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Il silenzio degli innocenti

Perché possiamo dire che la Convenzione realizzata per orientare il nuovo Statuto di Autonomia è fallita?
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Convenzione sull'Autonomia
Foto: Consiglio Provinciale di Bolzano

La Convenzione è uno dei molti esperimenti di democrazia partecipativa che vanno a ingrossare i manuali di scienza politica per dimostrare la fugacità e la superficialità con cui la politica cerca oggi di dirimere i propri problemi esistenziali. Nata per aggiornare in chiave consultiva le scelte dei decisori pubblici, la Convenzione mirava a dare voce alle complesse e articolate anime della società provinciale.

Il ragionamento posto alla base dell’iniziativa aveva in sé qualcosa di affascinante in un momento in cui l’autoreferenzialità della politica anche quando non maschera meri obiettivi di autotutela è comunque espressione di una difficoltà a immaginare soluzioni all’altezza della complessità dei problemi sociali. Parafrasando una battuta famosa di George Stigler, l’incensamento della democrazia partecipativa rischia tuttavia di portare a una situazione come quella del giudice che, dovendo assegnare un premio tra due cantanti, dopo aver sentito il primo, stabilisce preso dall’entusiasmo la vittoria del secondo, ancora prima di averlo sentito cantare.

Se arrivati alla fine del percorso della Convenzione cerchiamo di tirare le somme utilizzando gli argomenti del dibattito scientifico, invece che l’entusiasmo del politologo neofita, non si sa bene se ridere o piangere. L’indicatore universalmente utilizzato per stabilire il successo delle pratiche di democrazia partecipativa è identificato nel cambiamento delle preferenze con cui i diversi individui hanno iniziato l’avventura partecipativa. Se, dopo avere preso parte alla discussione, si verifica una riduzione delle distanze che separavano le diverse opinioni all’inizio e si verifica una convergenza verso obiettivi che incorporano il dialogo, il rispetto della sensibilità delle diverse parti e la riflessività si può parlare di successo. Altrimenti si deve ammettere che c’è stato un fallimento.

Ora se andiamo a leggere i commenti dei diversi partecipanti alla Convenzione sia nel gruppo dei 100 che in quello dei 33 quello che si intravede essere il risultato dei molti mesi di lavoro comune, più che una convergenza, è una insanabile frattura. La separazione delle proposte finali in chiave di riforma dell’autonomia per quanto riguarda gli assetti costituzionali è quella solita che vede le posizioni di partenza immutate: da un lato, i cosiddetti tedeschi che continuano a rivendicare autodeterminazione, eliminazione della Regione e del Commissariato del Governo e segregazione dei modelli scolastici e educativi e, dall’altro, gli italiani che sperano in una normalizzazione dei rapporti tra i gruppi dopo quaranta dalla chiusura del Pacchetto.

Si sono parlate queste persone? Probabilmente si. Si sono capite? Sicuramente no. Di chi è la responsabilità di questo fallimento? Chi oggi ha il coraggio di assumersi il compito di giudice di un processo fallito? Qualcuno dice che la colpa è di coloro i quali, nononostante ne avessero avuto l’opportunità, non hanno partecipato agli incontri aperti previsti nel percorso della convenzione. L’ipotesi è purtroppo eccentrica. Per le teorie razionali della politica, la decisione di non partecipare a processi partecipativi è il risultato di una scelta in cui l’individuo, comparati i costi della partecipazione con i suoi ipotetici vantaggi, decide se investire tempo e energie nel partecipare oppure se è meglio restare a casa. La letteratura insegna che le procedure che affidano ai singoli la decisione se assumere i costi della partecipazione o rigettarli, tendono dunque a mobilitare reti di soggetti in cui sono gravemente sottorappresentati i punti di vista e gli interessi della grande parte dei cittadini e risultano invece sovradimensionati i cosiddetti high demanders o portatori di preferenze molto omogenee, concentrare e intense. L’amplificazione di alcune voci all’inizio dei processi partecipativi tende a sua volta a produrre nuove forme di selezione avversa perché i soggetti organizzati che ostentano le proprie preferenze hanno un effetto di disincentivazione alla partecipazione di chi è meno organizzato e ideologicamente meno motivato.

Con questi assunti, già solo pensare di costruire un percorso di democrazia partecipativa basato sul dimensionamento diseguale dei partecipanti in base all’appartenenza etnica è stato un errore che rimarrà negli annali della scienza della politica. Il secondo errore è di avere ipotizzato che la convenzione potesse essere su queste basi uno “specchio della società civile” provinciale. Va detto a chiare lettere che la Convenzione non è stata uno specchio della grande massa dei cittadini della provincia, tedeschi italiani, ladini, bilingui, trilingui, o appartenenti alle oltre cento etnie che vivono in questa terra. E non lo è stata perché nella sua stessa architettura non lo poteva essere. Perché il dialogo si costruisce attraverso la riflessività, l’ascolto dell’altro, il rispetto reciproco e non portando avanti ideali di sopraffazione di chi ha i maggiori numeri su chi ne ha meno.

Quello che per alcuni osservatori poco istruiti è stato menefreghismo e per altri stupefacente ignoranza di cui han dato prova i cittadini che non hanno partecipato agli open space della Convenzione, altro non è per la scienza politica che una scelta razionale di chi sapeva di non potere incidere contro portatori di interesse più organizzati e ideologicamente orientati, oppure di chi credeva più pragmaticamente che alla fine la convenzione si sarebbe rivelata solo un gioco al massacro dell’autonomia provinciale.

Quali conclusioni possiamo trarre da questo tentativo assai azzardato e pasticciato di rinnovare lo Statuto di Autonomia della provincia di Bolzano?

In primo luogo, è palese la decadenza della qualità del ceto politico che governa il territorio. Delegare a una partecipazione che seleziona in modo avverso i partecipanti, l’onere di proporre soluzioni innovative per guardare al futuro è segno di una debolezza del governo provinciale e dei partiti al potere che dovrebbe fare molto riflettere. L’impressione è che chi ha voluto e ha votato per la Convenzione stia pensando soprattutto al proprio tornaconto elettorale immediato, ai posti da salvare o conquistare, alle pensioni milionarie da assicurarsi per garantirsi una vecchiaia felice.

In secondo luogo, appare drammaticamente palese l’effetto del modello dei mondi separati propugnato cinquanta anni fa da Zelger e Magnago. Tra i rappresentanti dei due gruppi che hanno partecipato alla Convenzione regna sovrana l’indifferenza rispetto a cosa pensano, come vivono, cosa si attendono i membri dell’altro gruppo. Quando qualcuno si domanda seriamente di cosa hanno paura gli italiani di fronte alle proposte aggressive della destra tedesca, la domanda che si pone una persona normale è se davvero è possibile pensare che non esiste in una società basata sulla proporzionale e sulle dimensioni dei gruppi il timore della prevaricazione del più forte sul più debole. La politica per decenni ha fomentato e continua a fomentare programmaticamente la paura nei confronti dell’altro. Ma allora perché mai non si dovrebbe avere paura? Porre solo una simile questione vuol dire che mancano le basi minimali per la comprensione del proprio vicino e questo non è un problema del presidente della Convenzione o dei singoli ma è un effetto di un sistema che fin da piccoli continua a instillare in ognuno la convinzione che prima ancora che esseri umani, esistono in questa terra i “tedeschi” e gli “italiani”.

Un’ultima conclusione è forse un interrogativo e una speranza insieme. C’è chi pensa, e non sono pochi, che alla Convenzione abbia partecipato, il peggio, e non il meglio della società civile provinciale. E c’è chi è convinto anche che la grande maggioranza di tedeschi e italiani nella quotidianità abbia aspettative, desideri e bisogni diversi e molto più articolati e complessi di quelli della separazione e della contrapposizione permanente. Sono, costoro, quelli che vengono chiamati dagli studiosi di esperimenti di democrazia partecipativa “gli innocenti”, la grande massa dei cittadini, a cui va affidata la speranza di pensare il futuro di questa terra. Un futuro in cui i confini non si riproducano più nella testa delle persone come esito di decisioni politiche incentrate sulla divisione per gruppi linguistici. Per questa maggioranza silenziosa, se esiste,i confini saranno sempre qualcosa oltre la quale c’è una scoperta e del nuovo da imparare. Speriamo che prima o poi il silenzio di questi innocenti, diventi un rumore assordante.

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Profil für Benutzer Sigmund Kripp
Sigmund Kripp Do., 22.06.2017 - 20:15

Langer Rede Conclusio? Sich politisch einbringen und nicht nur jeden Abend vor dem Fernseher sitzen und über "die bösen Politiker" schimpfen. Fernseher abschalten und beim Fenster rauswerfen. Mitdenken. Mitmachen. Sprachen lernen. Direkte Demokratie fördern und unterstützen. Nicht hoffen, dass irgendjemand etwas für Dich tut: Nein! Selber machen!

Do., 22.06.2017 - 20:15 Permalink
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Manfred Klotz Sa., 24.06.2017 - 09:05

Herr Kripp, Ihre Meinung in Ehren, aber die Schweiz als Beispiel für funktionierende direkte Demokratie zu zitieren finde ich in diesem Zusammenhang nicht unbedingt angebracht. Die Schweiz hat nicht mit historischen ethnischen Spannungen zu kämpfen, daher besteht auch nicht das Gefühl, dass der jeweils andere mich übervorteilen könnte. In unserem Lande wird das "Aufeinanderprallen der Kulturen" von beiden politischen Seiten (wenn man das vereinfachend so umschreiben kann) einfach immer noch künstlich wach gehalten, um politisches Überleben zu sichern, bzw. um eine politische Rechtfertigung zu generieren. Wo direkte Demokratie zu einer Machtdemonstration gegenüber der jeweils anderen Gruppe wird, ist sie tatsächlich zum Scheitern verurteilt.

Sa., 24.06.2017 - 09:05 Permalink
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Profil für Benutzer Riccardo Dello Sbarba
Riccardo Dello… Sa., 24.06.2017 - 18:32

Interessantissima analisi, e lo dico da partecipante alla Convenzione. C'era il vizio di fondo nel meccanismo partecipativo previsto nella legge, cioè che i 100 venivano estratti tra quelle persone che si erano candidate, ed erano circa 1500. Molti, ma non un campione rappresentativo dell'intera società, fin dai primi Open Space infatti si era capito che una parte si era mobilitata per far sua la Convenzione e in effetti è riuscita a essere sovra rappresentata.
I 33 invece sono stati composti dalla politica, essendo stati nominati dal consiglio provinciale. Accanto alla rilevante quota di noi politici (per cui se si vuole parlare di società civile per i 33 bisogna essere cauti), c'erano esponenti di categoria (sindacati, imprenditori ecc..) eletti dal consiglio scegliendo da rose di nomi, quindi di nuovo filtrati dalla politica, più gli 8 delegati dal forum dei 100 che si era composto come già detto.
E anche in Consiglio sono successe cose che hanno distorto la rappresentazione del territorio. Per esempio, il giorno in cui il consiglio provinciale doveva votare, ci siamo trovati di fronte a un accordo preventivo di ferro tra Svp e partiti della destra tedesca, che hanno "bloccato" per sé tutte le nomine di lingua tedesca, impedendo a chiunque di proporre una persona di lingua tedesca non allineata che avrebbe rotto il fronte monoetnico che si è creato. Insomma, ci sono stati tanti fattori che hanno distorto tutto il quadro.
Ricordo che ci sono esempi di processi partecipativi in cui le cose funzionano diversamente, proprio per impedire che i più organizzati egemonizzino la discussione, proprio per cercare di rappresentare di più gli "innocenti". Per esempio il Vorarlberg convoca periodicamente un Bürgerrat a cui affida una istruttoria pubblica su temi e scelte rilevanti. E questo "consiglio dei cittadini e cittadine" viene formato tirando a sorte su tutta la popolazione, in base a un modello statistico rappresentativo, non tirando a sorte tra chi si autocandida, come è accaduto da noi.

Sa., 24.06.2017 - 18:32 Permalink
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Sergio Sette So., 25.06.2017 - 08:24

Come sempre ottima analisi. L'unica cosa che non condivido totalmente è la parte che riguarda la rappresentatività o meno dei presenti alla Convenzione. Viviamo ogni giorno le dinamiche descritte, quello che è successo nella Convenzione non si scosta di nulla rispetto a ciò. Che fra l'altro è pure coerente con il modello di società che ha prodotto l'attuale assetto dell'autonomia. Sarà anche vero che i più attivi hanno monopolizzato la scena ma da qui a dire che la società "civile", la sua parte silenziosa, è diversa di strada ce ne passa. D'altronde i risultati elettorali sono lì a ricordarcelo così come veti e blocchi etnici che di fatto regolano tutti gli ambiti della nostra società.
Perchè nasconderselo ? Ci imbarazza così tanto pensare di vivere in una società come questa ?

So., 25.06.2017 - 08:24 Permalink
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Manfred Klotz So., 25.06.2017 - 09:38

Penso che non sia una questione di "imbarazzo", se non quello, per l'appunto, di dover constatare che un'istituzione, creata per gettare le basi per lo satuto 3.0, non sia riuscita a superare questo assetto perché essa stessa assoggettata (in modo anche pilotato) a questo assetto. Non lascia presagire nulla di buono.

So., 25.06.2017 - 09:38 Permalink
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Sergio Sette Fr., 30.06.2017 - 12:44

Non credo che il cercare di cavarsela al meglio sia sempre una giustificazione. Lasciando per un attimo perdere il discorso autodeterminazione, è il resto del contesto sociale/politico che è indicativo. Non si può non domandarsi ad esempio come mai dopo più di 80 anni non si sia ancora riusciti a fare politica in modo "normale". Perché essere ancora al Sammelpartei significa non aver fatto nessun passo in avanti. E non credo che sia più per una questione di "paura" ma di semplice convenienza. In questo modo si fa pesare la maggioranza etnica per estromettere dalle decisione l'altra parte esattamente come è successo nella Convenzione. Colpa solo di chi fa politica ? Non credo, le alternative c'erano ma non sono mai state prese in considerazione.
E sinceramente non mi fa nemmeno tristezza, al contrario provo un sentimento di profonda delusione perché a me pare un atteggiamento fortemente prevaricante. Anche se, e su questo concordo in parte con la tua analisi, non sempre volontario. Chiunque faccia un giro nelle valli si renderà conto che lì il contesto è tale che di certe cose non gliene può fregare di meno, sono lontane tanto quanto Andromeda.
Ed è proprio il constatare quale sia la dinamica innescata dallo Statuto e quello che ha prodotto nella periferia (che però è quella che maggiormente conta qui) che mi rende assai pessimista sul fatto che le cose possano prendere un'altra piega. Credo al contrario che questa dinamica sia immodificabile ed in rapida accelerazione e porterà all'unica conseguenza logica possibile: il problema si risolverà non tanto per via di immigrazione, cambiamento climatico ecc., ma perché gli italiani saranno riportati alla percentuale prossima a quella pre prima guerra mondiale. Allora sì che l'autodeterminazione avrà un senso. Si tratta solo di portare ancora un po' di pazienza.

Fr., 30.06.2017 - 12:44 Permalink