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Gesellschaft | Coronavirus

Spartiacque tra di noi

Politica, etica e libertà ai tempi della pandemia.

Lo scontro che si sta consumando in queste settimane sulla legittimità delle misure governative messe in atto per arginare la diffusione dell’infezione, è umanamente lacerante. D’un tratto, persone abituate a condividere lotte politiche e battaglie ideali si ritrovano scaraventate su fronti opposti. Purtroppo le crisi, quelle vere, non risparmiano nulla.

La chiarezza, innanzitutto. Ribadisco, come già negli editoriali precedenti, che il diritto alla libertà di movimento individuale non è un dogma di fede e che esso può essere subordinato, in casi eccezionali, a un principio di ordine superiore. Questa semplice constatazione, che fa urlare al sacrilegio chi confonde la libertà garantita dalla nostra Costituzione con l’idolatria di una libertà assoluta e incondizionata, può essere respinta solo a patto di condannare come illiberali e totalitari i padri costituenti della nostra Repubblica. Che infatti, all’articolo 16 della Costituzione, scrissero:

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.

L’articolo della Costituzione, unico fondamento della nostra democrazia nata dalla Resistenza antifascista, è applicato da un governo in carica (con la piena fiducia della maggioranza dei due rami del Parlamento democraticamente eletto) mediante decreto controfirmato dal Presidente della Repubblica. Del resto, il ricorso alle misure restrittive della libertà di movimento è stato evocato da tutti i governatori regionali nonché dalla quasi totalità dei sindaci, di ogni colore e orientamento politico. La tesi della deriva autoritaria è semplicemente inesistente.

La civiltà di un paese si misura da come protegge i suoi individui più deboli, sarebbe perfino superfluo ribadirlo a chi ha sempre sostenuto di condividere questo principio

Dopodiché, lo scontro si sposta sul terreno della virologia. Pur consapevole della complessità dell’argomento e soprattutto della difficoltà di trarre conclusioni fondate su dati inoppugnabili, non posso esimermi dalle seguenti considerazioni. La stima dei morti calcolata in proporzione alla popolazione complessiva (come se questo riducesse la portata dell’evento), e soprattutto il rifiuto di immaginare a quale numero saremmo arrivati (a ieri le vittime con diagnosi accertata erano 22.170) se il lockdown non avesse abbassato il tasso di contagio da R0=4 a R0=1, lasciano sgomenti. Inoltre, la tesi secondo cui le misure del governo italiano, come quelle degli altri governi europei, sono del tutto sproporzionate perché a morire sarebbero quasi solo anziani affetti da altre patologie e con un piede già nella fossa, suscita puro e profondissimo raccapriccio. A maggior ragione sapendo che quella per polmonite interstiziale acuta è una morte atroce che si consuma in assoluto isolamento dai propri cari, nella più nera solitudine. Oltretutto, tra le vittime del Covid-19 si contano anche 122 medici e 31 infermieri, persone che hanno pagato con la vita la loro dedizione alla vita altrui mentre altri, nelle stesse ore, strillavano che il vero paziente è la democrazia.

La civiltà di un paese si misura da come protegge i suoi individui più deboli, sarebbe perfino superfluo ribadirlo a chi ha sempre sostenuto di condividere questo principio. Oggi, è uno spartiacque anche tra di noi. Le crisi, quelle vere, non risparmiano nulla.