Politik | Balcani

Una presidente per il Kosovo

L'avvocata 38enne Vjosa Osmani eletta Presidente della Repubblica kosovara. Chicco Elia (Osservatorio Balcani-Caucaso): "Dopo i militari, una nuova generazione al potere"
Vjosa Osmani
Foto: Republika e Kosovës

Da domenica (4 aprile) il Kosovo ha una Presidente della Repubblica. Si tratta della avvocata 38enne Vjosa Osmani, presidente ad interim dal novembre 2020 e ora riconfermata nel suo ruolo dal Parlamento del paese definito “il più giovane d'Europa” – non solo per la propria indipendenza, proclamata nel 2008 e ancora non riconosciuta unanimemente dalla comunità internazionale: metà della popolazione kosovara ha infatti meno di 25 anni. Accolta con emozione dalla “diaspora” di lingua albanese che risiede in Italia (e a Bolzano), la scelta di Osmani è il simbolo di un processo di rinnovamento in atto nel piccolo stato balcanico: le ultime elezioni parlamentari erano state vinte dal partito di centrosinistra Vetëvendosje! (Autodeterminazione!) che esprime l’attuale primo ministro Albin Kurti, anch’egli rappresentante di una nuova generazione di kosovari al potere.

Si è completato il ticket presidenza del Consiglio - presidenza della Repubblica della nuova generazione che manda in soffitta i vecchi leader della guerra, i quali non hanno saputo portare il Kosovo a un livello di standard internazionali accettabili di democrazia, di trasparenza e di lotta alla corruzione” spiega a salto.bz il reporter Christian Elia, esperto di Kosovo e (tra le altre cose) redattore dell’Osservatorio Balcani-Caucaso. L’elezione della Osmani “è stata tortuosa: sono andate a vuoto le prime due votazioni e alla fine è passata al terzo scrutinio, con 71 voti su 120. Ciò significa che la maggioranza c’è, ed è attorno alla figura carismatica di Albin Kurti, l’uomo non nuovo che arriva da un cammino lungo ma è oggettivamente l’attore che ha preso in mano il futuro del Kosovo”.

 

Ma cosa sancisce l’arrivo di Vjosa Osmani alla presidenza? “Innanzitutto – spiega Elia – il fil rouge che lega il suo percorso umano, politico, intellettuale alla figura simbolo dell’indipendenza del Kosovo, Ibrahim Rugova, che fu un po’ il suo padre spirituale. Rugova venne usato come emblema della rivolta nonviolenta contro la Serbia e il centralismo di Belgrado, ma poi – subito dopo la guerra – venne messo da parte da quel gruppo di comandanti dell’UCK che avevano guidato la lotta per l’indipendenza dalla Serbia e che poi prese il potere. Tra loro spiccano personaggi come Hashim Thaçi (predecessore di Osmani alla presidenza del Kosovo, ndr) o il già primo ministro Ramush Haradinaj, entrambi inquisiti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. 

 

Un percorso interno – con pressioni esterne

 

Secondo Elia, la presidente Osmani rappresenta quindi la fine di un percorso, che ha portato a “consegnare alla storia la generazione dei comandanti militari che avevano costruito le loro fortune politiche sulla gratitudine della popolazione. Fortune che in realtà, rispetto alla vita del Kosovo, si sono rivelate più personali che collettive e comunitarie”. Il premier Albin Kurti con Osmani “completa il ticket del cambiamento, questa generazione di “giovani” in politica. Lui non poteva agire secondo le sue linee senza la presidenza della Repubblica. E oltre al recupero della parte di società civile e non militare, c’è un ulteriore elemento determinante: quello delle pressioni statunitensi ed europee affinché gli impresentabili, cioè gli ex-militari inquisiti al Tribunale internazionale dell’Aia, non fossero più spendibili politicamente”.

Nel caso di Osmani si tratta anche di una vittoria femminista? “Ni – risponde Elia – nel senso che sicuramente il Kosovo è una società meno legata a dinamiche patriarcali, che sono più forti in Albania, fermo restando le grandi differenze tra centro urbano e aree rurali: Pristina, per tutta un’eredità culturale della Jugoslavia socialista, è più avanzata dal punto di vista della questione femminile. Osmani è sicuramente legata a una narrazione di emancipazione femminile ma non la metterei come leader femminista, è una politica a tutto tondo. Il femminismo non è un suo tratto caratterizzante: di sicuro ha un ruolo il suo essere donna, mentre Kurti è un politico abile e come altri sa che la questione al momento è sensibile e perciò occorre prestare attenzione alla parità di genere”.  

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Johannes A. Di., 06.04.2021 - 20:01

Der Westen bleibt weiter bei seiner ausgesprochenen inkohärenten Haltung zum Selbstbestimmungsrecht der Völker.
Während die Sezession des Kosovo von der Nato herbeigebombt wurde, wird die Annexion der Krim sanktioniert.
Für Palästina fordert man einen eigenen Staat, warum reicht dort eigentlich keine Autonomie? Palästina hat zahlreiche Kriege gegen Israel verloren.
Südtirol hingegen wird eine Volksabstimmung über die staatliche Zugehörigkeit nach wie vor verwehrt. Wo liegt der Unterschied zwischen Südtirol, Palästina, dem Kosovo oder Krim?

1) BIP: Zweifellos, Südtirol hat einen beachtlichen Wohlstand (trotz der Zugehörigkeit zu Italien), dennoch kann das Bruttoinlandsprodukt kein Kriterium sein.
2) Zeit. Zeit ist zweifelsohne ein Faktor. Südtirol ist jetzt einhundert Jahre lang bei Italien, Palästina jedoch auch schon über 50 Jahre und der Kosovo war seit dem 1. WK bei Serbien/Jugoslavien genauso wie Südtirol.
3) Autonomiegrad: Dies könnte ein Unterschied sein. Dennoch wird Serbien oder Israel nie die Wahl eingeräumt zwischen Autonomie und Sezession, sondern die Sezession des Kosovo und von Palästina wird als Alternativlos dargestellt.

Die Liste könnte beliebig lange fortgesetzt werden. Fakt: Selbstbestimmungsrecht gilt nur dann, wenn sie einem in den Kram passt.

Di., 06.04.2021 - 20:01 Permalink