Chronik | Covid-19

Europa al bivio

Il Covid-19 è riuscito in quello che non sono riusciti a fare politici, economisti e sovranisti: in tre settimane ha sconvolto la Comunità europea.
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Foto: Coronavirus_Pixabay

Sono saltati i dogmi dell’ultimo decennio. Dal pareggio di bilancio e dal patto di stabilità siamo passati al debito senza vincoli e agli aiuti di Stato. Hanno di fatto fallito sia il pensiero neoliberale, che la sua grezza logica di mercato. Per Margaret Thatcher non esisteva la società, mentre per Reagan lo Stato non era la soluzione al problema, lo Stato era il problema.

Così la mano pubblica ha fatto spazio al libero mercato. I mercati finanziari sono stati deregolamentati, le attività statali sono state vendute e le imposte per i ricchi sono state ridotte.

Ma la crisi del Coronavirus dimostra che il "libero mercato" è una finzione. I mercati possono sopravvivere solo se sostenuti dallo Stato. I mercati finanziari in caduta libera si sono stabilizzati solo grazie alla Banca Centrale, che pompa miliardi di euro nel sistema bancario e perché i Governi intervengono con ammortizzatori sociali per sostenere i lavoratori e con poderose misure a favore delle aziende in difficoltà.

I mercati hanno bisogno di un futuro prevedibile. E deve essere anche affidabile. Ma come è evidente in questa crisi il futuro non può essere pianificato, perché la storia dell’umanità è costellata di eventi imprevedibili. Non c'è quindi alternativa alla solidarietà che solo le istituzioni pubbliche possono fornire.

L’illusione che ha messo l'individuo al centro di tutto non ha retto ai tempi del Covid-19. Questo fatto prova che il nostro destino è legato a quello dei nostri concittadini. E anche il capitalismo funziona solo quando è supportato, regolato e a volte salvato da uno Stato forte.

Questa crisi è diversa da quella del 2008. Non era mai accaduto che il mondo improvvisamente si fermasse per la circolazione di un agente patogeno. Covid-19, nonostante gli ammonimenti degli scienziati, ci ha colti impreparati e molto più fragili e indifesi, forti della convinzione di poter governare qualsiasi sfida, grazie alla scienza e alla tecnologia.

Questo non deve però in alcun modo intaccare la fiducia nella scienza e nel progresso umano, ma farci capire che esistono altri valori oltre al consumismo e al profitto. Purtroppo gli errori del passato si materializzano sulla pelle di tante persone, soprattutto quelle più indifese. La fiducia cieca nella globalizzazione senza regole, la delocalizzazione per ridurre il costo del lavoro e la politica di affidare sempre più pezzi di welfare pubblico, oggi non forniscono risposte di fronte ai drammi che stiamo vivendo.

Si dimostra dannosa per la salute pubblica e per l’economia stessa la scelta, fatta in alcune regioni, di rafforzare le prestazioni sanitarie attraverso una cogestione con il privato e la scelta di potenziare i fondi sanitari, a parole complementari, ma sostanzialmente sostitutivi di quelli pubblici.

Paghiamo a caro prezzo i tagli alla sanità pubblica, unico baluardo in grado di contrastare una pandemia. La sanità pubblica deve svilupparsi ed essere in grado di fornire tutte le risposte necessarie, a prescindere da quella privata, la cui esistenza nessuno mette in discussione.

Stando ad indagini demoscopiche quasi il 90% degli italiani oggi ha paura e oltre l’80% mette al primo posto, tra le misure del Governo, proprio gli investimenti nella sanità (pubblica). Importante è che dopo la crisi sanitaria non si torni indietro!

Ma è l’economia stessa a pagare un conto salatissimo, dopo che non perdeva occasione di proporre ricette neoliberiste. Il perdurare dell’emergenza del Coronavirus sta, infatti, producendo un impatto enorme sul tessuto economico e sociale globale. Tutto il mondo è paralizzato e la mancanza di posti letto e di cure certe mette addirittura in secondo piano il lavoro.

La crisi sanitaria passerà, ma poi si prospetta una grave recessione con effetti pesantissimi su occupazione, consumi, crescita della povertà e capacità produttiva del Paese.

Ci saranno problemi serissimi sia sul fronte dell’offerta, sia su quello della domanda. Le imprese hanno rallentato o chiuso la produzione certamente per i necessari provvedimenti presi dal Governo, ma anche a causa della strozzatura nell’importazione di componentistica dalla Cina. Sul lato della domanda, invece, è prevedibile un drastico calo dei consumi che aggraverà la recessione.

Forse è giunto il momento di ripensare il nostro modello di sviluppo, rendendolo sostenibile ed equo, regolando la finanza, investendo nell’economia verde e ridando al welfare e alla sanità pubblica il ruolo che meritano. Va ripensata pure la globalizzazione.

Affidare il proprio destino ai Paesi con un basso costo del lavoro sarà utile ai profitti, ma ci rende anche vulnerabili. Basta pensare alla mancanza di mascherine prodotte a prezzi stracciati in Asia o alle difficoltà di approvvigionamento di medicinali normalmente prodotti in India. Per fortuna a livello sanitario anche questa crisi finirà, come sono finite quelle del passato. Il problema è sapere quando e come.

Gli economisti tendono a valutare pandemie come fenomeni di durata breve. Ma mancano le esperienze passate. Questa crisi è inoltre diversa perché sconvolge la sanità, la produzione, con effetti sull’offerta di beni e servizi e sui consumi. Ma questa emergenza ha in comune il fatto di essere recessiva.

In questa fase cruciale dell’epidemia non servono annunci propagandistici alla ricerca del consenso. Bisogna intervenire rapidamente con forti misure a favore delle strutture sanitarie, ma anche per le imprese e le famiglie. Il Pacchetto approvato dal Governo, seppur con alcune pecche dettate dai tempi ristretti, è una risposta utile a tal fine, ma va attuato in fretta. Il rischio è il fallimento a catena delle imprese con conseguenze pesanti sul sistema bancario e sull’occupazione.

Ma bisogna pensare anche al dopo. Sin da ora il Governo deve preparare un grande piano di investimenti pubblici con particolare attenzione al settore sanitario e più in generale alle aree in cui il mercato non fornisce risposte. Il welfare, le infrastrutture, l’istruzione, la ricerca e l’ecologia vanno potenziati con forti investimenti.

Basta tagli alla sanità pubblica e al welfare. Anche potenziando lo Stato sociale si può sostenere la domanda e ridare fiducia al cittadino. Poi vanno avviate politiche industriali per rilanciare il tessuto produttivo, partendo dai cambiamenti in atto come la digitalizzazione.

Va inoltre ragionato su quanta globalizzazione faccia bene alla nostra economia, visto che oggi ci confrontiamo con le difficoltà negli approvvigionamenti di componenti intermedi. E infine smettiamola di pensare di poter fare tutto da soli. Non esistono Stati, Regioni o territori forti e autosufficienti in Europa. La stessa Lombardia, fulcro del regionalismo, si è dimostrata vulnerabile e nel nostro piccolo anche l’Alto Adige.

Se vogliamo uscire da questa crisi non servono frontiere chiuse, salvo il periodo di contenimento dell’infezione, ma poi bisogna allargare l’orizzonte verso un’Europa solidale e coesa. Questa crisi potrebbe essere il rilancio dell’idea europea, nata a sua volta in un momento storico drammatico, oppure potrebbe essere la sua fine.

Ma nel caso del vecchio continente diviso e in competizione tra le varie nazioni, l’Europa non avrà più nessun ruolo sui nuovi equilibri economici e politici che scaturiranno da questa emergenza.

 

 

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Julian Nikolau… Mo., 30.03.2020 - 19:19

Danke für diesen Beitrag! Ich teile viele Hoffnungen des Verfassers, gehe aber derzeit davon aus, dass die Apologeten des „freien“ Marktes auch im Falle einer sehr verheerenden Krise alles daran setzen werden, die EntscheidungsträgerInnen das Heil in noch stärkeren Sozialkürzungen und noch viel enthemmteren Privatisierungen suchen zu lassen. Immerhin ist der wirtschaftswissenschaftliche Diskurs noch extrem neoliberal geprägt.

Die Experten, von denen die Wirtschaftspolitik seit Langem abhängt (eigenständige ideologische Impulse gibt es nur bei realpolitisch unbedeutenden Parteien), haben die liberalen Dogmen immer verteidigt, obwohl ihre Idiotie, ihr Zynismus offenbar sind. Davon abgesehen dürfte klar sein, welche Interessen von den Regierungen der EU (und von der Union selbst) seit Jahren vorrangig bedient werden. Erschwerend kommt hinzu, dass auch „Progressive“ den globalisierten Raubtier-Kapitalismus gutheißen, da er eben international ist, sodass sämtliche Gegenansichten als „nationalistisch“ diffamiert werden; Globalisierungskritik wird im Zusammenhang mit rechtspopulistischen Abschottungsphantasien gesehen.

Mo., 30.03.2020 - 19:19 Permalink
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Benno Kusstatscher Mo., 30.03.2020 - 21:07

Ich finde, mir wird da reiner Wein eingeschenkt. Die halbe Welt diskutiert darüber, dass Maßnahmen noch länger notwendig sein werden und im selben Atemzug, welche es wohl sein könnten. Wie kommen Sie zu Ihrem Schlusssatz?

Mo., 30.03.2020 - 21:07 Permalink
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Peter Gasser Di., 31.03.2020 - 09:11

Es wird nicht Jahre dauern, da das Virus den Durchseuchungsgrad von 60 - 70 % ziemlich schnell erreichen wird. Es wird aber Monate dauern, da die Gesellschaft die Geschwindigkeit der Durchseuchung mittels “Stotterbremse” verlangsamt, damit die Sanitätsstrukturen nicht überlastet und Menschen, die heilbar sind, nicht sterben müssen.
Allerdings gibt eine Testquote von nicht einmal 2% der Bevölkerung kein klares oder verlässliches oder interpretierbares Bild der tatsächlichen Situation.

Di., 31.03.2020 - 09:11 Permalink