Wirtschaft | Gastbeitrag

Tutti i lavoratori che mancano

Uno spettro si aggira per l’Alto Adige, la carenza di manodopera qualificata: è un ostacolo o un segno d’incapacità?
Saldatore
Foto: Nate Johnston/unsplash

Uno spettro si aggira per l’Alto Adige: lo spettro della carenza di manodopera qualificata. Nonostante “tutti” gli sforzi – almeno presunti – da parte dei datori di lavoro, ad oggi la scarsità di personale specializzato tormenta l’Alto Adige. La mancanza di lavoratori qualificati porta a un calo della produttività perché i datori di lavoro non riescono ad assumere i candidati migliori, ma devono accontentarsi della seconda o terza scelta. E il futuro appare tutt’altro che roseo: secondo i calcoli della Ripartizione Lavoro della Provincia autonoma di Bolzano, in Alto Adige nel 2035 mancheranno circa 60.000 lavoratori. 

 

Cosa verrà meno: le opportunità di lavoro o la manodopera qualificata? 

 

In Alto Adige il dibattito si sta incanalando in una discussione scientifica nella quale si contrappongono due scuole di pensiero. Da una parte i “critici della tecnologia” affermano che il cambiamento digitale porterà alla razionalizzazione, e conseguente perdita, di circa la metà delle figure professionali oggi conosciute e quindi alla disoccupazione di massa. Vale a dire: ci mancherà il lavoro. Dall’altra ci sono i “feticisti delle piramidi”, che con piramidi demografiche, tassi di natalità e aspettative di vita alla mano calcolano quanto calerà il potenziale della forza lavoro nei prossimi anni. In poche parole, mancheranno i lavoratori. Dovrebbe apparire chiaro anche al lettore meno ferrato in materia che le due posizioni sono diametralmente contrapposte.

 

Dietro a ciò si nasconde anche una strategia

 

La situazione si svilupperà in qualche modo tra questi due estremi. Tuttavia, lasciando da parte i giochi con i numeri, il tema ha anche un’altra dimensione, ovvero quella della lotta di classe e della distribuzione della ricchezza. Le leggi dell’economia di mercato ci insegnano che la scarsità di un bene ne fa aumentare il prezzo. Se si osserva la carenza di personale qualificato sotto questa luce, le imprese dovrebbero attirare e trattenere i propri collaboratori con stipendi più alti e migliori condizioni di lavoro. Uno scenario molto favorevole per i lavoratori e i sindacati. 

Ad oggi la scarsità di personale specializzato tormenta l’Alto Adige

Se però non si vuole aprire il rubinetto degli stipendi o delle condizioni di lavoro bisogna cercare di aumentare l’offerta di forza lavoro, o attivando un numero maggiore di lavoratori specializzati locali (ad es. donne “inattive”, prepensionati) o, più semplicemente, attirandoli da fuori provincia. Quest’idea piace alle associazioni di categoria economiche e, attualmente, anche all’attuale maggioranza politica. Evidentemente non sono noti a sufficienza i pericoli che possono derivare dalla scelta poco ponderata di questa seconda opzione, per giunta senza interventi ausiliari. Devono essere considerati aspetti quali la competitività economica, l’incrocio tra domanda e offerta sul mercato del lavoro e, non per ultimi, l’integrazione nella comunità e la pace sociale. 

 

Dal feticismo delle piramidi all’equilibrio tra domanda e offerta

 

L’allungamento della durata media della vita e il calo del tasso di natalità portano a un minor ricambio di lavoratori e allo snellimento della piramide demografica. Se si proietta nel futuro questo sviluppo si comprende facilmente di quanto il potenziale di forza lavoro in Alto Adige si ridurrà da oggi al 2035. Fare una stima del fabbisogno di lavoratori è già più difficile. Presupporre una crescita annuale dell’occupazione dell’1% fino al 2035 (fonte: Ripartizione Lavoro), anche se non è azzardato, è del tutto arbitrario. In primo luogo, la congiuntura non si sviluppa in modo lineare, ma ciclico. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e l’aumento della produttività frenano la domanda di personale. Infine, nuove forme di lavoro, come l’economia delle piattaforme, che consentono di lavorare senza essere vincolati a orari e luoghi, non richiedono necessariamente la presenza fisica del collaboratore sul territorio altoatesino. La stima che nel 2035 in Alto Adige mancheranno fino a 60.000 lavoratori è molto approssimativa e rischia di indirizzare in modo errato la politica del mercato del lavoro. L’Alto Adige non ha bisogno di quantità, ma di qualità. 60.000 lavoratori sono lontani dal garantire l’incrocio tra domanda e offerta, ovvero che ci sia a disposizione sufficiente personale con la formazione e le competenze richieste. 

 

Non siamo gli unici ad avere questo problema

 

Un altro guaio: non siamo gli unici in Europa a doversi confrontare con uno scarso ricambio di lavoratori. Tutti gli stati avanzati si trovano in una situazione paragonabile. L’Alto Adige è dunque in competizione, soprattutto con i paesi di lingua tedesca, per aggiudicarsi giovani talenti e forza lavoro specializzata. In futuro tutte le economie nazionali moderne dovranno adeguarsi a un minor numero di lavoratori. Il punto cruciale sarà perciò raggiungere una prestazione economica paragonabile a quella di oggi, ma con minori risorse umane. Ciò può funzionare soltanto con un aumento della produttività del lavoro, dunque utilizzando meglio le risorse disponibili. In linea di principio si tratta di sapere impiegare al meglio le nuove tecnologie (tecnica digitale, intelligenza artificiale, robot, automazione), i metodi di produzione e di lavoro e le conoscenze. L’aumento della produttività media del lavoro deve essere posto in cima alla lista delle priorità, poiché solo così si potrà garantire la competitività a livello internazionale delle aziende altoatesine. Un’offensiva per la produttività ha dunque la precedenza su tutte le altre misure di politica economica. 

 

Una nuova forma mentis

 

Avere “molti” lavoratori non sarà dunque così importante come avere quelli “giusti”. A tal fine sarà fondamentale il sistema di istruzione e formazione, che deve essere pensato tenendo conto di biografie occupazionali diverse dal passato e più fragili. In sostanza ciò significa che, in determinate circostanze, dovremo prepararci a svolgere lavori anche differenti nel corso della nostra vita lavorativa. Il sistema di formazione altoatesino dovrà adattarsi al fatto che una buona parte dei partecipanti ai corsi avrà più di 50 anni; ai tirocini prenderanno parte anche quarantenni che vorranno o saranno costretti a cambiare carriera. Accanto a un sistema di educazione pubblico di elevato standard – e in Alto Adige possiamo già andarne fieri – acquisterà grande importanza la formazione degli adulti. I percorsi educativi e il sistema scolastico devono diventare più permeabili per permettere la mobilità formativa e professionale. Soprattutto, però, serve una nuova forma mentis, un cambiamento nella mente delle persone: la formazione continua non deve venire relegata agli anni della gioventù, ma essere un obiettivo da perseguire per tutta la vita.

L’Alto Adige non ha bisogno di quantità, ma di qualità

Di conseguenza, lo sforzo di fornire una formazione il più specifica possibile, ovvero secondo le esigenze del momento, sarà accantonato. In primo luogo, perché le aziende non sono evidentemente in grado di formulare i loro piani di assunzione del personale su un orizzonte temporale che superi i 12 mesi, il che espone il sistema educativo al rischio di agire in continua “rincorsa” dei bisogni espressi dalle imprese. È dunque meglio fornire una formazione ampia e dare ai giovani un bagaglio di competenze così che, dopo la formazione di base, possano muoversi autonomamente e ben equipaggiati sul futuro mercato del lavoro. 

 

Reclutare e assicurarsi collaboratori qualificati

 

Rimane ancora il problema di come assicurarsi collaboratori qualificati. Un’azienda che non ha difficoltà ad assumere sufficiente personale, e che inoltre riesce ad assicurarsene anche di ben formato, può essere fiera di sé; questa è infatti la miglior prova che il clima lavorativo e le condizioni salariali e contrattuali sono adeguati. Al contrario, chi al momento si nasconde dietro alla “carenza di forza lavoro specializzata” è invitato a interrogarsi sui motivi della scarsità di candidati; ad esempio: l’azienda è sufficientemente attrattiva sul mercato del lavoro? Se non è così, si deve pensare a migliori condizioni lavorative e retributive, e in Alto Adige si deve lavorare su un partenariato sociale che non funzioni soltanto nelle chiacchiere domenicali e al buffet comune. Oppure: l’impresa si presenta male? In questo caso devono essere messi in luce i suoi punti di forza. Evidentemente, i paesi confinanti sono un passo avanti a noi nel reclutamento di personale specializzato. La professionalizzazione del processo di reclutamento sarebbe una misura degna di essere sostenuta con finanziamenti pubblici, a tutto vantaggio delle aziende altoatesine. 

 

Più aiuti mirati, mettendo al centro il beneficio per la collettività 

 

Come è apparso chiaro di recente, l’Alto Adige non riesce a trattenere i suoi cervelli a favore dell’estero, e attira forza lavoro poco qualificata. Dal punto di vista della produttività generale, un simile sviluppo è preoccupante. Ciò significa che l’Alto Adige regredisce, anziché svilupparsi. Con ciò saremmo giunti alla questione fondamentale: in che direzione andrà in futuro l’economia altoatesina? Quanto possiamo indirizzare il suo sviluppo con misure di politica economica? Siamo sicuri che l’attuale struttura dei settori e la dimensioni delle imprese siano adatte al domani? Ad esempio, l’Alto Adige vorrà continuare a permettersi 20.000 imprese individuali? Non sceglierà forse di rimediare alla scarsità di imprese di medie dimensioni (tra i 10 e i 30 collaboratori)? È anche urgente una maggiore differenziazione dei sussidi economici, che dovrebbero essere subordinati all’interesse comune. Chi amministra denaro pubblico deve sentirsi nell’obbligo di utilizzarlo in modo da raggiungere gli sviluppi desiderati dalla società: imprese che paghino adeguatamente i dipendenti, che si mostrino socialmente responsabili, che lavorino in modo ecologicamente sostenibile. L’attuale sistema di contributi deve cedere il passo ad un verso sistema di aiuti mirati. Al bando, dunque, i contributi forfettari e si faccia largo a una maggiore differenziazione, anche all’interno dello stesso settore. “I contadini” non sono tutti uguali: ce ne sono di più o meno meritevoli di ricevere sussidi a seconda del loro contributo alla collettività. Una maggiore differenziazione è il giusto contrappeso al populismo, che offre soluzioni semplici a problemi complicati. Chi non riesce ad indirizzare lo sviluppo viene meno al suo mandato. Chi, però, ci riesce, può porre le basi per creare una delle regioni più attrattive d’Europa.

 

 

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Matthias Wallnöfer Sa., 11.01.2020 - 17:09

> Se però non si vuole aprire il rubinetto degli stipendi o delle condizioni di lavoro bisogna
> cercare di aumentare l’offerta di forza lavoro, o attivando un numero maggiore di
> lavoratori specializzati locali...
Da sind wir halt wieder bei einem großen Dilemma in Südtirol: Die Sozialabgaben sind derart hoch, dass die Nettolöhne viel zu niedrig ausfallen. Das macht uns im Vergleich zum deutschsprachigen Ausland unattraktiv, von Immobilienpreisen wollen wir erst gar nicht reden. Aufgabe der Politik müsste es sein, auch hier endlich mal Autonomiebefugnisse einzufordern, um diese Nettolöhne zumindest etwas zu erhöhen, ohne dass den Arbeitgebern Mehrkosten entstehen.

Sa., 11.01.2020 - 17:09 Permalink
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Karl Trojer Sa., 11.01.2020 - 17:38

Come Caritas parrocchiale di Terlano ci impegniamo per l´integrazione di rifugiaschi. Cerchiamo un posto di lavoro per un giovane, fuggito dalla Nigeria a causa dell´aggressione degli jiadisti contro i cristiani. Egli possiede un permesso di soggiorno pluriennale, una patente di guida di carrelli elevatori e di piattaforme mobili, ha ca. 35 anni, comprende e parla l´italiano ed è una persona affidabile e gentile. Speriamo di trovargli un posto di lavoro ! Siamo contattabili sotto la e-mail [email protected]

Sa., 11.01.2020 - 17:38 Permalink
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Steuer Zahler Sa., 11.01.2020 - 21:36

Ich glaube, man müßte zu diesem Thema endlich die Dinge etwas plakativer, einfacher und klarer darlegen. Denn die mehrfachen Datenanalysen zeigen seit vielen Jahren eine sehr einfache Tatsache auf, nur wollen weder die Unternehmer und Arbeitgeber noch die SVP nicht, dass diese Tatsachen in den Medien veröffentlicht und diskutiert werden.
Tatsache ist, dass ein frisch gebackener Ingenieur oder IT-ler in München mit einem Jahresgehalt von €45'000 oder mehr beginnen. Derselbe Ingenieur oder IT-ler kriegt nach der Uni in Südtirol hingegen nicht einmal 30'000 Anfangsgehalt, obwohl die Lebenshaltungskosten in Südtirol sogar höher sind als in München. Wer in Bozen eine Wohnung mieten will, und nicht in St. Jakob, Leifers oder Siebeneich, der weiss das genau. Der Einkauf im Supermarkt ist in Bozen teurer als in München in der Kaufinngerstrasse. Zudem erhält der Angestellte in Deutschland vom Arbeitgeber eine Einzahlung von 3-5% des Bruttolohns in den Pensionsfond und eine Versicherung für ärztliche Spesen und Leistungen. Selbst in Mailand kriegt ein Ingenieur oder ein IT-ler mehr als in Bozen, und die Wohnungsmieten und Supermärkte sind billiger als in Bozen. Wer diese Tatsachen verneint, ist ein Heuchler oder verkennt Tatsachen. Denn die Parkplätze der Supermarktketten in Innsbruck, Sillian, Trient und Verona sind an jedem Wochenende voll von Autos mit Bozner "targa".
Der Eindruck ist: Die Südtiroler Unternehmer möchten ihre Mitarbeiter nach wie vor ca. die Hälfte der Deutschen oder Österreicher bezahlen, und somit billiger produzieren, sie exportieren gleichzeitig den Großteil der Produktion nach Deutschland und Österreich, und streichen dort die höheren ausländischen Preise ein. Dieses Spiel haben sie jahrzehntelang gemacht, und jetzt klagen sie, dass es nicht mehr funktioniert, weil die Südtiroler Arbeiter (endlich!) gleich mobil sind wie die Produkte der südtiroler Unternehmer. Die jungen, fähigen oder erfahrenen Arbeiter gehen dorthin, wo sie für dieselbe Arbeit (oft auch mit mehr Freizeit und mehr Urlaubstagen als hier) und mit denselben Lebenshaltungskosten doppelt soviel als hier kassieren.
Eine Erhöhung der Löhne für qualifizierte Fachkräfte in Südtirol um 20-30% ist überfällig: Wenn die südtiroler Unternehmer dies nicht wollen, dann sollen sie bitte endlich mit diesem leidigen Gejammere, heuchlerischen Wehklagen und pietätsvollem Opfergehabe aufhören. Diese "Sumprer" wissen ganz genau, woran die Knappheit der guten Mitarbeiter hier liegt, sie wollen ganz einfach nicht den Preis des internationalen Arbeitsmarktes zahlen, aber sie wollen sehr wohl die internationalen Preise für ihre Produkte kassieren. Sie kutschieren ja alle in kostspieligen Autos herum, ich höre oder lese aber kein Gejammere über die teuren Preise ihrer Oberklasse-Schlitten von BMW, Mercedes, Audi usw. Entweder sie entschliessen sich, einen Teil ihres Profits an die Mitarbeiter abzugeben, oder die Arbeiter holen sich diesen Teil von irgendeinem Unternehmen in Deutschland, Österreich oder Norditalien. Die dortigen Unternehmer sind offensichtlich bereit, für fähige Mitarbeiter den Preis der internationalen Konkurrenz zu zahlen.

Sa., 11.01.2020 - 21:36 Permalink
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19 amet So., 12.01.2020 - 11:58

Antwort auf von Steuer Zahler

Sie reden immer nur von den Nettolöhnen, vergessen also vollkommen die Sozialabgaben. Dass bei diesen ein enormer Unterschied zu Lasten Südtirols besteht ist Ihnen anscheinend unbekannt. Wer soll diese Differenz bezahlen? Der Markt wird es nicht, die Unternehmer auch nicht, ohne mit Verlust zu arbeiten, also? Übrigens, die Sozialneidparolen von den "grossen Schlitten" könnten Sie sich ersparen. Die Kostendifferenz zwischen einem grossen, sicheren, Auto für ihre wichtigsten Leute , und einem Kleinwagen ist bei einem Unternehmen eine zu vernachlässigende Grösse.

So., 12.01.2020 - 11:58 Permalink
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Profil für Benutzer Steuer Zahler
Steuer Zahler So., 12.01.2020 - 16:45

Antwort auf von 19 amet

Zur Klarstellung: Ich arbeite als leitende Führungskraft in einem größeren Unternehmen, habe über 10 Jahre lang in Deutschland gearbeitet, ebenso über 10 Jahre als Manager in Südtirol, seit kurzem wieder außerhalb Südtirols - Sie dürfen raten warum. Die Arbeitsmärkte in Deutschland und Italien kenne ich sehr gut und informiere Sie demnach, dass der Unterschied der Lohnnebenkosten zwischen Südtirol und Bayern va. 10% ist, je nach Industriesektor und Einstufung, Ich sprach zudem von Bruttolöhnen und nicht netto. Wenn ein Südtiroler Unternehmer also erfolgskritische Mitarbeiter holen oder halten will, dann fallen die 10% Unterschied an Lohnnebenkosten absolut nicht ins Gewicht. Im Gegenteil: Ohne diese Mitarbeiter wird weniger, weniger gut oder langsamer produziert. Da ich selbst Mitarbeiter in Deutschland und in Italien angestellt und geführt habe, sehe ich den, wie Sie schreiben, “enormen Unterschied” nicht als kausalen Grund für die mangelnde Bereitschaft, attraktive Löhne für gute Mitarbeiter zu zahlen.
Bzgl. Sozialneid: Ich fahre selbst einen sehr teuren Mercedes-SUV. Mein Thema zu den teuren “Schlitten” soll nur aufzeigen, dass ein Unternehmer überlegen kann, ob in 4 Jahren €50000 mehr für gute Mitarbeiter oder für ein teures Auto aufzuwenden. Ein Octavia “familiare” kostet fürs Unternehmen ca. € 600 / Monat Leasingrate, ein X5, Q7, Porsche Cayenne hingegen € 1500-2000 / Monat. Über 4 Jahre (übliche Leasingdauer) macht das einen Unterschied von mehr als € 50000. Natürlich geht es fast keinem hiesigen Unternehmen so schlecht, dass es zwischen Lohnerhöhung oder teurem Auto für den Chef entscheiden müßte. In Wirklichkeit muss entschieden werden, die Personalkosten für einen Teil der Mitarbeiter zu erhöhen und den Firmengewinn kurzfristig dementsprechend zu kürzen. Schon mittelfristig wird das Unternehmen diese Mehrkosten wieder einholen.
Also, wenn man nur wollte, dann ginge es. Man darf sich nur nicht hinter bequemen stereotypischen Argumenten verstecken.

So., 12.01.2020 - 16:45 Permalink
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Profil für Benutzer Daniel Pietra
Daniel Pietra Mo., 13.01.2020 - 08:39

Antwort auf von Steuer Zahler

Guter Beitrag ! Gerade wenn es um sog. hochqualifizierte Arbeitskräfte geht finde ich Ihre Analyse zutreffend. Junge Südtiroler verlassen das Land für Ihr Studium, nur um nie wieder zurückzukehren sobald sie merken wie sehr man sie hierzulande über den Tisch ziehen möchte.
Da nützt auch die ganze Dauerpropaganda nix.

Mo., 13.01.2020 - 08:39 Permalink
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Profil für Benutzer Sepp.Bacher
Sepp.Bacher So., 12.01.2020 - 22:37

Antwort auf von Steuer Zahler

" Die dortigen Unternehmer sind offensichtlich bereit, für fähige Mitarbeiter den Preis der internationalen Konkurrenz zu zahlen." Ähnliches gilt ja auch für das Pflegepersonal. Hiesige Claudiana-Absolventinnen finden z. B. in der Deutschschweiz, in Baden-Würtemberg oder Bayern schnell eine Anstellung zu viel besseren Bedingungen.

So., 12.01.2020 - 22:37 Permalink