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Votate gli alieni

A un mese esatto dal voto, Andrea Scanzi ha portato a Bolzano il suo spettacolo dedicato al fenomeno del “renzusconismo”, piaga (irreversibile?) del nostro tempo.
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Foto: Foto: Salto.bz

Ancora prima che il sipario si apra, la riconoscibilissima voce di Matteo Renzi improvvisa un involontario rap sul pezzo di Adriano CelentanoSono un simpatico”. La sua promessa di marinaio: “È del tutto evidente che se perdo il referendum costituzionale, considero fallita la mia esperienza in politica”. Comincia così, riscuotendo già molte risate, lo spettacolo “Renzusconi” di Andrea Scanzi, presentato domenica in un teatro Cristallo gremito. Il monologo si basa sul libro omonimo, che il giornalista de “Il Fatto Quotidiano” ha dedicato alla “crasi” ottenuta miscelando i cognomi dei due leader a suo giudizio più nefasti del passato (e recente) panorama politico italiano: Silvio Berlusconi e, per l'appunto, Renzi. È in realtà particolarmente su quest'ultimo che Scanzi concentra i suoi strali, ricostruendone la fenomenologia (“quand'è che Renzi è diventato Renzi?”) mediante un cut-up di citazioni, immagini e filmati selezionato allo scopo di rispondere (peraltro senza spingere molto in profondità l'analisi) a una sola domanda: “Ecco, ma come diavolo abbiamo fatto ad arrivare a un simile livello di mestizia?”.

Quando Renzi diventò Renzi

La scena è scarna. A destra una grande fotografia dell'odierno sindaco di Firenze Dario Nardella (“uno che ha la faccia di chi ha appena letto Topolino senza averlo capito”), a sinistra un tavolo con una lampada e alcuni libri, in mezzo lui, Scanzi, a maramaldeggiare contro i vari potenti o semi-potenti messi alla berlina. Il primo pensiero è per Bolzano: “Non c'è che dire, siete state bravi, davvero bravi a prendervi la Boschi, visto che non la voleva nessuno. Poi vedo che avete anche la Biancofiore, e allora – francamente – mi sembra che avete davvero voluto esagerare!”. Quindi il copione scivola via come previsto. Si parte con lo spezzone del programma di Mike Bongiorno, nel quale un giovanissimo Renzi “pronunciò il suo discorso politico più importante” (“Mike compro la vocale...”) e poi, ancora citando e fustigando, a dimostrare la tesi contenuta nel sottotitolo del libro: Matteo Renzi è solo un allievo di Silvio Berlusconi, non essendo peraltro neppure capace di superarlo.

La gente ha bisogno di sognare

Per esemplificare l'essenza del berlusconismo di Renzi (e con ciò l'essenza del renzusconismo che li accomuna e li confonde), Scanzi cita un aneddoto mostrando la “Battaglia di Scannagallo” dipinta da Giorgio Vasari [in realtà dovrebbe trattarsi della "Battaglia di Marciano della Chiana", ndr]. Secondo alcune fonti, più leggendarie che scientifiche, dietro il grande affresco steso sulle pareti del Salone dei Cinquecento, nel Palazzo della Signoria di Firenze, si celerebbe l'opera leonardesca de “La battaglia di Anghiari”. "Voci prive di un riscontro documentale", ma Renzi, tempo fa, si era messo in testa di dar loro credito: “Perché la gente non vuole la verità, non ha bisogno della verità, la gente ha bisogno di sognare”. Per fortuna – commenta Scanzi – qualcuno si è opposto al folle intento di rimuovere l'esistente Vasari per cercare il chimerico Da Vinci, “questo spiega però benissimo con chi abbiamo a che fare”.

Anfit tu lid ze cauntri

Matteo Renzi, il “diversamente statista”, è un egomane, rincara la dose Scanzi, e non si vergogna di pubblicare un tweet che mostra semplicemente la sua faccia con la scritta “Io”. Crede di dare l'annuncio del salvataggio di Alitalia, assumendosene persino il merito, ma in realtà le dà il “bacio della morte” e inanella figuracce internazionali a getto pressoché continuo (si dà ampio spazio alla cliccatissima clip del suo discorso in inglese maccheronico), esattamente come ha fatto il suo predecessore arcoriano. Insomma, una replica (“ma non così disonesta”, almeno quello...) esemplificativa del medesimo, desolante, principio: il ceto dirigente italiano è di pessima qualità, completely unfit to lead the country (come scriverebbe "The Economist", o meglio: “anfit tu lid ze cauntri, shish”, come direbbe Renzi), e lo dimostrano le donne e gli uomini di bassissima levatura dei quali “i nostri indecenti leader” amano circondarsi (nella carrellata un ruolo eminente lo assume ovviamente proprio Maria Elena Boschi, alla quale vengono attribuiti tutti i fallimenti possibili, conditi dal mistero della sua perdurante sopravvivenza: “Cosa sa in realtà la Boschi, di quali segreti è depositaria per potersi permettere di essere considerata indispensabile? Chiedeteglielo, visto che adesso starà un po' qui da voi”).

Rodotà, la svolta mancata

Quando è accaduto che le cose sono cominciate ad andare così storte, così male? Da dove ha origine l'attuale mestizia? Dalla discesa in campo di Berlusconi, come minimo, ma secondo Scanzi l'Italia ha perso l'ultimo treno decisivo allorché il Parlamento, tra il 18 e il 20 aprile del 2013, bruciò la candidatura al Quirinale di Stefano Rodotà (esponente del Partito Democratico ma caldeggiato dal M5S) per favorire la rielezione dell'ex presidente Giorgio Napolitano. “Poteva essere la svolta, o almeno il segno della volontà di una rinascita, ma fu decisiva proprio la contrarietà dei democratici a bloccare tutto. A me, lo confesso, venne anche da piangere”.

Cinque punti per un possibile NOI

Chi invece non piange – anzi, incomprensibilmente ammicca o tace – sono gli “intellettuali”. Un tempo scatenati contro Berlusconi, oggi Nanni Moretti, Roberto Benigni, Vittorio Zucconi e Sergio Staino non alzano più la voce, non emettono sentenze contro il suo emulo fiorentino. Neppure il fondatore de "La Repubblica", Eugenio Scalfari, trova qualcosa da ridire sull'eventualità che il vecchio blocco di potere resuscitato insieme a Silvio Berlusconi possa essere preferito all'elezione di un giovane come Di Maio. Perché? La risposta affoga nel pessimismo più cupo, prendendo a prestito l'impietosa diagnosi dei mali della nazione che dettero due grandi vecchi come Ferruccio Parri e Mario Monicelli: “Gli italiani sono irridimibili, sempre pronti a scodinzolare dietro al nuovo ducetto”. Ma una piccola zattera, alla fine, viene lanciata nel mare di burrascoso sconforto in cui non pare affatto dolce il naufragare. Sono i cinque punti con i quali il giornalista, che ha provato a miscelare un po' di Dario Fo, Marco Travaglio e Daniele Luttazzi, chiude il suo racconto spronando il pubblico a non rassegnarsi completamente, a “credere ancora in un possibile NOI”: informatevi bene; non cedete al ricatto del meno peggio (qui Scanzi dà torto al suo modello Cacciari, che alla fine parla malissimo del PD ma poi lo vota sempre, perché “il male minore prepara sempre la strada al male maggiore”); stanate le bugie; coltivate la memoria; sterminate le false certezze con la pratica del dubbio. Bisogna “usare bene la scheda elettorale”, insomma, “e sostenere chi si è opposto al renzusconismo del Rosatellum”. Al limite “votare gli alieni”, come suggerisce alla fine del suo libro.

 

 

 

 

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Massimo Mollica Mi., 07.02.2018 - 08:53

“uno che ha la faccia di chi ha appena letto Topolino senza averlo capito” Tipica frase di un fascista travestito da giornalista (che in realtà è un opinionista e rappresenta, assieme ai politici attuali, il declino di questa nazione). Fa parte del sistema, ne più ne meno.

Mi., 07.02.2018 - 08:53 Permalink