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“Don Bosco, isola felice”

Da Gries al rione popolare, Carlotta Bonvicini nella farmacia “di famiglia”: “Qui molta umanità, la Bolzano bene è un po’ fredda. Il quartiere crescerà con i bambini”.
Carlotta Bonvicini, don Bosco
Foto: C. Bonvicini

salto.bz: Carlotta Bonvicini, come sta andando l’esperienza nel quartiere dove lei con il gruppo di famiglia ha rilevato l’esercizio del dottor Chiereghin, in piazza Don Bosco?​

Carlotta Bonvicini: Bene. La farmacia, aperta nel 1964 è ancora molto conosciuta come Chiereghin, professionista che veniva dal Veneto e ha vinto la licenza grazie ad un concorso. La gente identifica ancora il presidio con il suo nome, il dottore si è fatto volere molto bene. Era popolare soprattutto per le sue preparazioni galeniche. In Alto Adige siamo fortunati ad avere ancora richiesta e tempo e dedizione per prepararle.

Di cosa si tratta nello specifico?

Vuol dire che smetti di fare un po’ il commesso e basta, vendendo i farmaci prescritti dai medici, e ti impegni a fare qualcosa di tuo, di riconoscibile per una farmacia. Il dottore era famoso per le sue tisane, prodotti che sicuramente non sostituiscono i medicinali ma aiutano. Noi facciamo tisane per la calcolosi renale, per la prostata, la pulizia del fegato, per il raffreddore, tosse, insomma per svariate patologie. 

Da quando siete aperti come gruppo Bonvicini?​

Io l’ho rilevata e abbiamo iniziato il primo dicembre 2017, da oltre un anno. La società è mia e di mio fratello Matteo Paolo. Siamo entrambi farmacisti essendo in famiglia, da varie generazioni, professionisti in questo settore. Aveva iniziato mio bisnonno Luciano.

La nostra famiglia ha origini per metà di qui e per metà trentine, della val di Non. Il mio bisnonno Luciano Bonvicini, primo sindaco di Bolzano nel dopoguerra, ha aperto nel 1935 la farmacia San Quirino. Oggi siamo alla quarta generazione con i miei fratelli Matteo Paolo e Alessandro

Com’è la genealogia dei Bonvicini, molto conosciuti a Bolzano e in Alto Adige sia per le farmacie che per le cliniche?

La nostra famiglia ha origini per metà di qui e per metà trentine, della val di Non. Il bisnonno Luciano Bonvicini, farmacista, che è stato anche il primo sindaco di Bolzano nel dopoguerra, ha aperto nel 1935 la farmacia San Quirino. È però mancato molto giovane, lasciando le redini a mio nonno, Alessandro, e all’altro figlio Giancarlo, zio di mio padre. È stato proprio mio nonno, una persona che vedeva molto avanti, a fondare la casa di cura Bonvicini, poi passata a mio padre Paolo che è radiologo e ne è il direttore. 

Ora siete alla quarta generazione.

Sì, ci siamo io e mio fratello più grande Matteo Paolo, entrambi farmacisti, e l’altro nostro fratello Alessandro - i nomi, lo dico divertita, spesso si ripetono - ha studiato economia e si occupa della parte commerciale. Siamo alla quarta generazione perché anche mia madre, Daniela Fridel in Bonvicini, di famiglia originaria di Rovereto, aveva preso le redini per un certo tempo del presidio.

Per me Don Bosco è un’isola felice. I clienti passano per fare due chiacchiere con il farmacista, mi sembra di essere in un paesino. Mi piace molto perché instauri rapporti personali, che a me danno molto per come sono fatta io, che non sto solo a venderti qualcosa.

Come vede Don Bosco, dal complesso Ipes dove è situata la farmacia?​

Devo dire che da via Druso e via Roma a qui la gente spesso si ripete, vedo in parte le stesse persone perché sopra la farmacia a San Quirino c’è un ambulatorio con medici di base che richiamano pazienti da tutti i quartieri. In questa piazza tuttavia ci sono tante persone che vivono a pochi passi. Mi ha colpito che in tanti sono affezionati alla farmacia e hanno pazienza, mentre a San Quirino spesso i pazienti hanno fretta, anche per l’attesa che hanno vissuto agli ambulatori. 

Un’atmosfera più rilassata?​

Per me è un’isola felice. I clienti passano per fare due chiacchiere con il farmacista, mi sembra di essere in un paesino. Mi piace molto perché instauri rapporti personali, che a me danno molto per come sono fatta io, che non sto solo a venderti qualcosa. Si valorizza anche la figura del farmacista, che è un ruolo di servizio e che infatti in Francia stanno pensando di potenziare.

 

Isola felice, ma ci sono anche dei problemi sociali associati al rione?

Tante persone che incontro, a cui dico Don Bosco, strabuzzano gli occhi e dicono: ma come ti trovi, non è pericoloso, non c’è gente brutta? Ma non è affatto così.

Tante persone che incontro, a cui dico Don Bosco, strabuzzano gli occhi e dicono: ma come ti trovi, non è pericoloso, non c’è gente brutta? Ma non è affatto così. Abbiamo tante mamme e persone che vivono qui vicino

La Bolzano bene, se così si può dire, resta meravigliata?​

Tutti mi chiedono: come ti trovi? Ma qui non c’è nessun problema. Al di là che la farmacia viene frequentata da anziani e da tanti che vengono da altre parti d’Italia e si erano trasferiti a Bolzano negli anni Settanta per lavorare nelle fabbriche. Poi ci sono tante mamme. Non direi certo che sia una brutta clientela, pericolosa. Se poi si pensa ad una frequentazione di persone che hanno magari dipendenze da sostanze, mi pare che oggi nel rione sia un problema di pochissimi individui, che si contano su una mano.

I rapporti umani sono quindi importanti nel quartiere?

Sì, per l’umanità delle persone che sono magari più umili, ma che vengono in farmacia avendo in te tanta fiducia. Poi devo dire che all’inizio erano spaventati, chiedevano del dottor Chiereghin e non lo trovarano. Magari pensavano oddio arrivano i Bonvicini, la famiglia ricca, ma grazie al lavoro di mio padre e mia madre, sempre persone serie, che hanno fatto bene il loro lavoro offrendo servizi ottimi, in casa di cura o per la fisioterapia, siamo stati accettati bene. Devo dire grazie ai miei genitori che non hanno mai fatto passi falsi. Io poi sono poco conosciuta, sono la più giovane, faccio 29 anni a giugno. Mi dicono ‘ah sei anche tu una Bonvicini’: ma poi mi apre le porte il fatto che mio padre è molto rispettato in città, tutti hanno grande considerazione di lui.

La Bolzano di Gries è un po’ più fredda, pretende di più. In Don Bosco invece basta una parola detta bene, un sorriso, e la gente è soddisfatta

La Bolzano di Gries è più fredda?​

Io vengo da piazza Mazzini e sì, è un po’ più fredda, pretende di più. In Don Bosco invece basta una parola detta bene, un sorriso, e la gente è soddisfatta. Tutti qui mi hanno accolto con molta energia positiva, dalla merceria al bar a fianco con cui abbiamo un ottimo rapporto.

Cosa si può fare per migliorare il quartiere, ridurre la distanza con il centro?​

Si parla di una linea del tram, fino in Don Bosco. La città di Bolzano è piccola e fa ridere che sia divisa, però è bello anche che uno si senta di appartenere ad una sua zona e la difenda. Nel quartiere si stanno muovendo molto per le famiglie. È una cosa bella. Per il carnevale hanno fatto una sfilata, non penso l’abbiano fatta a Gries. Poi concerti, mercato, c’è un tessuto attivo, di associazioni.

Questo quartiere ha un senso di appartenenza e di identità ed è una cosa positiva. Si sta rafforzando molto con le famiglie, su questo deve puntare. Ha anche tante scuole e tanti parchi, che sono una risorsa. C’è tutto il necessario.

Cosa serve in più?

Per i collegamenti sono la persona sbagliata a cui chiederlo, io mi muovo sempre in bicicletta, da piazza Mazzini dove vivo ci metto 10-12 minuti. Non saprei dire, è un quartiere che ha tutto, servizi, supermercati, tutte le comodità. 

Un po’ di immagine migliore?​

Si sta rafforzando molto con le famiglie, su questo dovrebbe puntare. Ha anche tante scuole e tanti parchi, che sono una risorsa. C’è tutto il necessario.