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Dov’è nato il Loden?

Esce con Alpha Beta Verlag la storia della fabbrica tessile e di articoli sportivi con sede a Merano dal 1952 al 2002: "Donne della Merlet"
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Foto: Elfi Reiter

E per decenni il centro del Loden era Merano! Qui venivano disegnati e confezionati i famosi cappotti, qui centinaia di operaie cucivano maniche e colli e stiravano la famosa piega che dava a questo indumento il suo tipico inconfondibile carattere. Erano le operaie della Merlet!” Inizia così il volume dedicato a una storia di industria meranese appena pubblicato da Edizioni Alpha Beta Verlag, Donne della Merlet. Eine Meraner Industriegeschichte. Leben & lotta operaia a cura di Toni Colleselli e Sonja Steger. Sin dal titolo bilingue si deduce che anche di un libro bilingue si tratta. Infatti, a parte che la “mission” dell’editore è sin dalla sua nascita quella di pubblicare libri indirizzati a entrambe le culture, questa storia di una fabbrica essendosi svolta a Merano, città in cui da sempre le due lingue sono praticate, quotidianamente, l’una accanto - o assieme - all’altra, ha da essere raccontata in entrambe le lingue. La Merlet era nata come negozio di articoli sportivi in Piazza del Grano a Bolzano per mano dello sportivo Erwin Merlet nel 1925 e negli anni trenta, prima di morire nel 1939, colui che era anche pittore e scrittore vendette negozio e marchio all’amico Paul Oberrauch, il quale trasferì il tutto a Merano. A Maia Alta, per la precisione.


Alla presentazione del libro al pubblico presso l’Urania la sala pullulava di ex operaie, ansiose di sentir parlare della “loro” fabbrica. Dopo un omaggio letterario di Patrizio Zindaco, la parola era passata a Enzo Nicolodi che si autodefinisce “lo stimolatore” di una ricerca iniziata ben sei anni fa con la raccolta di foto e memorie orali di alcune donne, poi elaborate sotto forma di brevi testi pubblicati nel libro e di un breve fotoromanzo che narra le tappe storicamente importanti, nel tipico stile di quegli anni, i sessanta e settanta. Nicolodi ha espresso un caloroso e filosofico “grazie” alle donne lavoratrici alla Merlet, avendo loro saputo donare un accento femminile alla città, proprio attraverso i ruoli multipli svolti da molte di loro (che per altro tuttora le donne svolgono): madri, mogli, casalinghe e libere professioniste. “Senza la Merlet, saremmo tutti un po’ più poveri, storicamente, socialmente, sindacalmente”. Sì, non va sottovalutata l’energia che può sorgere a livello individuale e anche collettivo quel ricordare il proprio passato. È fondamentale tornare sui propri passi anche nelle (più o meno grandi) comunità per rivivere alcuni aspetti e rincontrare pezzi di vita, ha detto Nicolodi, personaggio molto attivo nella cultura meranese, citando una massima filosofica che promette che “è come innamorarsi per la prima volta”! Abbiamo il diritto e il piacere di raccontare chi eravamo (forse anche il dovere?) per far comprendere alle generazioni giovani pezzi di storia vicini e processi di trasformazioni sociali.


C’erano non pochi brividi caldi in sala quando al ritmo di musiche dell’epoca scorrevano le foto storiche montate in un bellissimo filmato a cura dello stesso Nicolodi (del 2015) per visualizzare quella storia, dal lavoro di cucito al nuovo stabile in via Toti, dai cartellini timbrati ai momenti di tempo libero, dallo sciopero e l’occupazione nel 1982 alla chiusura definitiva nel 2002, quando il marchio venne venduto alla Salewa, soprattutto per il famoso Loden. Si percepiva che quel lavoro era parte della loro vita, e che l’occupazione fu “partecipata”, nel vero senso della parola: ne scrive un bell’articolo Grazia Barbiero De Chirico, consigliera provinciale e regionale dal 1979 al 1988, che aveva seguito da vicino la vicenda, anch’ella presente in sala.


Quel “Loden” che in terra germanica era pari a un abito montanaro, nel resto del mondo era molto amato, soprattutto dopo il 1956, anno in cui le Olimpiadi invernali si erano svolte a Cortina. Nella cultura italiana era ed è sinonimo di serietà, non a caso lo portavano politici come Giulio Andreotti o Mario Monti, ma anche personaggi dello spettacolo, come l’attore tedesco Helmut Berger (chi non lo ricorda nei panni di Ludwig II nell’omonimo film di Luchino Visconti?) e il danzatore sovietico Nureyev. E oggi, che fine hanno fatto i cappotti loden della Merlet? C’era una persona in sala che ne poteva sfoggiare uno: Christian Troger, autore del contributo sulla lotta sindacale dall’accattivante titolo Arbeiterinnen entwaffnen Direktor. Gewaltfrei (Operaie disarmano il direttore. In modo pacifico).    

 

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Sepp.Bacher So., 09.02.2020 - 13:30

Interessante Geschichte an der auch ich 3 Monate lang habe teilnehmen können. Als junger Schneidergeselle ging auch ich zur Merlet - aber nur als Übergangslösung. Ich musste Lodenbahnen für das Zuschneider vorbereiten und verdiente dabei mehr, wie als Schneidergeselle beim Meister. Am Abend war ich aber auch sehr müde, manchmal fühlte ich mich erschlagen.
Die Näherinnen waren vorwiegend Italienerinnen; es gab aber auch Frauen aus der Umgebung. Es gab sehr viele Krankheits-bedingte Ausfälle, was den den Fabrikdirektor sehr störte, mich aber nicht wunderte. Denn für fast alle Frauen ging die Arbeit zu Hause weiter - bei Kindern, Mann und Familie. Ich konnte mich ausruhen. Ich habe mich in dieser Zeit nie richtig mit diesem Betrieb identifiziert und war froh, wieder weg gehen zu können. Viele Frauen hatten diese Wahl aber nicht.

So., 09.02.2020 - 13:30 Permalink