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Gesellschaft | Avvenne domani

La banalità dell'odio

Alzando gli occhi, verso una montagna.

Scusate tanto se questa volta non parlo di doppi passaporti, di nomi bilingui o di feste consacrate. Scusate tanto se non scriverò parole indignate per il Natale che inizia a metà autunno o per un tram che si chiama desiderio. Scusate tanto se salterò a pié pari anche le imprese del monociclista tatuato che ha inaugurato la campagna elettorale venendo a scoprire che a Bolzano si spaccia.

Vorrei parlarvi, questa volta, di una donna.

Non so e non voglio sapere quale sia la struttura che l'ha accolta, nei giorni scorsi, non appena per lei si sono aperte le porte del carcere. Ora le finestre della stanza dove vive non hanno più le sbarre, ma è una differenza di assai poco conto per chi la sua condanna se la porta appresso come un basto infinitamente  pesante. E così da quando, nella sua mente, la confusione e l'oblio hanno dovuto far posto alla consapevolezza di aver soppresso la creatura che aveva appena partorito.

I fatti, per chi non li ricordasse, sono pochi e chiari al tempo stesso. Nelle campagne vicino a Lana il ritrovamento di un neonato ucciso a poche ore dalla nascita. La puerpera, subito rintracciata, è una lavorante dell'Europa dell'est, venuta per la raccolta delle mele nonostante fosse arrivata al termine della gravidanza.

L'assassina è arrestata, il caso è risolto. Come ormai avviene con allucinante regolarità, la tempesta mediatica si scatena. Gli insulti diretti sono conditi con raffinate analisi sociologiche e antropologiche sulle scarse attitudini materne delle madri di quelle terre neppur troppo lontane dalla nostra.

Quanto alla colpevole è giudicata e condannata nel volgere di un post. La stampa emette già la sentenza: "Ergastolo". I soliti buonisti si accontentano di una galera prolungata dove la genitrice snaturata dovrà inevitabilmente "marcire" secondo uno schema mentale che ormai è diventato un terribile luogo comune.

Eppure….

Eppure sarebbe bastato che coloro che anche solo virtualmente si soffermavano sul sentiero dove la sventurata creatura, che non è riuscita nemmeno ad emettere il primo vagito, è stata ritrovata avessero alzato gli occhi. Avessero guardato la montagna sovrastante. Su quella montagna c'è un paese. Non ne faremo neanche il nome perché l'oblio in questi casi è un diritto assoluto. Ma c'è, in quel paese, una casa con un balcone. Anni or sono, non troppi, da quel balcone un'altra madre non meno sconvolta e disperata si gettò con la sua creatura, nata da poco, in braccio. Un volo fatale per il bimbo mentre la madre, purtroppo per lei verrebbe da dire, sopravvisse.

Sarebbe bastato alzare gli occhi e ricordare, senza nemmeno bisogno di andare a consultare la terribile e sterminata casistica degli eventi che coinvolgono le donne che hanno appena messo al mondo una vita e che, per motivi che la scienza prova ad indagare, sono a volte così disperatamente smarrite da provare l'irresistibile tentazione di sopprimerla. Una volta, agli albori delle scienze che studiano la mente umana, la chiamavano pazzia puerperale. Nel frattempo sono cambiate le tecniche di analisi e le denominazioni ma il dramma terribile resta lo stesso e si ripete.

Quella donna, lassù, in quella casa sulla montagna non fece allora nemmeno un giorno di prigione. Erano altri tempi e le iene dattilografe non potevano ancora esercitarsi nell'odio da tastiera. Nessuno disse nulla e alcuni cercarono addirittura di capire perché il giudice non l'avesse mandata a marcire per sempre in una cella.

Siccome la giustizia si muove per comportamenti coerenti sarebbe bastato poco per capire che anche la donna di Lana difficilmente sarebbe stata sottoposta ai patimenti che per lei la banda dei forcaioli invocava con alte grida.

Sarebbe bastato alzare gli occhi.