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L’Iveco non andrà ai cinesi

Salta la vendita al gruppo Faw. Dalla trattativa esclusa la divisione Defense Vehicle di Bolzano. Urzì: “L’accordo avrebbe avuto ripercussioni anche in Alto Adige”.
Iveco
Foto: upi

Nulla di fatto, la trattativa con il gruppo cinese Faw Jiefang si è interrotta: l’Iveco resta in Italia. A comunicarlo CNH Industrial, società del gruppo Exor, la holding della famiglia Agnelli, che ha tuttavia annunciato di volere continuare i piani di spin-off (cioè la separazione del business) del marchio di camion e furgoni e di una parte dei motori della Fpt Industrial nella prima parte del 2022. Il gruppo - si legge nella nota - “crede che sussistano significative opportunità per sviluppare il proprio business On-Highway come fattore di accelerazione nell’attuazione di soluzioni e infrastrutture per trasporti sempre più sostenibili, in linea con le ambizioni del Green Deal dell’Unione Europea”.

Secondo quanto emerso il colosso cinese avrebbe fatto un’offerta di oltre 3,5 miliardi per l’acquisizione di tutte le attività di veicoli commerciali di Iveco, inclusi camion e autobus, e una quota di minoranza nella sua divisione motori FPT. Ma non è bastato. Complice anche il pressing del governo per mantenere l’azienda sotto controllo italiano, con lo stesso premier Mario Draghi che si sarebbe interessato direttamente della questione.

Ieri, 18 aprile, il commento del ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti: “Accogliamo con favore e valutiamo positivamente la notizia del mancato perfezionamento della trattativa. Il governo italiano ha seguito con attenzione e attiva discrezione tutta la vicenda perché ritiene la produzione di mezzi pesanti su gomma di interesse strategico nazionale. Il Mise - ha concluso Giorgetti - è pronto a sedersi al tavolo per intervenire per tutelare e mantenere questa produzione in Italia”. Colgono il segnale i sindacati, Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil, chiede infatti “la convocazione urgente presso il Ministero per dare prospettive occupazionali attraverso l'implementazione del piano industriale fondato sull'innovazione tecnologica”.

 

Nessun rischio per Bolzano

 

Dalla trattativa, va specificato, era stata esclusa la Iveco Defence Vehicle, la sede di Bolzano specializzata nella produzione di mezzi ad uso militare (vengono costruiti i veicoli blindati 8x8, i Lince 4x4 e la maggior parte dei gruppi meccanici dei veicoli in dotazione alle forze armate) che conta circa un migliaio di persone occupate. Secondo il consigliere provinciale di Alto Adige nel cuore/Fratelli d’Italia Alessandro Urzì se l’accordo fosse andato in porto avrebbe potuto avere comunque “significative ripercussioni pure sul comparto dei veicoli militari”, e inoltre “l’incertezza creava dubbi per il futuro”. Dipende da Bolzano, ricorda Urzì, la sede di Vittorio Veneto (nella provincia di Treviso, dove si procede al taglio e alla saldatura dell'acciaio balistico, e gli stabilimenti di Piacenza e Brescia dove vengono prodotti i camion militari, cabine blindate e non blindate, sfruttando la sinergia con le linee di produzione dei veicoli civili).

Non manca infine l’affondo polemico: la stessa preveggenza dimostrata dal governo in questa occasione è mancata invece, sostiene l’esponente di destra, “ad esempio nell’affaire Solland Silicon di Merano rinunciando alla produzione del silicio, elemento fondamentale della componentistica elettronica e consegnando l’Italia nelle mani dei produttori esteri”.