Politik | Autonomia

Meglio se taglia Roma

Stranezze e incongruenze nel caso politico dell'estate altoatesina: quello degli stipendi dei politici.

Non è dato ovviamente sapere quali saranno le conclusioni della "due giorni" a porte chiuse che attende, in questo fine settimana i consiglieri provinciali della Suedtiroler Volkspartei, che si ritrovano per fare il punto in vista della ripresa dell'attività politica. Tra i temi all'ordine del giorno spicca ovviamente il caso dell'estate: quel disegno di legge, già all'esame del consiglio, che prevede, in base ad una legge statale varata nel 2012 dal Governo Monti, un taglio sostanziale ai cosiddetti "costi della politica", in parole povere agli stipendi degli amministratori.

Speriamo che dal "summit" escano chiarimenti su una storia piuttosto aggrovigliata che presenta aspetti a dir poco sconcertanti.

Per spiegarci meglio dobbiamo chiarire preventivamente un punto. Dopo aver letto il parere del costituzionalista Giandomenico Falcon e aver ascoltato le parole con cui i senatori del Gruppo Autonomie Karl Zeller, Hans Berger e Francesco Palermo lo hanno illustrato i giornalisti, una cosa ci appare abbastanza chiara. Non è affatto vero, come, con un po' di malizia, qualcuno ha cercato di fare intendere, che questa tesi mira ad impedire, in nome dell'autonomia, ai consiglieri provinciali altoatesini di abbassare le prebende del presidente Kompatscher e dei suoi assessori. I tre senatori, basandosi sulla tesi esposta dal professor Falcon, affermano con forza che il complesso delle garanzie autonomistiche poste a salvaguardia della speciale competenza delle province di Trento e Bolzano, non impone a queste ultime di doversi obbligatoriamente adattare alla legge Monti. Esisterebbe, secondo il lodo Falcon, solo un mero onere di adeguamento, che però non è accompagnato da nessuna sanzione. In pratica, per dirla in parole povere, un paterno consiglio o poco più. Questo non vuol dire però, e, nella conferenza stampa svoltasi a Bolzano l'altro giorno, Zeller, Palermo e Berger lo hanno detto chiaramente, che il consiglio provinciale altoatesina non possa intervenire sulla materia. Può farlo quando e come vuole, ma sulla base di una propria iniziativa e esercitando tutta la discrezionalità che gli compete in base all'autonomia, non per eseguire un "diktat" arrivato da Roma.

Per i tre senatori è questo il punto chiave: l'adeguarsi alla previsione della legge Monti, come peraltro raccomanda un altro parere espresso dal giurista Giuseppe Caia, significherebbe abdicare alla difesa di principio delle prerogative autonomistiche. Esse però non impongono certamente di non metter mano alla questione degli emolumenti corrisposti al ceto politico.

Se così stanno le cose, un quesito sorge spontaneo. Come mai, in questo caso, la maggioranza in consiglio provinciale appare così riottosa ad adottare una strategia che da sempre è scolpita, come un imperativo categorico, nelle tavole della legge "made in Südtirol"? Ci riferiamo, se non si è capito, al principio secondo il quale quando è in gioco una competenza da disputare a Roma, la strategia è da sempre quella di forzare al massimo i limiti della contesa, anche rischiando il conflitto costituzionale. In questo caso invece pare che molti preferiscano da subito trincerarsi dietro l'obbligo imposto dalla legge del 1992.

Un politico illustre, scomparso ormai da qualche anno, e appartenente anch'egli, sul finire della carriera, al Gruppo delle Autonomie, soleva dire che, a pensar male, si fa peccato ma raramente si sbaglia. In questo caso ci permettiamo di usare questo metodo induttivo per ipotizzare che, nel caso di specie, l'obbligo imposto dalla legge varata dal severo Monti, costituisca un comodo alibi dietro cui nascondersi per effettuare i tagli ingrati e poi stringersi nelle spalle attribuendo la responsabilità all'ex Presidente, già poco amato in Alto Adige per il suo atteggiamento poco cordiale verso le istanze di ampliamento dell'autonomia.

Una Roma dal volto arcigno su cui scaricare ogni colpa non è d'altronde un'immagine nuova. Si pensi, tanto per fare un esempio, al paradosso solo apparente base al quale una Provincia Autonoma a dir poco bulimica di nuove competenze ha sempre garbatamente rifiutato di assumerne una di enorme importanza, in grado di permettere come poche altre di far fronte alle particolarità locali: quella fiscale. Competenza essenziale, ma che espone chi la esercita ad assumere anche le vesti poco gradevoli del gabelliere. Meglio continuare a passare solo per chi distribuisce contributi e prebende e lasciare allo Stato il ruolo arcigno dell'evangelico pubblicano.

Se infatti il Consiglio dovesse accettare l'impostazione proposta dai tre Senatori, esso, svanite le prescrizioni i cancellati gli obblighi della legge statale, si troverebbe di fronte ad un'ardua scelta: o accantonare il tema, andando a sbattere contro la giusta ira popolare,  o affrontare, e sarebbe probabilmente ora, l'intera questione dei costi della politica in provincia di Bolzano. Tutti hanno presenti le cifre dello stipendio lordo mensile del Presidente della Giunta, del suo vice, degli assessori. Meno evidente appare che questi numeri sono il prodotto di un fenomeno politico che si è attuato soprattutto gli ultimi vent'anni, sulla base di un concetto dell'autonomia vista come una sorta di "albero della cuccagna", dotata di fondi praticamente illimitati e sganciata, nel suo esercizio, da ogni criterio di proporzionalità rispetto ad altre realtà più o meno vicine. Per cui, se si calano gli emolumenti dei vertici provinciali bisognerebbe per forza rivedere l'intero sistema, cominciando con il riequilibrare progressivamente tutte le retribuzioni. Non sarebbe possibile, ad esempio, pensare ad un Presidente della Giunta Provinciale che guadagni quasi la stessa cifra di un consigliere provinciale, il cui impegno e le cui responsabilità, sia detto con tutto il rispetto possibile, non sono nemmeno lontanamente paragonabili. Da qui una sorta di "effetto cascata" che porterebbe a rivedere poi le paghe dei sindaci e degli assessori comunali ed ancora e soprattutto di tutta la miriade di amministratori e dirigenti di società che col denaro pubblico funzionano. Una colossale cura dimagrante, che andrebbe a incidere nel portafogli di quasi tutta la nomenklatura sudtirolese, provocando reazioni inimmaginabili, rancori perenni, vendette sanguinose.

Non c'è da stupirsi se qualcuno, ad onta dei sacri valori di difesa dell'autonomia, preferisce restarsene al riparo sotto il nero ombrello fornito dalla legge Monti.