo del protagonista, Lamberto Laudisi, che poi è la voce dell'autore stesso. 
La trama, ridotta all'osso, è questa: A dice che B è pazza; B a sua volta, dice che A è pazzo; entrambe le versioni sono coerenti e plausibili. La morale pirandelliana è che hanno ragione tutti e due. La comunità non sa a chi credere, ma tentare di capire come stanno le cose è da folli (oltre che da curiosoni) perché ogni notizia, informazione, documento che potreste trovare sulle biografie di A e di B sono a loro volta nient'altro che versioni e come tali inconsistenti, anche se noi li prendiamo per fatti certi (in ciò Pirandello riprende Nietzsche: “Es gibt keine Tatsachen, nur Interpretationen”). Ognuno vede gli altri a modo suo e in definitiva non vediamo che maschere e non siamo altro che maschere, personaggi, fantasmi. Commenta Laudisi:
    

    ... vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui!

    Che possiamo noi realmente sapere degli altri? chi sono… come sono… ciò che fanno… perché lo fanno…
    
    Vi vedo così affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono,  quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così.

La situazione creata sulla scena è potente nella sua assurdità; il testo è un capolavoro, la bravura degli attori, l'efficacia della regia sono fuori discussione (e questa non vuole essere una recensione). Il pubblico applaude, e applaudo anche io. Ma uscendo dal teatro e superata l'emozione, mi viene da ripensare al titolo dell'opera e da rispondere che a me non pare proprio.

… uscendo dal teatro e superata l'emozione...

Gli altri sono inconoscibili, la realtà non esiste. Suvvia, anche se espressa da un grande letterato, che filosofia balorda è mai questa. Da diversi millenni, e non solo alle nostre latitudini, cerchiamo di capire come stanno le cose. Tra cielo e terra ve n'è più di quante possa sognare ogni filosofia, d'accordo. Ma ciò non significa che siamo ignoranti su ognuna di esse. Non è che si possa cancellare con un sol colpo tutta la conoscenza accumulata con l'esperienza e la riflessione, sostenendo che è solo questione di punti di vista. 
Si può indulgere all'idea che “la vita è sogno”, e il teatro anzi questa idea l'ha coltivata nei secoli; il pubblico per parte sua si commuove e vive la sua catarsi. Poi, passata la magia della messa in scena, fuori dal teatro, ci sono fatti (dal Covid-19 all'avviso di raccomandata, dalle guerre al mal di denti, dai fiumi in secca al frigo vuoto...) che chiedono di essere affrontati: problemi, necessità, bisogni, desideri e quant'altro ci muove.

Una resa del pensiero

A me pare che possiamo comprendere molto di noi stessi, degli altri e delle situazioni, se siamo interessati e attenti (se invece ci mettiamo a cercare e definire essenze, finiremo per perderci nel “vasto oceano dell'essere”, come lo definisce John Locke). Fatta eccezione per gli eremiti, tutti noi incontriamo persone che ci interessano e che vogliamo conoscere meglio: siamo animali sociali e siamo fatti di relazioni, mentre gli errori che commettiamo nel valutare aspetti di una persona o di una situazione, se riconosciuti come tali, sono parte del processo di conoscenza. Quanto alla immancabile e necessaria differenza dei punti di vista, essa è accettabile quando si tratta di opinioni, possibilmente basate sui fatti ed espresse in buona fede; non è invece accettabile come argomento per evitare il confronto ritenendolo inutile. In questo caso sostenere che “tanto ognuno la vede a modo suo (e così sia)” non è una conclusione saggia. È piuttosto una resa del pensiero.

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Dietmar Nußbaumer Mi., 01.03.2023 - 19:57

Jeder konstruiert sich seine eigene innere und äußere "Wirklichkeit", zimmert sich sein eigenes Weltbild zusammen und seine persönliche Religion bzw. Ersatzreligion. Ganz falsch hat es Pirandello sicher nicht gesehen.

Mi., 01.03.2023 - 19:57 Permalink