Kultur | Intervista

Prima gli italiani! Sì, ma quali?

Partendo da un popolarissimo slogan lo storico Francesco Filippi pone la storia alla prova dei fatti nel suo nuovo saggio. Contro luoghi comuni e narrazioni divisive.
Francesco Filippi
Foto: Francesco Filippi

Ripulire la storia da incrostazioni politiche, strumentalizzazioni e bufale. Il proposito di Francesco Filippi, storico, scrittore e formatore trentino che insieme ad altri tre storici ha dato vita ad una collana di saggi, è tutt’altro che semplice.
 

salto.bz: Dopo “Mussolini ha fatto anche cose buone” e “Ma perché siamo ancora fascisti?”, l’ultima sua fatica letteraria: “Prima gli italiani! (sì, ma quali?)”. Da dove nasce la necessità di scrivere questo nuovo libro?

Francesco Filippi: Il libro si collega all’opportunità di realizzare un fact checking storico. Abbiamo dato vita a un “movimento” composto da storici che hanno scelto di costruire un nuovo modo di intendere la storiografia. Grazie ad una collana di quattro saggi – edita da Laterza – vogliamo sgomberare la storia dalle strumentalizzazioni politiche, permettendo così alla stessa politica di iniziare a parlare di storia senza quindi utilizzare luoghi comuni, slogan e narrazioni divisive.

Il libro analizza infatti il “nation building”, ovvero il processo di costruzione dell’identità nazionale che avviene all’interno di uno Stato, dal punto di vista storico.

Gli slogan che tendono a questo scopo, come l’hashtag #primagliitaliani possono essere smontati. Il fatto di essere nato in un territorio come il Trentino, ha sicuramente influito nella decisione che mi ha portato ad analizzare questo tipo di storia.

 

Il libro ha certo una connotazione politica, ma non per questo partitica. Come si trova un giusto equilibrio tra la narrazione storica e quella politica?

L’uso della storia è sempre di carattere politico, in quanto lo studio della storia è fatto di scelte. Riprendendo il concetto di Benedetto Croce, credo che tutta la storia sia interpretata dagli occhi di chi la legge. Oggigiorno, però, la storia viene divulgata in modo superficiale in molte occasioni, questo viene fatto in luoghi non consoni e spesso da chi non ne ha le competenze contribuendo così alla propagazione delle bufale.

Ha senso, oggi, in un mondo globalizzato dove tutto è interconnesso, anteporre alcune persone ad altre?

Dipende dall’obiettivo di chi si avvale di determinate narrazioni. Se, ad esempio, lo scopo è la convivenza tra i gruppi, mettere prima gli italiani rispetto ad un’altra popolazione diventa un’operazione controproducente a tutti gli effetti.

L’Italia di oggi non è certo la stessa Italia di Cavour, Garibaldi e, fortunatamente, nemmeno quella di Mussolini.

 

 

Come consigliato dal sottotitolo del libro, l’affermazione “prima gli italiani” presuppone che si conosca l’identità nazionale...

L’Italia, così come la conosciamo noi oggi, esiste da poco più di un secolo e nonostante questo il suo concetto è sicuramente mutato negli anni. L’Italia del XXI secolo non è certo la stessa Italia di Cavour, Garibaldi e, fortunatamente, nemmeno quella di Mussolini.

In un territorio come quello dell’Alto Adige-Südtirol si può continuare a parlare di italiani, tedeschi e ladini come gruppi da tenere distanti tra loro?

Da storico non voglio esprimere un giudizio sulla gestione della convivenza dei gruppi linguistici nel territorio altoatesino. Reputo invece importante domandarsi se vi sia una reale necessità di queste divisioni. Molti visitatori notano che in Provincia di Bolzano i sistemi educativi sono separati, non so se sia giusto o sbagliato e, non avendone le competenze, non lo potrei stabilire; ma credo serva invece chiedersi quale sia l’utilità di portare avanti questo tipo di narrazione. È necessario che questa domanda arrivi dalla comunità, da chi in Alto Adige-Südtirol ci abita, e quindi anche da chi non può riconoscersi in questi tre gruppi etnici. Non è facile domandare a chi ha un background migratorio a quale nuova cultura voglia appartenere...

A proposito di migrazione, in queste settimane si è tornato a parlare di “ius soli”, come ci si può porre davanti a questa proposta?

A questo interrogativo voglio rispondere come cittadino, più che come storico. Lo “ius soli” non è diffusissimo, ma questo non è un valido motivo per rifiutarlo. Credo che chiunque abiti a lungo in un Paese abbia il diritto di ricevere da quello stesso Stato la cittadinanza. Penso, però, che il problema su cui concentrarsi non sia lo “ius soli”, bensì il concetto di cittadinanza che è diventato ormai stretto ed obsoleto e per questo necessità di una revisione. Non è per retorica, ma proprio per questa ragione sono convito che allo slogan #primagliitaliani sia essenziale ora dire con forza #primalepersone.

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Christian I Di., 06.04.2021 - 16:24

Lo slogan "prima gli Italiani" mi ha sempre fatto sorridere. Ma non per un motivo politico, culturale o di appartenenza ad un gruppo linguistico piuttosto che ad un altro. Per un semplice fatto: sempre meno Italiani
https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/03/26/covid-istat-minimo-…
e (permettetemi una piccola provocazione senza voler offendere nessuno) sempre piú cani:
https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/pets/2019/10/05/animali-do…
Allora le cose sono due: o insegniamo ai cani a fare i badanti, agricoltori, infermieri, personale delle pulizie, commercianti, operai, autisti, ... , o l'Italia per sopravvivere ha bisogno di NON-Italiani.

Di., 06.04.2021 - 16:24 Permalink
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Massimo Mollica Di., 06.04.2021 - 17:33

Mi affascina il concetto di "tutta la storia sia interpretata dagli occhi di chi la legge". Come se uno possa sembrare buono o cattivo in base alle idee di chi lo racconta. O meglio meno buono o meno cattivo. Quindi non esiste un valore assoluto. E gli stessi fatti hanno sfumature differenti.
A chi giova la diversità di formazione? A "difendere" la propria identità. E qual'è? Quella del padre e della madre. Le proprie tradizioni. I propri costumi. Senza dei quali perdiamo appunto la nostra identità! Chi sono io? Sono quello che è dato dai propri genitori. Non sto dicendo che sia giusto tutto questo, sto solo dicendo che è umano. Del resto da piccoli abbiamo la necessità di essere fortemente relazionati con i nostri genitori, ci tranquilizza , ci rassicura. E aggiungo che il nostro corpo di per sè è portato a rigettare corpi estranei. E questo è un problema quando c'è da fare un trapianto di cuore (per esempio). Perché il cuore estraneo serve al corpo per non morire, ma questi non deve essere rigettato. E a pensarci il nostro stesso cuore è un estraneo. Non lo comandiamo. Ma questo non ditelo a chi ha bisogno di una propria identità....

Di., 06.04.2021 - 17:33 Permalink