In tutta Europa rifioriscono i nazionalismi, mentre i 'pigs' stanno subendo gli effetti devastanti dell''austerity competitiva' che rischia di dare il colpo di grazia al sogno di un'Europa federale e unita.
Nel centenario della grande guerra tornano a galla i pericolosi richiami "della terra e del sangue" e i territori di frontiera come il nostro rischiano di invischiarsi in vecchie e logorate logiche identitarie, che dovrebbero essere superate. Una delle identità che ha caratterizzato il nostro 'meticciato alpino' e che è stata effetivamente negata per molto tempo, torna prepotente.
Il tentativo di una rivincita della parte 'austriacheggiante' lo stiamo osservando anche in questi giorni attraverso l'iniziativa di piantare, sulle vette delle montagne, croci in ricordo solo di una parte dei caduti della grande guerra. La scelta degli Schutzen è effettivamente una sfida pericolosa, che guarda ben poco al dialogo e alla collaborazione fra gruppi che un secolo fa erano su fronti opposti e sembra voler dire "adesso tocca a noi tornare in vetta riprendere una visibilità, che ci è stata negata in passato" (che probabilmente fa anche comodo elettoralmente a qualcuno).
La riflessione che viene da porsi è che forse a un secolo dalla guerra che ha massacrato troppi esseri umani trentini e non, sarebbe meglio cercare di far tornare le montagne lo scenario di quegli scontri, un luogo di confronto e condivisione.
Oggi più che mai servono momenti di cooperazione per costruire immaginari che mettano al centro il 'cosmopolitismo riflessivo', elemento mancante di una globalizzazione che in questi decenni ha consolidato solo gli interessi di classi globali che stanno portando avanti 'una lotta di classe dall'alto'. Nel frattempo milioni di persone cercano di sopravvivere a conflitti, che rischiano di rieccheggiare pesanti errori già commessi in passato.
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